L’ultimo 25 Novembre
Questo per noi sarà l’ultimo 25 novembre. Non ne possiamo più di date inventate a tavolino dall’Onu o dai suoi collaterali e consorziati strumentalizzando l’assassinio delle sorelle Mirabal, non ne possiamo più di date e ricorrenze propagandate dalle varie istituzioni pubbliche false, ipocrite, utilitaristiche e prezzolate. Non ne possiamo più delle processioni, dei teatrini, dei pulpiti e delle scarpe rosse che il potere allinea nelle piazze, delle coccarde e delle panchine rosse nei parchi, dell’associazionismo e dei corsi di educazione per i tutori dell’ordine costituito, i magistrati, i carcerieri…annessi, connessi e collaterali.
Non ne possiamo più delle lacrime utilitaristiche delle patriarche che pontificano contro la violenza sulle donne e fanno leggi securitarie, liberticide, di povertà e ristrettezze economiche, che gettano tutte le altre donne nella miseria, nell’impossibilità di tutelarsi e autodeterminarsi, che costringono tutte le donne alla guerra fra povere, che sfornano legislazione repressiva e di controllo con la scusa dei femminicidi…braccialetti digitali, Mobil Angel, territori disseminati di telecamere, codici rossi, inasprimenti delle pene.
Non ne possiamo più di quelle che si dicono femministe e che ficcano la testa sotto la sabbia e continuano a rapportarsi con lo Stato, per convenienza o per abitudine, a pensare che la violenza sulle donne si risolva con la presa di coscienza degli uomini e delle istituzioni e non si accorgono o fanno finta di non accorgersi che il potere sta pesantemente strumentalizzando le donne e le diversità e le sta usando per una trasformazione profonda della società dalle fondamenta.
Giulia, ammazzata pochi giorni fa dall’ex perché voleva studiare, se ne voleva andare, voleva scegliere la sua vita, è l’ennesima di una lista senza fine e abbiamo ascoltato da tutti i pulpiti le solite esternazioni aberranti…il problema è culturale, bisogna insegnare il rispetto dell’altro, soprattutto nelle scuole, bisogna educare alla tolleranza, alla civiltà nei rapporti, al riconoscimento della libertà degli individui, al rispetto dei desideri e dei pensieri altrui, al rispetto delle diversità, bisogna introdurre nelle scuole l’educazione all’ affettività.
E quale sarebbe questo rispetto dell’altro? Quale sarebbe il rispetto dei desideri e dei pensieri altrui? Mettere in galera quelli che osano dissentire da questo sistema o anche solo pensare di costruire un’altra società? Escludere dal consesso lavorativo e civile tutte e tutti quelli che erano contro il green pass? Che volevano autodeterminarsi e rifiutare una terapia sperimentale? Dividere la gente in persone di serie A e di serie B a seconda dell’adeguamento al sistema di potere? Demonizzare tutti quelli/e che sono contro la Nato e contro le armi all’Ucraina? Che sono contro il controllo totale della nostra vita attraverso la digitalizzazione forzata, le sperimentazioni genetiche, i nuovi OGM, le smart cities o le ZTL? E quale sarebbe l’educazione alla tolleranza? Le guardie che si fanno forti di una divisa e sono armate anche in borghese? La tolleranza zero contro i diversi, i/le migranti, i nuovi Cpr, le periferie trattate come zone delinquenziali, la guerra ai poveri/e? e quale sarebbe la civiltà nei rapporti? Quella di spingere allo spionaggio di vicinato, alla delazione sul posto di lavoro, trasformare ogni cittadino/a in gendarme? E quale sarebbe il riconoscimento della libertà altrui? Quello delle guerre di aggressione degli Usa e della Nato, Italia compresa o il genocidio del popolo palestinese da parte di Israele?
La società neoliberista è una società violentissima che pratica sistematicamente la legge del più forte in ogni ambito nascondendosi dietro parole ipocrite, che esalta il dominio e il possesso, che mette in atto prevaricazione, stigma e controllo sui subalterni/e, esclusione sociale e morte civile quando non direttamente fisica. Perché non dovrebbero farlo gli uomini con le donne? I meccanismi patriarcali infatti sono gli stessi che ha usato e sta usando l’attuale fase del capitale per la trasformazione della società dalle fondamenta.
Il neoliberismo ha patriarcalizzato la società tutta, ha imperniato l’assoggettamento di tutti i subalterni su principi che il modello patriarcale ha usato per l’assoggettamento delle donne:
L’asservimento delle donne è stato praticato e perpetuato estorcendo la nostra partecipazione emotiva ai dispositivi dello sfruttamento […] E una volta dentro, non esiste distinzione tra tempo del lavoro e tempo libero, dobbiamo essere disponibili ventiquattro ore su ventiquattro, dobbiamo riconoscere il nostro ruolo ed esserne appagate poiché solo così potremo essere felici, potremo dare un senso, un senso pieno, alla nostra esistenza. Lo sfruttamento patriarcale ci espropria alla fine anche della nostra emotività: dobbiamo provare solo i sentimenti che sono stabiliti. Il neoliberismo ha esteso questi dispositivi di sfruttamento oltre la famiglia, oltre il lavoro riproduttivo. Ha femminilizzato il lavoro salariato. L’azienda neoliberista pretende da lavoratori e lavoratrici una dedizione assoluta, e spesso e volentieri gratuita, una partecipazione emotiva alle sorti della stessa, una continua reperibilità. Sempre più spesso, sempre più diffusamente, “portiamo a casa” il lavoro e non riusciamo più a godere del, poco, tempo libero che ci viene lasciato. Ma il neoliberismo vuole anche altro. Un mettersi in gioco continuamente per dimostrare quanto si è bravi/e, un’attesa continua del riconoscimento del merito e quindi una continua dipendenza dal giudizio. L’ossessione valutativa, portato dell’ideologia meritocratica, viene naturalizzata spingendo uomini e donne a riconoscere “affettivamente” la filiera gerarchica. Accettazione supina della propria inadeguatezza e quindi dei rimproveri che ci vengono mossi, delle umiliazioni a cui siamo tutte e tutti quotidianamente costretti, della concorrenzialità con i propri simili; una disponibilità ad assumere la scala di valori vincente e quindi a stigmatizzare tutti quelli che si comportano in maniera deviante. Ma anche questo, come donne, è un meccanismo che conosciamo bene. Da sempre noi donne dobbiamo dimostrare di essere brave, di essere all’altezza. Il giudizio altrui ha sempre contato moltissimo; lo “sguardo maschile”, sicuramente, ma anche quello delle altre donne a cui è stato attribuito il compito di “cani da guardia” del sistema, portato a termine stigmatizzando tutte le altre donne che non accettano la norma, la normalità, che non vogliono rientrare nei ranghi della scala di valori codificata. Nel mondo del lavoro salariato, poi, il nostro impegno nel dimostrare quanto valiamo si è addirittura centuplicato. Come in famiglia, anche negli altri luoghi di lavoro, dobbiamo accettare rimproveri e rimbrotti perché chi li fa sa meglio di noi qual è il nostro bene. Ci costringono a interiorizzare il senso della nostra inadeguatezza: è un nostro difetto, atavico, proprio perché, in fondo, non siamo in grado di scegliere il “meglio” per noi. E come hanno potuto ottenere da noi tutto questo? Attraverso la costruzione dei ruoli sessuati e non, la santificazione dell’autorità, la continua affermazione della logica del possesso, la retorica della responsabilità e del sacrificio, spingendoci ad introiettare la legalità con la minaccia dello stigma sociale, del ricatto affettivo ed economico, della repressione poliziesca.
In altri termini: hanno normalizzato e naturalizzato lo sfruttamento, l’oppressione, la mortificazione, la degradazione. La descrizione del nostro presente, costruito sulle gerarchie di genere, classe e razza, è diventata prescrizione del presente. (Quattro Passi/Note sul femminismo nella fase neoliberista del capitale pp.53,54)
La violenza patriarcale sotto mentite e negate spoglie intride le nostre società occidentali in profondità. Se c’è un movimento che in questo momento dovrebbe battersi contro le dichiarazioni emergenziali, la sperimentazione sui corpi attraverso il ricatto di un <bene comune e superiore> o attraverso il miraggio di una salute perfetta, di figli perfetti e per tutti, che dovrebbe battersi contro le leggi e i processi di interiorizzazione delle ideologie dominanti vecchie e nuove, contro i processi di asservimento che si concretizzano nel controllo sociale e territoriale serrato, nella digitalizzazione a tutto campo, nella guerra sul fronte esterno ed interno, questo dovrebbe essere proprio il movimento femminista.
Invece la ricerca della felicità individuale e collettiva è stata capovolta in una realizzazione personale totalmente dimentica dell’originaria azione creativa e dialettica del femminismo.
Ogni riflessione e pratica eterodiretta rispetto al pensiero unico viene rinchiusa dal potere nella logica del negativo e del patologico, da reprimere, utilizzando da un lato le componenti socialdemocratiche riformiste come agenti controrivoluzionari, dall’altro le componenti dichiaratamente fasciste con la repressione diretta. Le une e le altre sono complementari.
Tutto questo ha portato ad un incremento della violenza. Da quella tradizionale che si manifestava nello sfruttamento all’interno del sistema organizzato di fabbrica o di impresa capitalistica, da quella che veniva esercitata nei confronti di chi aveva un orientamento ideologico diverso, da quella secolare di genere, oggi il potere è passato alla pretesa di piegare ai suoi obiettivi tutta la nostra vita.
In questa società, “realizzazione della civiltà”, la violenza non è più qualcosa di esterno ma è immanente, è causa e principio e, perciò, è legalizzata e istituzionalizzata.
A questo sporco gioco non ci stiamo, ci troverete ovunque ci siano crepe per poter uscire da questa società e per smontarla.
Coordinamenta femminista e lesbica