La Parentesi di Elisabetta del 17/10/2012

Occhio che non vede, cuore che non duole.

Elisabetta Teghil

Un bambino di dieci anni è stato trascinato a forza, urlante, dalla polizia, via dalla sua classe di una scuola elementare dell’alta padovana. I genitori sono separati, il giudice ha deciso di sottrarlo alla madre, a cui era affidato, e di farlo trasferire in una struttura “così detta” protetta. Ma il bambino, che proprio con la madre vuole stare , ha opposto una strenua resistenza, cercava di scappare ,mentre la polizia lo caricava su una volante, chiamava la zia lì accorsa

Aldilà dello sconcerto e dell’indignazione suscitate nell’opinione pubblica, dato che quello che è successo è stato filmato con un telefonino e divulgato, l’episodio è emblematico e disegna a tutto campo la nostra società.
La pratica di togliere i bambini alla famiglia e di darli alle strutture pubbliche è sempre più diffusa: i figli vengono tolti perché i genitori sono troppo poveri , perché sono separati e se li contendono, perché sono Rom, perché i genitori vengono considerati incapaci di allevarli……è la miscela tra lo Stato etico neoliberista che pretende di normare le nostre vite e la visione “politicamente corretta” che ci ha accompagnato in questi anni e che ,attraverso un “buonismo” strumentale, delega agli esperti/e la nostra esistenza.

In questo caso, il percorso giudiziario che ha portato all’azione di forza nei confronti del bambino è stato attivato dal padre( il che ci fa capire da solo che la madre ha ragione), con una serie di motivazioni che altro non sono che i principi della PAS, la così detta “sindrome da alienazione parentale”, secondo la quale la madre, nella stragrande maggioranza dei casi, influenzerebbe il giudizio dei figli sul padre per cui perfino le violenze subite in famiglia e le botte alla compagna diventerebbero allucinazioni dei bambini indotte dal comportamento materno. Quindi, non viene preso in nessuna considerazione il desiderio dei figli di scegliere il genitore con cui stare e vengono perfino costretti a continuare a frequentare il genitore violento. Ma questa teoria non è relegabile nei confini del così detto diritto di famiglia, fa parte della tendenza , che il neoliberismo vuol far passare in tutti i campi, di confondere l’aggredita con l’aggressore, di porre sullo stesso piano oppressori e oppressi, di diluire i conflitti di classe nella “convivenza civile” e l’oppressione strutturale sulle donne a “un sereno rapporto tra i sessi”.
Alla PAS non è riconosciuta “validità scientifica” dal consesso internazionale, ci dicono. Ma anche se dovessero riconoscerne questa presunta “validità scientifica”, noi tutte sappiamo che la scienza non è neutrale, non è asettica, ma al servizio degli interessi del sistema socio-economico in cui è calata.
La violenza sulle donne non è solo fisica, quella psicologica e burocratica portata avanti dalle Istituzioni è altrettanto devastante.
Si aprono anche scenari di violenza classista, perché dovunque ci sia un esperto/a che decide sulla nostra vita ed uno Stato invasivo, chi ha meno strumenti culturali è molto più indifesa/o e chi è più ricco o semplicemente benestante o con una posizione sociale più importante, che di solito è il maschio, ha un gioco estremamente più facile. Le armi dello psicologo/a ,dello/a psichiatra e delle case di cura sono strumenti che le classi abbienti hanno sempre usato per internare le donne che non volevano omologarsi.

Una nota a margine riguarda l’informazione e l’indignazione dell’opinione pubblica. Un fatto accade solo se esiste mediaticamente e questo dovrebbe far riflettere due volte : all’andata sulla capacità dei media di appropriarsene e di suscitare una reazione collettiva, al ritorno sulla capacità dei media di azzerare tutti i fatti che sono scomodi e tacerli.
Una chicca, in questo senso, riguarda le affermazioni del Garante della Privacy che ha tuonato contro i media perché non dovevano rendere pubblico il filmato, per la tutela dell’infanzia ha detto. Certo, occhio che non vede, cuore che non duole.

Poi, c’è il ruolo della polizia e delle istituzioni in divisa, che è sempre lo stesso: picchiano nelle piazze chi è senza lavoro, picchiano gli studenti che protestano, picchiano i pastori sardi, picchiano i notav…perché ci meravigliamo se la polizia trascina per i piedi un bambino urlante e lo infila in una volante? La loro arroganza e impunità si manifesta compiutamente nelle parole dell’ispettrice alla zia ”Io sono un ispettore di polizia, lei non è nessuno” e nella denuncia ,da parte della polizia, della zia e del nonno per oltraggio e resistenza.. D’altro canto sono le stesse istituzioni in divisa che trascinavano fuori dalle aule di scuola i bambini ebrei in osservanza delle leggi razziali.
E le prefiche della non violenza e le vestali della legalità brillano per il silenzio.

E, infine, un qualcosa che ci interessa molto, molto da vicino.
L’ispettore di polizia è una donna.
L’emancipazione ,che non intendiamo certo rifiutare, perché le donne fanno e devono poter fare, se vogliono, qualunque lavoro, e lo fanno bene e male come i maschi, se diventa un fine e non un mezzo, non aiuta, anzi è di ostacolo alla liberazione delle donne. Il percorso emancipatorio, così come si è realizzato, ha portato tante donne a legarsi profondamente con la struttura di potere e a diventare attive componenti dell’oppressione sulle altre donne, risolvendo , in cambio, le loro personali ambizioni di carriera.
E il giudizio politico su quello che fanno non solo è auspicabile, ma necessario.
Per questo è importante per noi femministe, prendere atto della svendita, del tradimento, della collocazione altra, di appartenenti all’insieme di genere perché non rechino danno alla lotta di liberazione e perché la chiarezza politica è, di tutte le lotte di liberazione, elemento fondante.

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