Kill the Poor

Kill the Poor

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di ANNA CURCIO

“Kill the Poor” cantavano con dissacrante ironia i Dead Kennedys qualche decennio fa. Tutt’altro che una boutade, oggi come allora. E in tempo di crisi la cosa sta assumendo caratteri piuttosto inquietanti. Con il suo progredire incessante, con l’aumentare delle diseguaglianze sociali all’ombra dell’austerity, e di fronte al crescente impoverimento di frange consistenti della società, al declassamento costante dei ceti medi, alla disoccupazione dilagante soprattutto tra i giovani, ai continui sgomberi e sfratti di abitazioni e spazi occupati, “kill the poor” sembra davvero la soluzione possibile. Sbarazzarsi dei poveri, metaforicamente e non, diventa una strategia di sopravvivenza per il capitalismo in crisi. Lo avevano capito Margaret Thatcher e Ronald Reagan, di cui cantavano Jello Biafra e i suoi. Ce l’hanno oggi ben in testa le elite neoliberali, mentre Renzi, nel suo piccolo, sgomita per farsi notare. Reddito, formazione, casa: garanzie e tutele sociali sono pesantemente sotto attacco. A tutte le latitudini, come si vede, la guerra é dispiegata.

L’omicidio, la scorsa notte, di Davide Bifolco a Napoli e quello di Michael Brown a Ferguson in Missouri nelle scorse settimane, ne sono – con le dovute differenze – testimonianza. Infami analogie rimbalzano tra le due sponde dell’Atlantico: due giovanissimi proletari, di periferia, freddati in strada per più o meno presunte “condotte disordinate”, e comunque niente che giustifichi il disprezzo per la vita di cui zelanti servitori dello Stato, tra arroganza e impunità, si fanno esecutori. Poco importa, infatti, se come a Ferguson la polizia é militarizzata; il problema va piuttosto rintracciato nell’enorme discrezionalità di cui godono gli uomini in divisa, nelle leggi dello Stato che li tutelano e in quella narrazione giustificatoria e opportunisticamente legalitaria che sempre accompagna, sui media e non solo, episodi come questo. In Italia come negli Stati Uniti, gli omicidi commessi dalle forze di polizia hanno sempre la scusante della legittima difesa, dell’inintenzionalità, dell’incidente o della disgrazia. Federico Aldovrandi e Stefano Cucchi sono solo due dei tanti, troppi, nomi saliti di recente alla ribalta delle cronache per l’infame impunità di poliziotti assassini, ma la legge Reale in Italia uccide impunemente da 40 anni.

Tuttavia, al di là del comportamento delle forze di polizia, il dato forte che i due omicidi restituiscono é l’attacco sfrontato e diretto contro giovani proletari. Uccidere i poveri, ricordano i Dead Kenendys, vuol dire niente tasse da pagare per il welfare / nauseanti bassifondi spariti in un flash / milioni di disoccupati svaniti nel nulla. Le vite di un po’ di giovani e poveri che non possono essere messe docilmente al lavoro vanno eliminate, fatte fuori, specie quelle di chi é potenzialmente più riottoso. Ed é anche come un investimento, una strategia da alta finanza: vuol dire tagliare il costo futuro di queste vite dai bilanci di una società che non garantisce più nulla, ha già preso tutto quello che poteva e ora può sbarazzarsi di loro. Non sono poi casuali, ovviamente, i luoghi delle esecuzioni, Ferguson o i quartieri della periferia napoletana: rispondono evidentemente a processi di razzializzazione di lunga data, alla costruzione cioè di gerarchie e profili in cui razza e generazione plasmano l’appartenenza di classe. Un giovane nero per le strade di Ferguson o un giovane napoletano che va in giro con gli amici su un motorino a Napoli sono potenzialmente minacciosi, e comunque la loro vita non è utile e difendibile come quella di altri. Ma i due omicidi ci parlano anche di una paura diffusa che accompagna quell’1% più ricco che banchetta beatamente sulle nostre vite: adesso siete di nuovo liberi / vestitevi e ballate per tutta la notte, dicevano ancora i Dead Kennedys. Uccidere i poveri dunque per vivere tranquilli, per contrastare il timore crescente per quelle frange sociali – e qui in particolare i giovani – che mostrano ormai palesi segni di insofferenza. Uccidere i poveri, insomma, prima che crescano e prima che si incazzino.

A proposito di Ferguson, Alvaro Reyes sottolineava con pertinenza come l’attacco contro i poveri costituisca il pilastro del progetto neoliberale. Un’affermazione che, come si vede, calza a pennello anche a queste latitudini. E a tutte le latitudini, quel progetto é tuttavia attraversato da grosse incertezze. Sempre più spesso deve fare i conti con la rabbia, la resistenza, la rivolta. Ballare per tutta la notte non é più sempre possibile. Ferguson é in fiamme da settimane, il quartiere Traiano a Napoli é insorto dopo l’omicidio di Davide e la città é oggi in piazza. Intanto l’autunno é alla porte. Non bisogna essere un metereologo per sapere da che parte soffia il vento. Fare come Ferguson: Let’s riot!

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