Zardins Magnetics di giovedì 26 dicembre 2024 in edizione anticipata!
Questa sera ascolta Zardins Magnetics su Radio Onde Furlane, dalle ore 20 alle 21 e 30 circa.
Gli argomenti:
VOCI CONTRO LA GUERRA
VOCI CONTRO LA GUERRA
di CDA Anca No
All’alba di una giornata di metà novembre, tre compagne a Venezia sono state svegliate dal nucleo antiterrorismo della Digos per un’operazione di perquisizione simultanea in grande stile. Decine di poliziotti sono stati impegnati nella ricerca delle armi del presunto atto criminoso: vestiti neri, bombolette di colore bianco, cappelli da baseball e dispositivi tecnologici in cui cercare i segreti di una notte, quella dell’8 giugno scorso, durante la quale alcune persone hanno deciso di opporsi con un’azione dimostrativa all’introduzione del ticket d’accesso a Venezia.
Il ticket è stato presentato da chi governa la città come utile a “gestire il turismo”, mentre a molti è apparso chiaro fin dall’inizio che si tratta di uno strumento per avere saldo controllo su chi si trova sul territorio comunale. Questo provvedimento reintroduce frontiere interne che, lungi dal contrastare la turistificazione della città, la consolidano, trasformando Venezia in un museo a cielo aperto con accesso a pagamento.
Davanti a ciò, nei mesi della fase di sperimentazione di questa misura, si sono registrate manifestazioni di contrarietà in varie forme e modalità. Tra queste, quella dell’8 giugno, quando, come riportano i giornali, alcuni banner pubblicitari sul ticket d’accesso di tessuto sono stati imbrattati e strappati.
Diciamolo: un’azione dalla portata devastante, danni incalcolabili, una città in ginocchio. Se non ci fosse da piangere, ci verrebbe da ridere: del tessuto macchiato o tagliuzzato può davvero essere motivo valido per una perquisizione che ha coinvolto più di 40 agenti di polizia in quella giornata? Senza contare i precedenti pedinamenti e incursioni nella vita privata delle persone indagate.
Da questa semplice, e molto veneziana, storia, ci sembra importante trarre alcune brevi riflessioni da condividere: Continua a leggere
Difficilmente un omicidio poteva suscitare una più vasta approvazione sociale di quello attribuito a Luigi Mangione. Analizzando l’impressionante fenomeno di vera e propria acclamazione in corso negli Stati Uniti (decine di migliaia di messaggi di sostegno, magliette, cappellini, spille, canzoni con le parole “deny, defend, depose” e “Free Mangione”, raccolte di fondi per le spese legali dell’accusato, boicottaggio del McDonald’s in cui è stato arrestato…), un consulente del “Network Contagion Resarch Institute” ha scritto queste righe gustose: «L’uccisione di Thompson viene accolta come una specie di segnale d’inizio di una più ampia guerra di classe».
Per comprendere un tale fenomeno bisogna capire innanzitutto chi era l’ammazzato.
Solo l’anno scorso, UnitedHealthcare, di cui Brian Thompson era l’amministratore delegato, ha fatturato 22 miliardi di dollari di profitti fatti letteralmente sulla pelle di milioni di persone. I maggiori azionisti di UnitedHealth sono il gigante della gestione patrimoniale Vanguard, che detiene una quota del 9%, seguito da BlackRock (8%) e Fidelity (5,2%). Le tre formule standard – rese celebri dai proiettili con cui Thompson è stato tirato giù dalle spese – attraverso le quali la società nega la copertura assicurativa per le cure mediche non valgono soltanto per interventi chirurgici particolarmente costosi. Quel “deny” è una risposta automatica per un sacco di gente e ogni giorno. Lontano dai quartieri di lusso, in quegli ectoplasmi che non sono né campagne né città, ma hinterland in mezzo al deserto, commesse, pulitori, operai, rider fanno la fila per entrare in farmacie indistinguibili dai supermercati, con la guardia armata all’entrata, in cui tutto – persino il dentifricio – è chiuso a chiave dietro il vetro. Finita la fila, un addetto «che emana quel sottile sentore di ammoniaca che fa pensare a una malattia endocrina» comunica che il farmaco prescritto dal medico non può essere consegnato perché manca l’autorizzazione preventiva da parte della compagnia assicurativa. Aggiungiamoci anche il sentimento di essere delle cavie per l’industria farmaceutica (e per Big tech). Pensiamo per esempio alle terapie digitali, la cui commercializzazione è stata autorizzata dalla Food and Drug Administration nel 2017. A spingere la gente ad accettare farmaci-software dotati di nano-sensori attraverso i quali il “tele-medico” può “monitorare” l’attività neuropsichica e metabolica, è spesso il ricatto di evitare in tal modo una polizza assicurativa più cara. In maniera più prosaica, dei dipendenti pubblici si trovano costretti ad indossare un fit bit (un orologio digitale che misura il numero di passi), altrimenti la UnitedHealthcare di turno può decidere di non assicurare chi ha una vita considerata non sana sulla base dei dati forniti da quel fit bit… Continua a leggere
La vita messa a valore?
L’esproprio dello spazio, del tempo, del lavoro?
Lo stato di guerra?
NO grazie!
Riceviamo e pubblichiamo
In questi primi giorni di dicembre, la guerra mondiale ormai in pieno svolgimento ha subito brusche accelerazioni. In pochi giorni, l’avanzata dei “ribelli” ha portato al crollo del regime di Assad, con il plauso di tutto l’Occidente che in tempo record riabilita una fazione scissionista di Al Qaeda (da “terroristi tagliagole” a “islamici moderati” e interlocutori politici). Intanto, l’esercito sionista invade il territorio siriano e procede a distruggerne le infrastrutture militari. Uno scenario in rapida evoluzione e ancora difficile da districare, ma che marca un ulteriore allargamento del conflitto in Medio Oriente. E se in Libano prosegue una fragile tregua, a Gaza le bombe sioniste continuano a massacrare famiglie intere.
In Europa, mentre la disfatta ucraina è sempre più palese – tanto che anche i media mainstream iniziano a parlare della diserzione dilagante –, i partiti con posizioni contro la guerra mietono ampi successi elettorali ma trovano la strada sbarrata, come sta succedendo in Romania e Georgia, e il centro del vecchio continente sprofonda nella crisi politica (ed economica) segnata dal recente crollo dei governi tedesco e francese.
Negli Stati Uniti, i colpi di coda dell’amministrazione Biden sembrano chiarire l’intenzione neoconservatrice di rispondere al crollo della loro egemonia trascinando il mondo intero in un conflitto sempre più irreversibile e sempre più vicino allo scarto atomico. E mentre l’ostilità alle politiche del binomio Biden-Harris è stata resa lampante dalla schiacciante vittoria del diversamente guerrafondaio Trump, gli sfruttati sempre più sfruttati degli USA acclamano Luigi Mangione, presunto uccisore del CEO di una multinazionale di assicurazioni sanitarie, salutato come vendicatore. La temperatura nel cuore dell’impero sale.
Man mano che il vortice della guerra globale si espande, le varie potenze globali e regionali sono costrette a gettare la maschera. Il campo si sgombra: sfruttati contro sfruttatori. Agli oppressi rimane una sola strada, per quanto impervia: trasformare il caos seminato a piene mani dagli USA (e non solo…) in una possibilità di riscossa e rivoluzione.
Mobilitarsi per ostacolare i piani di guerra dei padroni di casa nostra è il primo passo. Per questo il 19 dicembre saremo a Tessera (Venezia), al corteo contro lo stabilimento di Leonardo SPA che produce elicotteri da guerra, e il 21 dicembre ci troveremo a Venezia con un’assemblea pubblica per discutere di questi temi.
Corteo: inceppiamo la guerra!
19 dicembre
Ore 11:30
a Tessera (Venezia)
Ritrovo di fronte alla Chiesa Parrocchiale, fermata Tessera Triestina (bus 5/15)
Assemblea Pubblica
21 dicembre
ore 14:30
Tuttinpiedi, Piazza Canova 1, Mestre
L’assemblea Sabotiamo la guerra è uno spazio di coordinamento nato per alimentare una mobilitazione internazionale e internazionalista contro la guerra.
https://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/29448-algamica-in-vita-di-luigi-mangione.html
Per chi da sempre è impegnato idealmente in una lotta politica capita, un giorno sì e l’altro pure, commemorare morti sul lavoro oppure martiri che difendevano la causa degli oppressi e sfruttati, quando non addirittura giustiziati dalle forze di polizia di Stati democratici. Lo continueremo a fare con una certa sofferenza anche se lo abbiamo messo da sempre in conto.
In queste scarne note invece vogliamo spendere qualche parola e richiamare l’attenzione su Luigi Mangione in vita che ha compiuto un gesto “eclatante” negli Usa, che ha buttato e continua a buttare scompiglio fra i ben pensanti. Il perché è presto detto: sta riscuotendo non solo comprensione, che sarebbe, per così dire, nell’ordine delle cose in modo particolare se parte in causa in modo diretto, ovvero parente di un malcapitato che ha dovuto subire un torto da parte dell’ucciso, in questo caso tal Brian Thompson Ceo della divisione assicurativa di United Healthcare. Ma non in questi termini stanno i fatti, perché Luigi Mangione sta riscuotendo uno sconfinato plauso, forse anche inaspettato in modo particolare sempre dai benpensanti, che pone più di un interrogativo, in modo particolare perché il “killer di New York”, come viene definito dalla grande stampa assoldata dai vari establishment, non è un clochard, un barbone, un nero, un alcolizzato in preda ai fumi dell’alcool, un terrorista islamico, uno jihadista, o qualcuno sotto cura di qualche centro di igiene mentale e via di questo passo. No, ma si tratta di un giovane bianco di 26 anni, bello, ricco, laureato niente di meno che in ingegneria elettronica, che ha frequentato scuole di altissimo prestigio e di una famiglia di alto rango. Non solo, ma – chiosano i pennivendoli – «con un manifesto politico anticapitalista» dicono lor signori «nel quale rivendica il suo atto violento scrivendo: “Mi scuso per i traumi creati ma andava fatto, bisognava eliminare questo parassita”».
Lo scompiglio fra i ben pensanti non sta tanto nel gesto, figurarsi poi negli Usa dove si succedono stragi di chi spara all’impazzata “nel mucchio” proprio perché la società vive di rapporti economico-sociali capitalistici totalmente impersonali, dove perciò, è difficile se non impossibile arrivare al reo.
Ma i commentatori interessati vedono lo scompiglio nella motivazione per un verso e nella natura del soggetto che si è reso responsabile del reato. Due fattori che destano veramente preoccupazione. Perché non di uno squilibrato, sul quale pure andrebbero capite comunque le cause, ma di un pezzo di giovanotto di ottima famiglia e con motivazioni anticapitaliste. Dunque che sta succedendo nel paese più democratico, più ricco, più evoluto, più emancipato, più progredito, più militarizzato del mondo? C’è di che pensare, e lor signori si preoccupano per davvero, perché quando vogliono sanno anche leggere fra le pieghe dei fatti, e se si preoccupano vuol dire che percepiscono che si addensano nubi nere all’orizzonte, non solo negli Usa ma anche nella nostra Italia dove le strutture sanitarie sono avviate verso lo stesso percorso degli Usa. Perché Velia Alvich, sempre dal Corriere della sera, si meraviglia se si sviluppa negli Usa « […] quella (assurda) simpatia per il killer »? e perché «Una mattina gli americani si sono svegliati e «hanno scoperto di essere dalla parte di un killer»? O ancora «Una causa così sentita che alcuni utenti hanno deciso di attaccare vitualmente la sede di McDonald’s nel centro di Altoona, in Pennsylvania doma Mangione è stato arrestato ». Insomma cosa sta succedendo veramente in questa fase del modo di produzione capitalistico se nel paese più democratico del mondo le nuove generazioni scendono in piazza contro il genocidio dello Stato di Israele per difendere le ragioni del popolo palestinese e un giovane bianco e di buona famiglia programma e uccide un Ceo, lo rivendica con un Manifesto giustificandolo in nome dell’anticapitalismo? Continua a leggere
Riceviamo e pubblichiamo
Giovedì 19 dicembre vi aspettiamo a partire dalle 18 per svolgere insieme un’attività laboratoriale aperta a tutt3 di cartografia decoloniale.
Il laboratorio propone un’esplorazione collettiva delle relazioni di potere che si materializzano nelle mappe, con un’attenzione particolare ai dispositivi digitali che ci fanno sentire conness3.
A partire da riflessioni e condivisioni sugli strumenti cartografici cercheremo di mappare le interdipendenze e le asimmetrie di potere globali che passano attraverso smartphone, PC e dispositivi digitali. Quanti grammi di materiali preziosi ci accompagnano nella vita di tutti i giorni? Da dove vengono? Dove se ne vanno quando per noi diventano scarti? Come resistere agli oligopoli tecnologici e alle pratiche estrattiviste?
Per una riflessione collettiva su questi interrogativi a partire dagli strumenti cartografici, ci vediamo giovedì nella biblioteca transfemminista dell’Auro e Marco (📍Viale dei Caduti Nella Guerra di Liberazione, 268).
✓ Sabato 14 dicembre – Udine, discussione intorno alla strage di Piazza Fontana e all’assassinio dell’anarchico Pinelli
✓ 19 dicembre Tessera (VE) Inceppiamo la guerra! Corteo contro Leonardo
[…] per costringere le persone a lavorare al servizio di altri,… il capitalismo ha sempre dovuto ristrutturare l’intero processo della riproduzione sociale, rimodellando il nostro rapporto con il lavoro oltre al nostro senso d’identità, di spazio e tempo, e della nostra vita sociale e sessuale. […] Con la filosofia, la psicologia e il terrore: trasformare i corpi in forza lavoro/ p.102/ Oltre la periferia della pelle,D Editore, Roma,2023
A Verona a CASA DI RAMIA una disamina del DDL 1660 in fase di approvazione al Senato con il compagno avvocato Gregorio Moneti che presenterà il “Dossier sul DDL 1660: una legge liberticida” realizzato dal CORE (Comitato romano contro carcere e repressione) e un contributo femminista della compagna Noemi Fuscà della Coordinamenta Femminista e Lesbica. Buon ascolto!
-La Palestina (e noi) contro un mondo di eco – apartheid
“Il trattamento inumano e barbaro inflitto ai palestinesi è una minaccia per tutti noi. È un avvertimento di ciò che può essere fatto a noi – ricordandoci che viviamo in un sistema sociale che non si preoccupa delle vite umane e non esita a impegnarsi nella distruzione di massa delle persone per raggiungere i suoi scopi.”
Silvia Federici https://comune-info.net/sviluppo-capitalistico-e-guerra-alla-riproduzione-sociale/
La crudeltà della guerra che Israele sta conducendo contro il popolo palestinese e ora contro la popolazione del Libano è così estrema, il suo intento genocida così evidente che sembriamo smarriti di fronte alle possibili spiegazioni. In effetti, non ci sono parole per descrivere l’orrore e la sofferenza che le operazioni militari dell’IDF hanno inflitto ai palestinesi. Stiamo assistendo a una campagna di sterminio, per garantire che non rimanga nulla sul terreno che possa permettere loro di vivere nella loro terra o semplicemente di sopravvivere. Più di cinquantamila persone sono state massacrate, per lo più donne e bambini, senza contare le migliaia di corpi sepolti sotto le macerie delle loro case, per non essere mai recuperati, o i molti giustiziati, ora trovati in fosse comuni, alcuni chiaramente sepolti vivi o mutilati. Tutti i sistemi riproduttivi sono stati smantellati. Case, strade, sistemi idrici ed elettrici, ospedali sono stati distrutti, anche le ambulanze sono state bombardate. Così come tutti gli alberi e le coltivazioni. Almeno quattrocento medici, infermieri e altri operatori sanitari sono morti in questa campagna di sterminio durata un anno. Molti sono stati giustiziati, dopo essere stati sottoposti a pratiche umilianti, così come molte persone che si erano rifugiate nelle cliniche dopo che le loro case erano state bombardate. Ciò che è chiaro è che Israele sta conducendo sistematicamente una guerra totale contro tutto ciò di cui i palestinesi hanno bisogno per la loro riproduzione. E ora questa brutale campagna di morte si sta estendendo al Libano e forse nelle prossime settimane all’Iran, alla Siria e allo Yemen.
Le donne e i bambini, cioè le persone che garantiscono la riproduzione della comunità e sono la speranza per il futuro, vengono deliberatamente presi di mira. È stato fatto ogni sforzo per cancellare il passato. Israele teme il potere della memoria collettiva. Sa che mantenere viva la propria storia, il ricordo delle ferite e delle lotte passate è un potente mezzo di resistenza. La memoria della Knakba del 1948, dei villaggi distrutti e delle comunità sfollate, ha sostenuto generazioni di palestinesi che si sono ispirati a lottare fino alla fine per non lasciare la loro terra. In risposta, tutti i luoghi in cui si conservano documenti – biblioteche, università, archivi pubblici o personali – sono stati ridotti in polvere. E da settimane non è più permesso l’ingresso di cibo nell’area, per cui la gente muore di fame. E, sadicamente, quando sono arrivati gli aiuti alimentari, le persone che vi accorrevano sono state uccise e così anche gli operatori umanitari.
A questa campagna mortale, che entra nel secondo anno, si aggiunge il brutale assalto che i coloni israeliani, pesantemente armati e spesso in uniforme militare, hanno lanciato contro le fattorie palestinesi in Cisgiordania, costringendo i proprietari ad andarsene, sotto minaccia di morte, rubando e uccidendo i loro animali, distruggendo le aiuole per le coltivazioni. Non da ultimo, vanno citati i mille e più arrestati, sottoposti anche a continue torture e umiliazioni, alcuni tenuti in catene per così tanto tempo da dover subire l’amputazione delle gambe a causa della cancrena. Ciò che rende particolarmente orribile questa operazione genocida è che è condotta apertamente, di fronte al mondo intero, e gode del sostegno incondizionato degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, che forniscono un flusso incessante di denaro e armi per sostenerla. In effetti, tale è l’impegno degli Stati Uniti nel sostenere incondizionatamente le decisioni di Israele, per quanto assassine possano essere, che più che un sostenitore la sua posizione sembra quella di un partner, se non di un istigatore.
Qual è dunque la posta in gioco in Palestina? Cosa spinge i governi che si dichiarano difensori dei diritti umani ad abbandonare ogni pretesa e a cercare di soffocare ogni protesta contro questo genocidio? Continua a leggere
Ne parleremo in video collegamento con Silvia Federici il 5 dicembre 2024 a Strike, via U. Partini 21, Roma
Nelle ultime iniziative che abbiamo fatto su <Smart City e Città dei 15 minuti> abbiamo messo in evidenza come i poteri vogliono cambiare dalle fondamenta i modi e i tempi della nostra vita. Carlos Moreno nel suo “Manifesto della Città dei 15 minuti” dice proprio:
«È tempo di passare dalla pianificazione urbanistica alla pianificazione della vita urbana. Ciò significa trasformare lo spazio della città, ancora altamente mono-funzionale con le sue diverse aree specializzate, in una realtà policentrica, basata su quattro componenti principali -vicinanza, diversità, densità e ubiquità– per offrire a breve distanza le sei funzioni sociali urbane essenziali: vivere, lavorare, fornire, curare, imparare e godere»…«Dobbiamo essere creativi e immaginare, proporre e costruire un altro ritmo di vita, altri modi di occupare lo spazio urbano per trasformarne l’uso. Preservare la nostra qualità di vita ci impone di costruire altre relazioni tra due componenti essenziali della vita cittadina: il tempo e lo spazio».
Gli intenti della nuova fase del capitale sono espliciti e la nostra risposta deve essere altrettanto chiara: <Nostro lo spazio, nostro il tempo, giù le mani dalla nostra vita !>.
Nel recente libro di Silvia Federici <Oltre la periferia della pelle, ripensare, ricostruire e rivendicare il corpo nel capitalismo contemporaneo> (giugno 2023) ci sono passaggi importanti sul fatto che ogni volta il capitale ha voluto piegare i subalterni al suo nuovo modo di produzione ha agito su spazio e tempo delle vite: dalla chiusura dei terreni comuni, passando per i tempi e gli spazi della fabbrica taylorista, per la separazione dagli ambienti naturali, fino alla scuola che educa al lavoro o alla famiglia che ricostituisce la forza lavoro e trasmette i valori sociali dominanti.
[…] per costringere le persone a lavorare al servizio di altri,… il capitalismo ha sempre dovuto ristrutturare l’intero processo della riproduzione sociale, rimodellando il nostro rapporto con il lavoro oltre al nostro senso d’identità, di spazio e tempo, e della nostra vita sociale e sessuale. […] Con la filosofia, la psicologia e il terrore: trasformare i corpi in forza lavoro/ p.102
Dall’analisi storica dell’uso che il capitalismo ha fatto di tempo e spazio è chiaro quel che sta succedendo ora. Le delimitazioni metodiche della nostra esistenza (Smart city, Città dei 15 minuti, ZTL, smart working, digitalizzazioni imperanti, biotecnologie e agricoltura 4.0, emergenzalismo che sia per Covid, guerra o catastrofi ambientali, leggi repressive, collaborazionismo) non sono solo controllo sociale o mera gentrificazione. Vogliono piuttosto modificare i modi del (soprav)vivere per rinsaldare il dominio ed estrarre nuovo plusvalore molto più pervasivamente, attaccando alla base tutta la vita e i corpi. La consapevolezza femminista dei meccanismi del potere per costringere i subalterni nelle gabbie può essere molto utile per individuare e agire forme di contrasto e ribellione.
Ne parleremo con Silvia Federici il 5 dicembre 2024 a Strike, via U. Partini 21, Roma:
– 19:00 apericena – 20:30 presentazione dell’iniziativa
– 21:00 video collegamento con Silvia Federici – a seguire dibattito
Coordinamenta femminista e lesbica e No Green Pass Roma
-Il ginepraio di individuazione e soggettivazione, le trappole mortali del capitalismo.
Proviamo a parlare (anche) di GPA in una prospettiva (soggettiva) anarco-femminista