da www.scateniamotempeste.wordpress.com
“E’ intelligente ma non si impegna”; “sembra che sui libri di testo si annoi, si perde nel suo fantasticare”; “solo impegnandosi molto ce la può fare”. Quante volte me le sono sentita dire queste frasi a scuola, brava ma non secchiona, quella che potrebbe fare di più, competere, gareggiare con gli altri e le altre, magari, in un match a chi sa di più, si esprime meglio, è più organico nel definire,descrivere, raccontare… La scuola come una gara, la vita come una gara. “Solo i migliori ce la faranno!”, come in un quiz a premi, dove se sei brava vinci di più e se sei schiappa vieni eliminata. Oggi questi stessi motti ci vengono presentati dai nostri politici, sempre in aria di tagli ai posti di lavoro, per dirci che solo chi si adegua a un certo modo di lavorare e lo fa esibendo una certa passione, merita il posto di lavoro, chi è inutile o non fa il proprio dovere come si deve, come se gli piacesse, venga spedito a casa! Ovviamente tutto ciò è strumentale ai tagli, che sono assolutamente trasversali e non importa come lavori o se vieni ritenuto utile o inutile, ma è un modo per ingannare la gente (che si lascia volentieri ingannare) e renderla produttiva e mansueta finché serve. Tralascio l’osservazione che tutti fanno che sono loro, i politici, i primi, incapaci e corrotti, nonché il fatto che i loro figli siano sempre più bravi di noi, forse per un destino segnato nel DNA (o nel nome…). La tralascio perché è una polemica sterile e non ci porta ad essere costruttive nel clima generale di disgusto che si respira oggi in Italia. Vorrei invece spezzare una lancia in favore dei “numeri due”, categoria alla quale mi sento di appartenere, a cui mi piace anche appartenere, perché i numeri uno non so perché hanno quasi sempre la puzza sotto il naso, o sono dei cyborg e vengono da un altro pianeta non meglio identificato. E soprattutto non sempre sono intelligenti come sembrano. Io sono una che non fa sempre bene, a volte sbaglio, a volte mi lascio prendere dallo scoraggiamento, a volte ancora non provo proprio una gran passione per il mio lavoro e, quando devo fare certe cose, mi turo il naso. Ho vinto dei piccoli concorsi per lavori sempre a tempo determinato, nulla di grande, nulla da raccomandata e nulla da “ohhh, è davvero brava!”. Non sono “un cervello”. Sono più “un corpo”, ma non nel senso della presenza, più che altro per l’emotività che prende allo stomaco, per cui sto male a parlare in pubblico, e per le mie insicurezze evidenti e palesi. Ah sì, e poi ogni tanto faccio anche qualche figuraccia o non mi so dare importanza e sembro imbranata. Infine, se qualcuno prova a mettermi i piedi in testa, divento furibonda e non mi so controllare. Se quel qualcuno sta più in alto di me, beh, mi sono segata le gambe da sola. Sono un perfetto numero due. Non ho lo charme e la sicurezza del numero uno e tuttavia non mi asservisco al numero uno come fanno i numeri dal tre in poi. Non ho sempre il sorriso smagliante e non sono una “strafiga da paura” e nemmeno una super sadica. Si capisce quello che penso quando guardo in faccia la gente, si capisce anche quando vorrei mandare a quel paese qualcuno. Nel mio essere numero due, c’è da dire che almeno sono genuina, per nulla artefatta, ho consapevolezza di me, una cultura fatta di poeti e rivoluzionari, di viaggi veri e sognati, di storie passate e recenti, di romanzi di tutti i tipi. Ho anche una spiccata sensibilità, amor proprio, senso di solidarietà, empatia con le altre persone. Tutte doti che non solo non contano niente, ma sono d’impaccio. Inutili. Controproducenti. A me piace essere una numero due e non mi scambierei mai con una numero uno. Solo che essere numero due è frustrante in una società iper-competitiva. La numero due non fa a gara e il suo modo di essere viene scambiato come mancanza di ambizione, qualcosa da punire, da guardare storto. Perché se è brava non si impegna? Perché pensa ad altro? Perché non mostra (finta) passione? La numero due, se risolve un problema difficile, non si vanta. La numero due non usa parole come “ad uopo”, “sussunzione”, “eteroclito” quando parla normalmente, per mostrare che lei sa. La numero due si annoia quando le numero uno sfoggiano il loro sapere con i paroloni. Secondo i nostri politici e secondo molte persone le numero due non meriterebbero niente. Dovrebbero andare a zappare la terra, perché c’è la meritocrazia e solo i migliori hanno diritto a lavorare. Come se zappare la terra non fosse lavorare! Si fa fatica e devi sapere molte regole di semina, coltura, aratura… Ma per i numeri uno zappare la terra è qualcosa di umiliante pre-democratico (cioé prima che la democrazia trasformasse i contadini ignuranti in coltivatori diretti che votano Lega) e certo i numeri due mica possono fare i magistrati, i professoroni, gli avvocati, i burocrati. Forse non interessa loro neppure. Certo che forse non sono adatti nemmeno a fare altri tipi di lavori, quelli dove devi fingere che ti piace. Perché noi italiani oramai vogliamo i migliori postini. I migliori operai. Le migliori donne della pulizia, quelle che ti lucidano la tazza a tal punto che ti ci puoi specchiare (non so se sia un bene!!!). Dal momento poi che spesso i numeri uno si auto-qualificano come tali o vengono qualificati come tali per estrazione sociale (e allora tu sei una bicicletta e loro una ferrari), perché sin da piccoli hanno masticato un certo tipo di savoir faire e di conoscenze, se ne deduce allora che questa retorica dei numeri uno che meritano tutto, non è altro che cooptazione, stagnante palude sociale. Inoltre si presuppone che uno sia un numero uno se si adatta al sistema, ne riconosce le pratiche e i valori dominanti, nonché tutta la cultura che esso si porta appresso. Un numero uno sa Dante a memoria, poco importa che lo abbia capito o fatto suo, in quel concorso lì barrerà al crocetta giusta. Le crocette sono per i numeri uno. Poco importa se la numero due possa recitarti tutto Neruda o aver amato Sibilla Alereamo o Sylvia Pltah, perché alla cultura dominante poco importa che qualcuno sappia scrivere, parlare, esprimerti, devi barrare. Sei un numero uno se sbarri la crocetta giusta su Cacciaguida. Anche così si diventa un numero uno partendo dal nulla, ma uno su mille ce la fa e poi deve adeguarsi ai numeri uno di diritto, cioè quelli che da secoli sono numero uno. Non solo, si deve anche camuffare da loro, perché checché se ne dica, il parvenu fa sempre un po’ provinciale. La frustrazione dell’eterno numero due non deriva tanto dall’essere o dal sentirsi incompreso, dal non essere numero uno, quanto dall’essere additato come uno/a che non merita nulla, perché non ha fatto suoi i valori dominanti della società e non merita neppure di essere lasciato/a in pace a fare un mestiere che gli/le calzi a pennello o a vivere la vita secondo le sue regole. Del numero due si dice che sia pelandrone, sognatore (brutta parola di questi tempi!), che abbia poco senso pratico e che non sappia mettere al posto giusto le crocette, anche se ne ha le potenzialità. I numeri due, insomma, li odiano sia i numeri uno, perché temono che, in un’altra società i numeri due, li possano scalzare, sia i numeri dal tre in poi, che sono pronti a servire e a non ragionare con la loro testa e che si chiedono soprattutto perché i numeri due non aspirino a divenire numeri uno. E non sanno darsi risposta.