“Quell* che non hanno il genere, ma hanno la classe”

“I nomi delle cose”, la trasmissione della Coordinamenta femminista e lesbica sugli 87,90 di Radio Onda Rossa ha inaugurato mercoledì scorso una nuova rubrica dal titolo
“Quell* che non hanno il genere ma hanno la classe”
di seguito l’inizio della prima puntata:
 
Una settimana fa, il 20 novembre, c’è stata la giornata della memoria contro la transfobia (transgender day of remembrance), istituita a partire dal 1998 a partire dalla rabbia che c’è stata per l’assassinio di Rita Hester, donna trans afroamericana.
Secondo le statistiche di Transgender Europe siamo a circa 265 persone trans uccise nel 2012, e più di 800 se consideriamo quelle uccise negli ultimi 4 anni. In più c’è da considerare che in questi numeri sono incluse solo le persone ammazzate, non ci sono quindi i numeri di tutte le altre forme di violenza, come pestaggi, aggressioni, stupri e quant’altro. Il transgenderismo è la condizione per cui l’identità di genere con cui la persona si percepisce e quella che le viene data alla nascita non corrispondono.
Da quanto successo recentemente si è accesa un attimo una lampadina: l’omofobia e la transfobia dilagano, e ce ne siamo accorti solo oggi. Complimenti! ce l’avete fatta!
Secondo il sottoscritto tutto ciò non può essere combattuto, se slegato da ciò che lo genera. E’ anche fuorviante parlare di fobie, dal momento che l’unica paura è quella del diverso, della diversa, e banalmente parlando: non è che hanno paura, è che sò stronzi.
L’eteronormatività dà per scontato che siamo tutte e tutti eterosessuali; la cisnormatività che il genere datoci è quello che realmente è il nostro, la binarietà di genere che esistano solo due generi, e che questi debbano per forza corrispondere a ruoli di genere ben precisi, dove l’uomo è macho e non solo ha potere, è il potere; e la donna dev’essere sottomessa. Tuttavia, stiamo parlando di forme di oppressione che hanno tutte la stessa radice: il patriarcato! e non possiamo di poter smantellare queste strutture di oppressione senza rimuoverne i pilastri.
Il patriarcato mette a capo di tutto una figura ben precisa: l’uomo bianco, etero, cisgender, e coi soldi. Per questo il femminismo dovrebbe perseguire l’intersezionalità delle lotte. L’intersezionalità è il concetto per cui tutte le nostre lotte sono lotte contro varie sfaccettature dello stesso sistema socioeconomico, per cui esse si intersecano, si toccano e a volte, si sovrappongono.
Oggi volevo parlare di alcuni parallelismi tra la violenza sulle donne e quella sulle persone transgender.
Innanzitutto, entrambe vengono affrontate mediaticamente con la stessa violenza del linguaggio (dove per linguaggio non si intende solo quello scritto o parlato). Praticamente sempre negli articoli dove si parla di donne che hanno subito violenza si usano immagini sessualizzate di donne picchiate, come se essere picchiate, come se una donna picchiata, fosse una cosa sexy.
Dall’altra parte, a parte che l’argomento non si affronta quasi mai, quelle poche volte che viene affrontato, ha una rilevanza mediatica quasi inesistente (d’altronde a chi importa di una trans picchiata che tra l’altro occupa solo il minitrafiletto di un qualche giornale?). Per fare un’esempio, nell’ultima settimana una donna trans è stata accoltellata a Milano, e una è stata pestata qui a Roma per aver chiesto un passaggio. Entrambi gli articoli si riferiscono a loro due dando loro il maschile e riferendosi a loro come “uomini”. Se non è questa violenza….
Poi c’è l’aspetto politico: entrambi i casi vengono trattati come casi emergenziali, da combattere con prospettive securitarie e legalitarie.
Sono significativi in tal senso altri due esempi: la richiesta di un decreto legge sul femminicidio e di un ergastolo connesso a questo reato.
Risulta essere privo di senso, dal momento che la violenza sulle donne non si può fermare piazzando in galera qualcuno dopo che una donna E’ GIA’ MORTA, quando invece per fermare più concretamente la cosa si potrebbe fornire più reddito in generale, per consentire alle donne di avere più autonomia economica e uscire dal loop della violenza, senza dover contare necessariamente su aiuti esterni di centri antiviolenza che ormai non ricevono più alcun finanziamento e che nella pratica cessano di funzionare o di esistere. Ah già, dimenticavo che in caso di crisi chi finisce prima a casa sono sempre le donne, con la scusa che tanto loro dovrebbero stare a badare ai figli. Quanta ipocrisia: si richiede una legge contro il femminicidio senza fare in modo di evitare che questo accada.
Sull’altro fronte, il vario associazionismo LGBT richiede a gran voce una legge contro l’omofobia e la transfobia. Peccato che anche questo sia una bella baggianata, perché anche ciò si focalizza sugli effetti senza andare a cercare e distruggere la causa – e sinceramente dubito che avrà degli effetti, questa legge. Cercare di risolvere i problemi chiedendo leggi contro il problema, significa ignorare cosa causa quel problema. Questi due problemi, hanno la stessa radice, la cultura patriarcale di violenza e dominio su chiunque non sia uomo, non sia bianco, non sia cisgender, non sia ricco, non sia etero. E come pretendiamo di risolverli quando l’oppressione che li genera è sistemica è istituzionale? non è troppo diverso dal chiedere a chi ti picchia di smettere di picchiarti. Ovvero: è inutile!
Quella che chiamiamo per comodità transfobia, inizia nel momento in cui ti scopri come transgender, quindi una “variante” dove il parametro di normalità della società è non esserlo. Prosegue, poi, quando decidi che vuoi iniziare il percorso di transizione e ti trovi davanti un iter di transizione lunghissimo e pieno di step inutili, di psicologi che se non ricalchi dello stereotipo macho oppure della donna iperfemminile allora non sei trans…e se non ricadi in questa binarietà, beh allora non esisti direttamente! Inoltre la transfobia è pure quella fatta di richieste ai tribunali per operarti, come se il tuo consenso di persona non bastasse, delle battute imbecilli della gente, del fatto che te sei una persona e sui tuoi documenti c’è un’altra persona, che è però l’unica persona accettata da istituzioni, posti di lavoro, scuola.
La violenza sulle donne comincia nel momento in cui sei femmina e quindi no, tu quella cosa non la puoi fare, no, tu non esci da sola.
Prosegue con una sessualità che dev’essere sempre fallocentrica, riproduttiva e in generale sempre ad uso e consumo degli altri, quindi mai la tua. La violenza è il rosa imposto fin da quando sei in culla, le gonne che ti dicono di mettere, l’imposizione della bellezza, perché sei sempre un essere decorativo. E’ la società che ti vuole sempre disponibile, a qualunque cosa, ma quando decidi di essere disponibile secondo i tuoi prezzi e di fare la prostituta, la ritiene una cosa tremenda e immorale. E quando muori, uccisa da un partner geloso e possessivo, la violenza è che la giustizia non sarà fatta da te o dalla sconfitta della violenza patriarcale, ma da un giudice, l’ennesimo uomo che esercita potere, dominio ed altra violenza, perpetuando tutto il resto.
L’unico modo per fermare tutto questo, non può essere una legge. La legge serve solo ad accantonare, perché non è un problema di fare o no una legge, ma di fermare nella pratica tutto questo. A lungo termine ci serve una battaglia culturale e l’abbattimento del patriarcato, a breve termine la consapevolezza e l’autonomia e l’autodifesa. Il patriarcato colpisce, e noi quando lo colpiamo? dobbiamo fare qualcosa, tutte e tutti.
 
Denis
 
derailing on gender binaries

 

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