Per Barbara/ Un giorno le generazioni future vinceranno anche per te.

Nonostante il nostro separatismo e la scelta di pubblicare solo firme di donne, rimbalziamo da Contropiano questo ricordo molto bello di Vincenzo Morvillo per Barbara Balzerani.

Addio Barbara, la lotta fino all’ultimo respiro

Non sono le immagini, le foto, le tracce segnaletiche di una rimembranza fatta di effimera riproduzione del realeche in questo momento voglio andare a riprendere per riannodare i fili di un discorso troncato d’improvviso.

E forse, amica mia, non sono neanche le parole che pure costituivano e costituiscono, per te e per me, la malta con cui edificare palazzi di racconti su frontiere di vento e cristallo.

Quelle frontiere spazzate, abitate da pezzenti ubriachi sui marciapiedi del Capitale.

No, per riavvolgere il nastro di una memoria che il potere vorrebbe smagnetizzata non ho bisogno di icone o di codici convenzionali.

Ma di spazi bianchi, di pause, di sospensioni che palpitano di silenzio tra una suffisso e una desinenza smarrite sulla pagina.

Dissonanze del ritmo. Sincopi della Storia che non amavi lineare. Ma spezzata in una jam session jazz tra le note dei dannati che mandano in pezzi gli orologi. Quelli fabbricati da chi si crede il padrone del Tempo.

Quante volte parlando al telefonoho ascoltato queste sospensioni gravide di attese. Questi sospiri interlocutori che non dicevano eppure significavano.

Danze di un respiro – giusto il titolo del tuo ultimo libro – che lasciavano presagire la promessa di un’ intesa stipulata nel passato, ma deflagrata nel futuro.

Fummo parte di uno stesso percorso che succederà ancora. Una rivoluzione che prende le mosse dall’etica di una vita in eccesso.

Perché niente è più puro, più etico, più umano di un’esistenza che ha fatto i conti con l’azzardo della morte. Con la scommessa della vita. Con la dannazione della lotta per la sopravvivenza.

Nulla di meno. Sopravvivere alla laida legge del pensiero che si pretende univoco nel suo pensarsi e pensare le strutture sociali e le relazioni tra esseri.

Pensiero di mercato. Pensiero di consumo.

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9 marzo a Viareggio/ Palestina e Medioriente nelle attuali trasformazioni geopolitiche

Dalle Donne In Cantiere

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Domenica 3 marzo a Ponte Galeria

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8 marzo 2024 con le Donne che resistono!

a cura di Donne de Borgata.

DONNE CHE RESISTONO Storie di donne nella resistenza, dalle borgate romane alle partigiane combattenti.

«A un certo punto, sentimmo voci salire da via Magna Napoli e vedemmo comparire un gruppo di civili armati con fucili a tracolla, rivolti alle nostre finestre: ci invitavano a scendere per portare aiuto ai militari che combattevano. A quell’invito pensai che anch’io avrei potuto essere utile in un luogo dove si combatteva: “Io vado” dissi a mia madre. “Ma sei matta! Ma che ci va a fare una donna? Quell’invito è rivolto agli uomini”. “Vado a vedere. Donne e uomini saremo tutti utili”». Carla Capponi, GAP centrali di Roma, nome di battaglia Elena.

E utili lo sono state davvero le donne nella Resistenza. Ragazze combattenti che nei GAP hanno compiuto attentati nelle città e che hanno fatto parte delle formazioni partigiane sulle montagne e nelle pianure. Donne delle borgate romane, spesso di origini proletarie e con famiglie numerose a carico, che hanno scelto la Resistenza, contro ogni pronostico: le loro storie, spesso dimenticate, sono fatte di sabotaggi, piccole e grandi ribellioni e supporto logistico imprescindibile per le formazioni partigiane in clandestinità. E poi donne che hanno organizzato e partecipato a manifestazioni e scioperi, che hanno diffuso stampa clandestina e trasmesso informazioni e che sono state staffette, telegrafiste, infermiere. Donne che hanno preso le armi e hanno scelto di combattere in prima fila contro l’occupante nazifascista. E che per questo che sono state incarcerate, torturate e uccise.

Durante la resistenza le donne hanno deciso di sovvertire i ruoli predeterminati e di prendere parte al processo di liberazione del paese: hanno scelto di essere partigiane. Una scelta che spesso è stata dimenticata o ridimensionata dietro un “anche”: quante volte abbiamo sentito dire che “alla Resistenza hanno partecipato anche le donne”? Come se fossero soggetti estranei, “naturalmente” destinati alla cura, alla protezione e alla riproduzione di vita, più lecitamente destinate a essere vittime di violenza, più che ad esserne parte attiva.

Eppure, la presenza attiva delle donne nelle esperienze di liberazione nazionale e rivoluzionarie e nelle lotte anticoloniali e antimperialiste, il loro protagonismo nelle lotte sociali, ambientali e territoriali e la loro partecipazione in formazioni armate è stata storicamente una costante in tutto il mondo. Donne che hanno opposto resistenza in passato e che resistono ancora oggi, come ci insegnano le donne Palestinesi.

Sta a noi oggi ricordare le loro storie, a partire dall’esperienza di liberazione del nostro paese, e diffondere il loro esempio, anche per chi oggi resiste e lotta per una società libera dall’oppressione e dallo sfruttamento: donne, ragazze e libere soggettività delle borgate, studentesse, precarie, disoccupate e migranti.

Ne parliamo venerdì 8 marzo, dalle 18.30 al GAP, via dei Sabelli 23, con Eva Muci (Ricercatrice), Lidia Martin (Storie in movimento) e la Coordinamenta femminista e lesbica.

A seguire dj set con Sailor Trash!

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8 marzo 2024/ SI! la questione palestinese è una questione femminista.

8 marzo 2024/ Il femminismo e la questione palestinese

SI! la questione palestinese è una questione femminista.

Qualche mese fa un collettivo femminista palestinese ha detto che “la questione palestinese è una questione femminista” Si, è vero, è una questione femminista. Ma non lo è perché le donne palestinesi vengono uccise a migliaia, non lo è perché si sono caricate e si caricano sulle spalle la lotta quotidiana per la sopravvivenza del loro popolo e della loro terra, non lo è perché vengono arrestate, incarcerate, torturate nelle carceri israeliane e anche qui dimostrano coraggio, determinazione, capacità di azione e di autorganizzazione. Non è una questione femminista nemmeno perché le donne partecipano attivamente alla resistenza e alla lotta anche in armi. Tutto questo è importantissimo e di grande spessore. Ma la questione palestinese è una questione femminista perché il femminismo è un movimento politico di liberazione delle donne dall’oppressione e, con le donne, degli oppressi tutti e si fonda su alcuni principi imprescindibili, inderogabili e non negoziabili.

Il femminismo si batte contro il dominio e il possesso, lotta contro il patriarcato, contro l’autoritarismo e la gerarchia che sia tra persone, tra sessi, tra popoli, tra stati ed è quindi antimperialista, rifiuta la mercificazione della vita, è anticapitalista, antirazzista, anticoloniale, antisessista, antifascista.  Si batte contro la normatività e le discriminazioni, contro le strumentalizzazioni, contro il militarismo, contro la legge del più forte.

In questa società la legittimità dei mezzi garantisce la giustezza dei fini. La legalità è legittimità riconosciuta, la violenza legale è, pertanto, l’unica violenza legittima. Infatti la violenza viene praticata in e nei confronti di un’area sociale che non coincide con quella dei detentori del potere. E lo sforzo è tutto teso affinché questo uso della forza e i relativi comportamenti violenti siano accettati e interiorizzati nel costume dei più. (Coordinamenta femminista e lesbica, Femminismo: paradigma della violenza/non violenza, 2022, p.11)

Il femminismo si può definire tale se, e solo se, percorre strade di liberazione negli infiniti modi in cui queste strade possono essere percorse. Non può essere ridotto all’emancipazionismo, che deve essere un mezzo e non un fine, né alle lotte categoriali, agli orticelli protetti, alle quote rosa, alle promozioni personali, alle cordate per la spartizione del potere, al collaborazionismo.

Si batte per l’autodeterminazione e l’autodifesa e ritiene importantissima l’analisi politica rivolta all’individuazione del nemico, che si tratti del fronte esterno o del fronte interno.

È proprio in questo senso che la nostra storia e la nostra esperienza ci hanno insegnato a distinguere sempre tra aggressore ed aggredita. Sappiamo fin troppo bene che cosa significhi mettere sullo stesso piano chi esercita sistematicamente violenza per scelta, per impostazione, per quell’abitudine all’arroganza che deriva dalle posizioni di potere, e chi invece si difende, si organizza, resiste e cerca di liberarsi. Sappiamo fin troppo bene cosa significhi il tentativo sistematico nei tribunali, da parte delle istituzioni, delle forze di polizia, della società benpensante, di mettere sullo stesso piano l’uomo che la violenza la esercita e la donna che la subisce, con un ribaltamento mistificante delle posizioni attraverso il quale è la vita della donna che finisce per essere giudicata e rivoltata come un calzino.  Sappiamo fin troppo bene tutto questo e sappiamo anche benissimo che le donne aggredite non sono e non devono essere per forza buone e perfette: sono intelligenti o stupide, paurose o coraggiose, attente o superficiali… come tutti gli altri esseri umani, ma sono oppresse e sono aggredite e sono sfruttate e sono uccise, e questo è inaccettabile!

Tutto ciò vale nei rapporti interpersonali, nei rapporti con il maschile, vale nei rapporti fra popoli, vale nella collocazione rispetto all’aggressione imperialista portata avanti in questo momento storico dagli Stati Uniti e dalla Nato, con la collaborazione attiva in particolare dei paesi europei, Italia in prima fila, nei confronti della Russia con la guerra in Ucraina.

Vale per l’aggressione sistematica e continua, per il colonialismo spietato, per l’arroganza sionista di Israele nei confronti della Palestina. Continua a leggere

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8 marzo 2024/ La questione palestinese è una questione femminista

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Manifestazioni a Roma per la Palestina: questo pomeriggio e sabato 2 marzo

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9 marzo a Trento/ Contro l’Intelligenza Artificiale!

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Ascoltate questa sera Zardins Magnetics/ giovedì 29 febbraio 2024

Zardins Magnetics di giovedì 29 febbraio 2024

Questa sera ascolta Zardins Magnetics su Radio Onde Furlane, dalle ore 20 alle 21 e 30 circa.

Gli argomenti:

✓ Eugène – Sergio, da Valeriano alla banlieue di Parigi, un proletario immigrato all’ “Università operaia”, e un ribelle, martire della Resistenza friulana, al ritorno. Per la serie “cattivi maestri”

✓ Storie di donne palestinesi nella lotta di liberazione dal dominio sionista e nella resistenza alla carcerazione

Ascolta la diretta:
FM 90.0 MHz
https://radioondefurlane.eu/

Riascolta le trasmissioni passate:
https://zardinsmagneticsradio.noblogs.org/

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In giro per Roma per la Palestina!

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Un soldato americano si dà fuoco per la Palestina “Non voglio più essere complice del genocidio”

Un soldato americano dell’Aeronautica militare si è dato fuoco, ed è morto poco dopo in ospedale per le gravi ustioni, davanti all’Ambasciata di Israele a Washington per protesta riguarda al genocidio che Israele e i suoi alleati, in prima linea gli Usa, stanno perpetrando in Palestina.

Il soldato si chiamava Aaron Bushnell,  aveva 25 anni, r ha trasmesso la sua protesta in diretta su Twitch. Aaron si è dato fuoco gridando: “Io non voglio più essere complice del genocidio: Palestina libera!”.

E nessuno sta dicendo niente!

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Trento, 2 marzo: “Che il tempo della sottomissione si fermi”.

Trento, 2 marzo: “Che il tempo della sottomissione si fermi”. Corteo in solidarietà a imputate e imputati del processo “Brennero”

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Smart ed ecologica? 2 marzo incontro pubblico a Busto Arsizio

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La lotta delle prigioniere palestinesi nelle carceri israeliane

Un approfondimento importante di RadioBlackOut sulla lotta delle prigioniere palestinesi nelle carceri israeliane

“Le prigioni israeliane hanno un ruolo fondamentale nella gestione coloniale della popolazione palestinese: attraverso un sistema giuridico creato ad hoc per giudicare i palestinesi, si è creata in Israele un’apartheid legale su base etnico-nazionale e, per esempio, in Cisgiordania tutti i coloni sono giudicati dalla corte civile, mentre tutti i palestinesi sono giudicati da una legge militare. La prigione israeliana non è solo un’istituzione di repressione, ma è anche un luogo in cui Israele testa tecniche di gestione per controllare varie forme di rivolta, che rivende ai paesi occidentali. Le ragioni per cui i palestinesi e le palestinesi sono arrestati/e sono molto varie: dalla resistenza fisica, all’attivismo politico o sui social. Nelle carceri ci sono membri dei vari partiti, insieme a molte studentesse legate, per esempio, alle attività nei sindacati studenteschi.

Israele ha creato una rete carcerale (definizione di una ricercatrice francese, Stéphanie Latte Abdallah) che permette di arrestare tutti i palestinesi dai 12 anni in su per ragioni molto varie, e che utilizza la legge della detenzione amministrativa, che permette di arrestare qualcuno senza nessuna accusa, di tenerlo in prigione per sei mesi rinnovabili, senza che nessuno, ne avvocati, né medici, né famigliari, sappiano perché sia in carcere.

In questo quadro, le donne palestinesi, come nel resto del mondo, sono meno incarcerate rispetto agli uomini e, certamente, questo ha avuto un impatto sulle loro forme di autorganizzazione. La prigione israeliana, a partire dagli anni 70, è stata trasformata dalle donne e dagli uomini palestinesi in un laboratorio intellettuale e politico. Le donne, che fanno parte del movimento di liberazione palestinese, ma hanno delle specificità legate alle loro condizioni particolari. Una delle prime rivendicazioni delle donne palestinesi è stato il fatto di vedersi riconosciuto uno status di prigioniere politiche, rispetto alle altre detenute israeliane. Il movimento delle donne palestinesi ha attraversato diverse tappe nella storia, dalla rivendicazione di migliori condizioni materiali (materassi e condizioni delle celle), alla strutturazione di corsi di educazione in carcere per la produzione culturale delle prigioniere e dei prigionieri. Le lotte si strutturano in comitati di gestione, che erano incaricati di gestire, ad esempio, la biblioteca, i corsi clandestini che le donne faranno in prigione, il tribunale interno che ha l’obbiettivo di non fare mai riferimento all’amministrazione penitenziaria israeliana, e forme di elezione delle rappresentanti delle donne. Nel 94-96, durante gli accordi di Oslo, accordi che hanno aiutato l’ampliamento della colonizzazione israeliana in Palestina, nell’ambito della liberazione di alcuni prigionieri/e era stato imposto a cinque donne, che avevano ucciso soldati israeliani, di rimanere in carcere. Le donne allora, si riunirono e rifiutarono di uscire e lasciare in carcere delle compagne, perché la lotta era (ed è) collettiva e la liberazione deve essere collettiva: per sedici mesi hanno fatto molti scioperi, si sono chiuse in due celle in 30 donne, si sono riunite e hanno preso decisioni solo orizzontalmente, rifiutando le imposizioni degli israeliani e anche dell’autorità palestinese, che avrebbe voluto governarle. Dopo sedici mesi di lotta dura, le donne palestinesi hanno ottenuto la liberazione di tutte le donne. Se questo modello fosse stato trasmesso agli uomini e se fosse stato tramandato nella storia, forse, si sarebbe potuta ottenere la liberazione di altri prigionieri.

In seguito al 7 ottobre 2024, i prigionieri palestinesi sono raddoppiati (da 4000 a 9000, di cui donne 80-90) nelle carceri di Gerusalemme e della Cisgiordania, mentre tutte e tutti gli uomini prigionieri di Gaza sono in dei campi di detenzione spesso nel deserto in condizioni inumane. Anche nelle prigioni per le donne, ci sono state forme di repressione molto più forti, intensificate in maniera esponenziale dal 7 ottobre in poi. C’è una situazione di sovraffollamento nelle prigioni (12 persone dove ce ne starebbero 5); non hanno più diritto all’ora d’aria;  hanno solo ora in cui possono uscire dalle celle, tempo nel quale devono anche usare il bagno.

Il movimento delle donne prigioniere e degli uomini palestinesi sta vivendo una condizione estrema, ma trova sempre dei nuovi modi inventivi e creativi di resistenza, fino a che tutti e tutte saranno libere.

Abbiamo intervistato Asia, ricercatrice indipendente che svolge una ricerca sulla condizione e sulle lotte delle donne nelle carceri israeliane:

La lotta delle prigioniere palestinesi dalle carceri israeliane

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Ascoltate questa sera Zardins Magnetics/ giovedì 22 febbraio 2024

Zardins Magnetics di giovedì 22 febbraio 2024

Questa sera ascolta Zardins Magnetics su Radio Onde Furlane, dalle ore 20 alle 21 e 30 circa.

Gli argomenti:

✓ “Siete fuori dalla legalità”. Italia 1982. Un ex brigatista ricorda

✓ L’origine della “soluzione a due Stati” in Palestina e perché è coloniale, iniqua e impraticabile

Ascolta la diretta:
FM 90.0 MHz
https://radioondefurlane.eu/

Riascolta le trasmissioni passate:
https://zardinsmagneticsradio.noblogs.org/

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