Trento, 2 marzo: “Che il tempo della sottomissione si fermi”. Corteo in solidarietà a imputate e imputati del processo “Brennero”



Un approfondimento importante di RadioBlackOut sulla lotta delle prigioniere palestinesi nelle carceri israeliane

“Le prigioni israeliane hanno un ruolo fondamentale nella gestione coloniale della popolazione palestinese: attraverso un sistema giuridico creato ad hoc per giudicare i palestinesi, si è creata in Israele un’apartheid legale su base etnico-nazionale e, per esempio, in Cisgiordania tutti i coloni sono giudicati dalla corte civile, mentre tutti i palestinesi sono giudicati da una legge militare. La prigione israeliana non è solo un’istituzione di repressione, ma è anche un luogo in cui Israele testa tecniche di gestione per controllare varie forme di rivolta, che rivende ai paesi occidentali. Le ragioni per cui i palestinesi e le palestinesi sono arrestati/e sono molto varie: dalla resistenza fisica, all’attivismo politico o sui social. Nelle carceri ci sono membri dei vari partiti, insieme a molte studentesse legate, per esempio, alle attività nei sindacati studenteschi.
Israele ha creato una rete carcerale (definizione di una ricercatrice francese, Stéphanie Latte Abdallah) che permette di arrestare tutti i palestinesi dai 12 anni in su per ragioni molto varie, e che utilizza la legge della detenzione amministrativa, che permette di arrestare qualcuno senza nessuna accusa, di tenerlo in prigione per sei mesi rinnovabili, senza che nessuno, ne avvocati, né medici, né famigliari, sappiano perché sia in carcere.
In questo quadro, le donne palestinesi, come nel resto del mondo, sono meno incarcerate rispetto agli uomini e, certamente, questo ha avuto un impatto sulle loro forme di autorganizzazione. La prigione israeliana, a partire dagli anni 70, è stata trasformata dalle donne e dagli uomini palestinesi in un laboratorio intellettuale e politico. Le donne, che fanno parte del movimento di liberazione palestinese, ma hanno delle specificità legate alle loro condizioni particolari. Una delle prime rivendicazioni delle donne palestinesi è stato il fatto di vedersi riconosciuto uno status di prigioniere politiche, rispetto alle altre detenute israeliane. Il movimento delle donne palestinesi ha attraversato diverse tappe nella storia, dalla rivendicazione di migliori condizioni materiali (materassi e condizioni delle celle), alla strutturazione di corsi di educazione in carcere per la produzione culturale delle prigioniere e dei prigionieri. Le lotte si strutturano in comitati di gestione, che erano incaricati di gestire, ad esempio, la biblioteca, i corsi clandestini che le donne faranno in prigione, il tribunale interno che ha l’obbiettivo di non fare mai riferimento all’amministrazione penitenziaria israeliana, e forme di elezione delle rappresentanti delle donne. Nel 94-96, durante gli accordi di Oslo, accordi che hanno aiutato l’ampliamento della colonizzazione israeliana in Palestina, nell’ambito della liberazione di alcuni prigionieri/e era stato imposto a cinque donne, che avevano ucciso soldati israeliani, di rimanere in carcere. Le donne allora, si riunirono e rifiutarono di uscire e lasciare in carcere delle compagne, perché la lotta era (ed è) collettiva e la liberazione deve essere collettiva: per sedici mesi hanno fatto molti scioperi, si sono chiuse in due celle in 30 donne, si sono riunite e hanno preso decisioni solo orizzontalmente, rifiutando le imposizioni degli israeliani e anche dell’autorità palestinese, che avrebbe voluto governarle. Dopo sedici mesi di lotta dura, le donne palestinesi hanno ottenuto la liberazione di tutte le donne. Se questo modello fosse stato trasmesso agli uomini e se fosse stato tramandato nella storia, forse, si sarebbe potuta ottenere la liberazione di altri prigionieri.
In seguito al 7 ottobre 2024, i prigionieri palestinesi sono raddoppiati (da 4000 a 9000, di cui donne 80-90) nelle carceri di Gerusalemme e della Cisgiordania, mentre tutte e tutti gli uomini prigionieri di Gaza sono in dei campi di detenzione spesso nel deserto in condizioni inumane. Anche nelle prigioni per le donne, ci sono state forme di repressione molto più forti, intensificate in maniera esponenziale dal 7 ottobre in poi. C’è una situazione di sovraffollamento nelle prigioni (12 persone dove ce ne starebbero 5); non hanno più diritto all’ora d’aria; hanno solo ora in cui possono uscire dalle celle, tempo nel quale devono anche usare il bagno.
Il movimento delle donne prigioniere e degli uomini palestinesi sta vivendo una condizione estrema, ma trova sempre dei nuovi modi inventivi e creativi di resistenza, fino a che tutti e tutte saranno libere.
Abbiamo intervistato Asia, ricercatrice indipendente che svolge una ricerca sulla condizione e sulle lotte delle donne nelle carceri israeliane:
La lotta delle prigioniere palestinesi dalle carceri israeliane
✓ “Siete fuori dalla legalità”. Italia 1982. Un ex brigatista ricorda
✓ L’origine della “soluzione a due Stati” in Palestina e perché è coloniale, iniqua e impraticabile


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“Ringraziamo tutte le persone che in questo fine settimana sono passate al Campetto:
A Coordinamenta Femminista e Lesbica per la proiezione di Women in STRUGGLE e per il dibattito, all Assemblea per la Palestina Pescara per la serata e per il benefit per Gaza e tutte coloro che hanno cantato e suonato nella serata.
E poi la domenica a chi ha fatto i mercatini ed al collettivo Terra e Libertà con l’interessantissimo e necessario dibattito sugli OGM e sull’ecosistema in cui siamo inseriti e la direzione in cui stiamo andando…”





✓ Un esempio di estrattivismo: l’ “oro bianco” (il litio). Pseudomiti contadini e francescanesimo che destabilizza
✓ Ancora pensieri contro Stati e frontiere
A Gioia del Colle, in Puglia l’esercito italiano ha organizzato prove di “military fitness” per bambini delle elementari, con tanto di alzabandiera, con Sindaco e Preside in piazza. Una specie di campagna di arruolamento in cui vengono distribuiti opuscoli su come si diventa soldati, in cui le bambine e i bambini vengono fatti salire su mezzi militari e possono indossare giubbotti antiproiettile.

“Steadfast Defender 2024 è la più grande esercitazione NATO degli ultimi decenni. Una chiara dimostrazione della nostra unità, della nostra forza e della nostra determinazione a proteggerci a vicenda“, ha affermato il Comandante Supremo Alleato in Europa, Generale Christopher G. Cavoli.
L’esercitazione, la più grande dall’ultima esercitazione Reforger nel 1988, vedrà la partecipazione di circa 90.000 militari provenienti dai 31 alleati della NATO e dalla Svezia. Metterà alla prova la capacità dell’alleanza di schierare rapidamente le forze e metterà alla prova i nuovi piani di difesa della NATO, hanno detto i funzionari, e costituisce il primo test su larga scala dei piani di difesa dell’Alleanza approvati al vertice di Vilnius dello scorso anno in Lituania.
L’esercitazione si svolgerà principalmente in Finlandia, Estonia, Germania, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Norvegia, Polonia, Romania, Slovacchia, Svezia e Regno Unito. Ci saranno più di 50 mezzi navali, tra cui portaerei, cacciatorpediniere, fregate e corvette. Le risorse aeree includeranno F-35, Eurofighter, F-18, Harrier, F-15, F-16, Gripen, elicotteri e una miriade di velivoli senza pilota. Ci saranno anche più di 1.100 veicoli da combattimento, inclusi più di 150 carri armati, 500 veicoli da combattimento di fanteria e 400 veicoli corazzati.
E’ molto pericolosa perché alza la tensione con la Russia che non ha mostrato alcun segno di voler attaccare la Nato e lo ha dichiarato, perché alza in maniera esponenziale la spesa militare e la corsa agli armamenti, perché mette in conto la guerra nucleare.

✓ Abbattere le frontiere, al Brennero e ovunque
✓ Da Gradisca a Ponte Galeria, viva le rivolte nei CPR
Riprendiamo da terraelibertanoblogs.org:
Pubblichiamo questo volantino distribuito il 26 gennaio scorso a Trento, quando circa 200 trattori hanno mandato in tilt il traffico cittadino. Non è stato scritto da compagni, ma da partecipanti a una rete di scambio di beni e lavori senza denaro (“Banca etica del tempo”, si chiama), presenti anche nelle piazze contro il Green Pass e oggi in quelle contro il genocidio del popolo palestinese. Dal momento che la questione del cibo – di come viene prodotto, di quale rapporto con l’ambiente riproduce, di come viene distribuito – è una questione sociale (e rivoluzionaria) decisiva, l’attuale moto internazionale di agricoltori e allevatori merita la massima attenzione. Per lo più autonomo e ostile, almeno in Italia, rispetto ai sindacati di categoria, esso sta facendo esplodere la contraddizione tra “crisi climatica” e “crisi sociale”, e può prendere diverse direzioni a seconda di chi e cosa incontra per strada. Per quel che riquarda le prime iniziative di protesta in Trentino, possiamo segnalare due aspetti. Il primo è che il punto di riferimento di chi ha lanciato gli appuntamenti è il “mondo no green pass” (per il quale il nemico assoluto è il World Economic Forum di Davos). Il secondo è che la piattaforma rivendicativa è oscillata nel giro di qualche ora da obiettivi più universali ad altri più corporativi. Se, in una prima versione, si rifiutava la digitalizzazione (o “agricoltura 4.0”), i nuovi OGM, il cibo da laboratorio, e si proponeva una rilocalizzazione della produzione del cibo più favorevole ai contadini e meno devastante per l’ambiente, nella seconda versione sono comparse le piccole-medie imprese da salvaguardare contro i piani di Bruxelles e delle multinazionali. Non è sbalorditivo. Anche il mondo contadino è diviso in classi. Ma i riflessi delle condizioni di lavoro sulle coscienze non sono unilaterali. Se quasi tutti parlano contro la carne sintetica e la farina di grillo, non è solo per salvaguardare il proprio reddito, ma anche per una certa visione del mondo e dell’umano. Quello che c’è nelle teste, insomma, ha oggi un suo peso specifico maggiore rispetto al passato. È anche sulle idee di società, oltre che sulle forme di lotta, che si disegnano alleanze e complicità. La vasta simpatia che ha accolto il passaggio dei trattori può diventare partecipazione attiva. Come ha scritto un contadino sul suo cartello: «La nostra fine sarà la vostra fame».[…]
