Questioni di genere nella sinistra di classe.
Elisabetta Teghil
Mi sta a cuore mettere qualche punto fermo sulla questione che viene chiamata ormai abitualmente < questione gender> (anche se già chiamarla così e definirla come se fosse una questione a parte significa che stiamo facendo il gioco del potere che mette un gruppo sociale contro l’altro, una guerra tra poveri insomma) perché è necessario sapere da dove si parte e se ci sono delle premesse condivise. Io sono materialista e parto da questo terreno. Quindi, per me, ne discendono alcuni posizionamenti di fondo.
Penso che l’approccio etico alle questioni, quali che siano, non ci dovrebbe appartenere, noi non ragioniamo in termini di giusto-sbagliato, bene-male, buoni-cattivi… riteniamo che la storia sia lotta di classe, verità di una classe contro l’altra, rapporti di forza… È chiaro che abbiamo dei valori, ma la scala di valori non è una premessa da imporre, viene dalle lotte che portiamo avanti contro lo sfruttamento, l’oppressione, la soggezione… dove possiamo trovare compagni/e di strada con cui sperare di uscire da questa società e con cui sperare magari di costruire una scala di valori comune.
Dovremmo evitare accuratamente di parlare di natura, di naturalità delle cose, di natura come riferimento perché sappiamo che tutto quello che ci circonda è un prodotto sociale e una costruzione sociale, natura compresa. A quale naturalità dovremmo fare riferimento? a quella del neolitico? a quella del secolo scorso? a quella di ieri? Illuminanti in questo senso sono gli scritti di Colette Guillaumin, femminista materialista francese, di cui in Italia è stato tradotto poco ma è uscito nel 2020 Sesso, razza e pratica del potere. L’idea di natura.
Ci sono esseri umani che hanno organi riproduttivi di un tipo e vengono chiamati maschi, esseri umani che ne hanno altri e vengono chiamati femmine, altre varianti minoritarie che non vengono nemmeno prese in considerazione e, in questa società, corrette alla nascita, ma questo è un dato, evitiamo di aggiungere la specificazione di natura perché ci trascina su un terreno senza costrutto e che non ci appartiene.
Il dato del maschile e femminile non ha assolutamente niente a che fare con l’uomo e con la donna che sono costruzioni sociali. Tanto per fare degli esempi, le femmine potrebbero accoppiarsi e uccidere il maschio dopo l’accoppiamento come fanno le mantidi o fare bambini che poi danno ai maschi e non ne vogliono più sapere…qualsiasi scenario potrebbe essere reale e possibile se non ci facessimo condizionare dalla società in cui siamo infilate.
L’uomo e la donna quindi sono prodotti sociali e dovremmo evitare di considerarli come normali e tanto meno complementari. Complementari rispetto a cosa? Sono costruiti a seconda degli interessi che ha la classe al potere, ora e nei tempi passati. Infatti non ci passerebbe neanche per la mente di pensare in questo modo rispetto ad altre questioni proprio perché siamo materialisti. Non ci verrebbe mai in mente di dire che è normale che i poveri siano poveri perché hanno i riflessi più lenti, non capiscono la matematica… e i borghesi siano tali perché sono bravi, intelligenti e più dotati.
Non ha alcun senso parlare di esseri umani a prescindere. Quali esseri umani, gli esseri umani oppressi o gli esseri umani oppressori? Gli esseri umani sfruttati o gli esseri umani che sfruttano?
Poi ancora alcune considerazioni che riguardano nello specifico il femminismo.
Il femminismo è un movimento politico che si pone l’obiettivo di liberare le donne dall’oppressione e liberando le donne di liberare gli oppressi tutti dato che non è corporativo (non ha niente a che fare con l’emancipazionismo, con quote rosa, privilegi e percorsi preferenziali, tutele di Stato e orticelli protetti) non dovrebbe battersi in favore di interessi specifici ma lottando contro dominio, possesso, gerarchia…fare gli interessi di tutti gli oppressi pur partendo da sé. Quindi il femminismo o percorre strade di liberazione o non è.
Il fatto di essere donna non è una dichiarazione personale ma è l’oppressione che viene rovesciata sulla donna dal potere, e che il potere lega al sesso femminile, che la definisce.
Il patriarcato non è un atteggiamento culturale ma è un modo di produzione preesistente al capitalismo e che il capitalismo non ha inglobato ma che usa in maniera parallela. Era imperniato sulla trasmissione dei beni al primogenito maschio in modo che questi rimanessero intatti, fortemente gerarchizzato, e su un rapporto di produzione con i fratelli cadetti e le relative famiglie, con i figli e le relative famiglie e con le donne che prevedeva il lavoro gratuito in cambio del mantenimento. Il modo di produzione capitalista ha modificato il modo di produzione patriarcale, ha costituito la famiglia mononucleare e nel modo di produzione patriarcale è rimasta costretta la donna in maniere che si sono modificate nel tempo anche con il lavoro salariato. Dall’analisi del modo di produzione patriarcale nasce il separatismo che ha caratterizzato il femminismo degli anni settanta e quindi il riconoscimento di due nemici diretti, il capitalismo e gli uomini perché nel modo di produzione patriarcale la donna è gerarchicamente subordinata all’uomo (in modi non necessariamente ed esplicitamente coercitivi ma ugualmente molto efficaci). Diceva Ulrike Meinhof nel 1968 su Konkret che gli uomini sono oggettivamente gli agenti della società capitalista per la repressione delle donne anche quando soggettivamente non vogliono esserlo. Aprire questo discorso nel contesto di queste note non è fattibile, ci vorrebbe molto tempo, ma è importante accennarvi perché l’atteggiamento rispetto alle questioni di genere spessissimo non è politico. È utile leggere in questo senso un libro di Christine Delphy pubblicato qui in Italia solo di recente dopo cinquant’anni dal 1970, Il nemico principale 1. Economia politica del patriarcato. È chiaro che si può essere d’accordo o no, in tutto o in parte. ma la cosa importante non è questa bensì l’approccio al problema.
Queste sono le basi su cui si è costituito il femminismo materialista degli anni settanta ed è caratterizzato da un cambiamento importante rispetto al passato. Io personalmente sono contraria alla divisione del femminismo in ondate (prima ondata, seconda ondata…) non a caso è una definizione americana spoliticizzata assunta in tutto l’occidente in maniera acritica come tutte le esternazioni anglosassoni.
Prima della fine degli anni sessanta del secolo scorso si parlava di una Questione femminile vale a dire che tutti coloro, uomini e donne, movimenti politici e organizzazioni, che si rendevano conto che le donne erano in maniera evidente svantaggiate nella società, lottavano per ottenere uguali diritti e parità sociale.
Il femminismo alla fine degli anni sessanta ha cambiato posizionamento e ha svelato la natura strutturale della soggezione delle donne, ha analizzato il patriarcato come modo di produzione e quindi non ha più parlato di questione femminile ma di oppressione delle donne, non più di ottenere la parità ma di svelare i meccanismi di sfruttamento che sono tutti interni al modello produttivo.
Alla fine degli anni ottanta siamo in pieno dispiegamento del pensiero neoliberista che si espande in tutti gli ambiti, diventa metabolismo sociale. Le teorizzazioni di Judith Butler e del Queer modificano radicalmente l’approccio e l’approdo e sono il grimaldello attraverso cui il pensiero neoliberista invade anche l’ambito femminista. Bisogna sempre tenere presente che il femminismo non è un movimento politico che vive nel mondo dei puffi ma è parte integrante del divenire politico e sociale. Quindi ora, il femminismo che si pone come vincente e che va per la maggiore, non parla di oppressione delle donne, ma di questioni di genere. Viene propagandato il fatto che ognuna/o si definisce da sé e impone questa definizione all’esterno, la famosa performatività. Il neoliberismo ha la caratteristica di appropriarsi delle rivendicazioni sociali, di ribaltarle e di risputarle a suo uso e consumo. Partendo quindi da un assunto assolutamente condivisibile e cioè che l’uomo e la donna sono costruzioni sociali e non naturali, le nuove teorizzazioni fanno dimenticare che la costruzione di questi modelli è politica e la trasformano in un atto individuale per cui le persone hanno il diritto di dichiararsi come vogliono con un atto volontaristico trovando, in questo, realizzazione personale e modificando i posizionamenti del potere(!) Tanto per fare un esempio che forse aiuta nella comprensione, questo approccio è simile a quello che è avvenuto nel mondo del lavoro: il lavoro fisso è stato demonizzato come avvilente, ripetitivo, senza respiro anche perché minato dalla mancanza di meritocrazia…meglio, molto meglio, cambiare lavoro spesso perché così si persegue una autovalorizzazione, un continuo mettersi in gioco che incentiva la creatività e ci spinge a non accontentarci ma a sfruttare tutte le infinite possibilità che ci vengono offerte da questo sistema estremamente creativo …(gasp!) facendo chiaramente dimenticare che in questo modo non c’è più contrattazione collettiva, solidarietà tra lavoratori, trasmissione di saperi…che non esiste più neppure una parvenza di possibilità di mettere in campo un rapporto di forza. Ecco, la stessa cosa sta succedendo nel femminismo e nelle rivendicazioni delle diversità. La fluidità, il gender come identificazione volontaristica, soggettiva e transitoria fa dimenticare da dove vengono le oppressioni, verso quali soggetti sono indirizzate e tolgono la terra sotto i piedi alla possibilità di lottare.
Il personale è politico concetto importante del femminismo che aveva l’obiettivo di politicizzare il privato, cioè di rendere chiaro che quello che ci succede nel privato è frutto del modello economico e non della nostra incapacità o dei nostri problemi individuali, diventa così la privatizzazione del politico, vale a dire che tutti i desideri personali devono essere esauditi, diventano un diritto.
A questo punto, però, la questione importante è chiedersi il perché di questo ribaltamento, da dove viene e di che progettualità fa parte perché il posizionamento rispetto a quello che sta succedendo può essere solamente politico.
Il capitale transnazionale che ha vinto la lotta senza esclusione di colpi all’interno della sua stessa classe, che ha ridotto a ruolo di servizio le altre frazioni di classe borghesi che ha espulso e si è disfatto della piccola e media borghesia, ha un progetto in fieri, un progetto di trasformazione totale, dalle fondamenta, della società, dei rapporti con i subalterni, delle modalità di estrazione del plusvalore.
E rispetto allo specifico della questione che stiamo trattando è chiaro che intende appropriarsi dei meccanismi della vita e della morte. Tutte le sperimentazioni che riguardano la genetica, le manipolazioni del DNA, le banche del seme e l’estrazione e il congelamento degli ovuli, la creazione della vita in vitro e la Gestazione per altri… hanno di fatto due obiettivi, uno strumentale ed uno reale.
L’obiettivo strumentale è far credere alle persone che tutte queste attività sono indirizzate al miglioramento della vita, della salute e al soddisfacimento dei desideri di tutti. Questi desideri sono da una parte reali e di tutto rispetto, come quelli delle persone transgender o di chi non può avere figli e li desidera realmente (infatti il neoliberismo parte sempre dalla strumentalizzazione di fatti reali) dall’altra sono propagandati e indotti volutamente come importantissimi perché così la sperimentazione di qualsiasi tipo trova terreno fertile e nessun ostacolo. Un esempio eclatante è la maternità: demonizzata per le donne al lavoro (ma puoi congelare gli ovuli e diventare madre a carriera raggiunta!) divinizzata e spinta come diritto per tutti, anche per le coppie maschili, tanto c’è la Gpa, e allo stesso tempo mercificata come non mai.
L’obiettivo reale che il capitalismo si propone (in questo ambito, ma il discorso sulla trasformazione della società andrebbe allargato ben oltre con la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale, i nuovi Ogm, la Smart city, la sperimentazione militare…) è di appropriarsi della riproduzione degli esseri umani così li può confezionare su misura, può ottenere nuovi schiavi con il consenso generalizzato perché è per il nostro bene. Tutti quelli/e che non saranno d’accordo saranno tacciati come pericolosi terroristi.
La nostra risposta non può essere però di tipo etico, vale a dire il mito della maternità o la sacralizzazione del rapporto madre figlio/a, né di tipo naturalizzante della gravidanza e del parto, né sulla disumanizzazione dell’essere umano…
La nostra risposta può essere solo politica. No a tutto questo, un no totale, assoluto e senza distinguo perché siamo contro il progetto capitalista di asservimento, di appropriazione e di trasformazione della nostra vita.