Articolo sul processo per Genova 2001

Certe righe…

Elisabetta Teghil

La Cassazione ha confermato che il “saccheggio” e la “devastazione”
comportano una condanna da sei a quindici anni.
Tradotto in parole povere:….assaltare un bancomat, bruciare un cassonetto,
magari uscire con il carrello della spesa da un supermercato senza aver
pagato…….
Sapevamo che, in questa società, il dio a cui tutto è sacrificato è la
proprietà privata, ma non pensavamo che si arrivasse a tanto.
Evidentemente c’è dell’altro che sta nella natura e nello scopo del G8 del
2001.
Si dovevano decidere i tempi e i modi per realizzare il neoliberismo.
Contro questo, in tante e in tanti si erano date/i appuntamento a Genova e,
per questo, la repressione è stata così dura e, per certi versi, feroce.
Allora non ci voleva molta fantasia per sapere che cos’è il neoliberismo. Ma
oggi anche le/i più miopi lo sanno perché si sta realizzando giorno dopo
giorno.
Significa guerre “umanitarie”, smantellamento dello stato sociale,
distruzione dei diritti e delle tutele sul lavoro, significa gettare nella miseria e
nella disperazione milioni di persone.
Erano e sono messe in preventivo le rivolte e l’armamentario lessicale-
giuridico-poliziesco per reprimerle.

Sono condanne che hanno le caratteristiche di una sentenza esemplare e che
svolgono il compito di monito.
Sono condanne politiche.
E non solo perché sono stati usati articoli del codice introdotti durante il
fascismo, ma per la funzione che svolgono, sono di uno Stato totalitario e,
al di là di ogni ragionevole dubbio, chiariscono, dello Stato odierno, la
natura.

Allora si rivela l’inconsistenza di chi ha sostituito il vangelo con la
legge e l‘ipse dixit con il codice penale, dimenticando che la legge non è altro
che la sanzione formale di un rapporto di forza e dimenticando, altresì, che la
violenza è esercitata in una situazione di monopolio da chi il potere lo
detiene, accompagnando il tutto, paradossalmente, con appelli alla non
violenza rivolti esclusivamente, guarda caso, agli oppressi.

E’ come se noi femministe dicessimo alle donne di non ribellarsi e di non
reagire. Così, se si sopravvive, ci si rivolge alla legge e, se si muore,
verrà fatto un” bel” processo in cui verranno verificate, chiaramente, anche le
nostre colpe.
Ma che non-violenza è questa? noi la violenza la dobbiamo subire
passivamente?
dobbiamo diventare prima di tutto vittime perché qualcuna/o ci ricavi un
bell’ elzeviro su qualche giornale? e gli oppressi devono mendicare il pane davanti
a qualche chiesa o a qualche mensa della Caritas?

Diciamocelo francamente, fuori dai denti, troppe donne subiscono violenza in
silenzio perché  hanno introiettato la cultura della vittimizzazione e sono
state “costruite” da questo sistema patriarcale nella passività.
E chi le mantiene in questa cultura e autorappresentazione sono tutte quelle
e tutti quelli , sempre le stesse/i, che predicano non violenza sempre e
soltanto alle vittime e che insieme alle legaliste/i, con cui vanno a braccetto,
propongono e sostengono che la soluzione “sarebbe” nello Stato e nei suoi
rappresentanti, come se, parafrasando Zarko Papic, questo sistema e quindi
lo Stato e i suoi rappresentanti non fossero, invece, il problema.

In questo modo, infatti , viene creato un mostro, carnefice, giudice e
samaritano delle donne e degli oppressi tutti.

La sentenza della Cassazione sui fatti di Genova 2001 è stata scritta , in
certe righe, anche dalle prefiche della non-violenza e dalle legaliste a
prescindere.
Le muse della non-violenza che, ad ogni vetrina infranta, scrivono, con il
cuore esulcerato, pagine di dura condanna nei confronti degli autori, con la
stessa puntualità, di fronte alla violenza istituzionale, brillano per la
loro assenza e per il loro silenzio.
I teorici della non-violenza, il nemico lo generano all’interno degli
oppressi e secernono ogni sorta di metastasi disumana dove la non-violenza diventa
la violenza di un sistema che perseguita ogni forma di singolarità, che vieta
il conflitto, che lavora per instaurare un mondo che cassa ogni differente
ordine del corpo, del sesso, della nascita.
Per le non-violente comunque, l’uso di etichettare questo o quell’altro
comportamento come violenza politica non è altro che uno strumento per
delegittimare segmenti della società, movimenti e le loro rivendicazioni.
Oltre tutto, un concetto della non-violenza claudicante perché
volontariamente amputato della teoria e della pratica della disubbidienza civile.

La storia è sempre la stessa.

Negli Stati Uniti lo schiavismo era legale, scappare era un reato e reato
era anche dare rifugio alle schiave e agli schiavi fuggite/i.
C’era chi era per l’osservanza della legge, chi si disinteressava di tutto e
chi li ospitava e nascondeva.
E anche adesso c’è chi fa le leggi, chi le vive come un feticcio e c’è chi
aiuta gli ebrei e i partigiani di oggi cioè chi scappa dai Cie, chi si
ribella, chi protegge il proprio territorio dalla devastazione, chi vuole
uscire da questa società…..
Ognuna faccia le sue scelte.

Noi sono secoli che scappiamo da genitori, da mariti, da figli, da fratelli,
da famiglie… da società che ci vogliono dire quello che possiamo e
non possiamo fare, quello che dobbiamo o non dobbiamo essere e che ci hanno
punito e ci puniscono senza pietà ogniqualvolta tentiamo di riprenderci la vita…
quindi dovremmo sapere bene da che parte stare perché le scelte di libertà
comportano sempre una scelta di campo.

Gli spazi neutri non esistono, né tanto meno apolitici, né tanto meno
tecnici e tutte le scelte sono politiche e di parte.

Elisabetta

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