da scateniamotempeste.wordpress.com
Mi sveglio una mattina, che per me è una mattina qualunque di un lungo inverno padano, che potrebbe essere novembre come febbraio, che tanto qui il freddo non finisce mai, arrivo assonnata a lavoro e qualcuna mi rivolge subito, a bruciapelo, la domanda: “ma tu cosa fai a San Valentino?”. La domanda mi lascia atterrita, perché io avevo lasciato il mio cervello qualche mese addietro (forse nella canicola estiva), già i regali natalizi erano stati un peso faticosamente evitato (non proprio tutti) e realizzo che è febbraio, non ho combinato molto delle scadenze lavorative e di ricerca, oltre al lavoro ufficiale che ho e soprattutto, quando scrivo le date, metto ancora 2012 (inizio a scrivere l’anno esatto di solito a marzo, sarà dovuto a una presunta discendenza dagli antichi romani precedente a Numa Pompilio…). Chiedo: “ma che giorno è oggi?”. Risponde: “Il 4 febbraio”. Mi dico: “Ma mancano ancora 10 giorni al santo, perlamadonna! Non avrà altro a cui pensare questa qui!”. Ma poi rispondo: “Guarda non faccio nulla, a me San Valentino non interessa”. Mi passa nella mente lui che arriva con un mazzo di fiori e mi porta fuori, magari al ristorante cinese, pieno di tante coppie di tutte le età, che si scambiano i regalini, con i tavoli staccati uno dall’altro di pochi centimetri, che praticamente mangi con degli sconosciuti, ma la tua testa si finge da sola con lui, perché la concezione dello spazio è relativa e vi sembra di essere lo stesso da soli, anche se il vicino risucchia rumorosamente gli spaghetti di soia. Mi viene anche un dubbio atroce: e se lui, pensando di farmi piacere, mi portasse da qualche parte, fra coppiette sbaciucchiose, che si promettono amore eterno finché dura (oddio che cinismo!)? No, bisogna prevenire. “Scusate, esco un attimo: devo fare una telefonata”. Le colleghe mi guardano interrogative, forse pensano che voglio convincere il mio lui a fare qualcosa quella sera. “Ehm, ciao, devo farti una domanda: non è che hai intenzione di uscire a cena per San Valentino? Vero che non vuoi uscire? Vero che non mi hai preso né mi prenderai nulla?”. Domande retoriche. “Guarda a me non piace San Valentino, però se vuoi…. Ma perché me lo chiedi ora? Non è un po’ presto? Non sei a lavoro? Ti sento strana…”. “No no, non fare niente, non voglio niente, io la odio questa festività, ti spiego poi!”. Torno serena all’interno dell’edificio, con un mezzo sorriso buffo, ché mi immagino dall’altra parte del filo virtuale come si possa sentire sollevato un maschio che la donna che sta con lui non vuole regali né uscire a cena. Io mi amerei molto. Le colleghe mi guardano e stanno ancora parlando di regali più o meno costosi e di cene romantiche. Secondo me pensano che sto con un bifolco che non mi vuole portare fuori, magari se lo immaginano davanti alla partita con la canottiera sporca di sugo, che smadonna se parlo mentre guarda la tv o che si gratta il pacco in presenza altrui. Che uomo non accontenterebbe i desideri della sua donna a San Valentino? E tutte le donne desiderano un regalo… Credono che io sotto sotto vorrei tanto festeggiare ma fingo di non volere perché credono che lui non voglia. Forse pensano: “poverina!”. A me, a San Valentino, alla festa della donna, alla festa della mamma, a tutte le feste comandate viene sempre in mente mio padre quando ero piccola e magari sognavo che mi regalassero i BaciPerugina: “altro che la festa degli innamorati, è la festa dei commercianti!”. Mio padre allora era comunista (e pure non tirchio ma, diciamo, tirato, sulle cose che considerava futili, cioè il 90% di ciò che mi piaceva, come: fiori, dolci, vestiti, scarpe, parrucchiere, “che poi esci e sembri il bolognese della vicina”…). Mi viene ancora di più da ridere, perché con l’età recupero le cose che dei miei criticavo, come quando invidiavo i miei compagni di classe, figli di democristiani consumisti, che avevano le cicche all’uva, bevevano coca cola e avevano costose felpe della best company. Recupero l’austerità dei miei. Magari non con le stesse modalità. Non mi piace fare quello che fanno tutti, perché si deve fare… Mi chiedo appunto “perché si deve fare?”. Anche rendere un sentimento qualcosa di commerciale e commerciabile su comando lo trovo patetico, come non amo le feste comandate. Trovo triste che gli altri pensino che chi non si conforma, poveretta, ha magari una relazione che non va… A me, forse, poco importa anche che sia o non sia la festa dei commercianti che di questi tempi hanno pure poco da festeggiare… Se dovessi uscire con lui quella sera, da bastiancontraria, prenderei la birra del Lidl e andrei a fare una gara di rutti al parchetto. Sarebbe più divertente. Sarebbe meno finto di qualsiasi altra cosa. Sarebbe alla mia maniera romantico. Però quest’anno San Valentino cade di giovedì. E io il giovedì ho il cinema con le amiche. E se Valentino è santo, le amiche sono sacre.
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