Due parole-necessarie-sulla scuola

Due parole-necessarie-sulla scuola

di Nicoletta Poidimani

È inutile aspettare il pronunciamento ufficiale del governo: che estendano l’obbligo vaccinale al personale scolastico è ormai scontato, basta annusare l’aria che tira.
Mi sembra a questo punto necessario fare alcune considerazioni, in modo schematico – e pure un po’ sillogistico…

  1. Le scuole di ogni ordine e grado non sono state focolai di covid, come hanno dimostrato ampiamente i mesi precedenti al lockdown, in cui andavamo tranquillamente a scuola, nelle solite classi sovraffollate, senza indossare alcun dispositivo né rispettare alcun distanziamento. Malgrado ciò, non si sono sviluppati quei pericolosi focolai che si sono verificati, invece, in strutture sanitarie come le rsa e i pronto soccorso.
    Dati alla mano: secondo Inail dall’inizio della “pandemia” tra insegnanti delle scuole italiane di ogni ordine e grado (pubbliche e private), docenti e ricercatori universitari i casi di covid sarebbero stati 2800 in totale. Se consideriamo che il numero di insegnanti/docenti/ricercatori di cui sopra in Italia si aggira intorno al milione e centomila (esclusi docenti e ricercatori delle università private, di cui non ho trovato il numero esatto), abbiamo una percentuale irrisoria di contagiati in tali situazioni forzatamente promiscue: poco più dello 0,25%.
  2. Nella sagra delle buone intenzioni istituzionali dello scorso anno sovrabbondavano gli impegni ad eliminare una volta per tutte le classi-pollaio e intanto i soldi venivano investiti in inutili ‘banchi a rotelle’ mentre gli edifici scolastici continuavano a sbriciolarsi sopra le nostre teste. Come nella migliore delle tradizioni istituzionali italiane, alle parole non sono seguiti i fatti e col nuovo anno scolastico ci troveremo ancora a fare i polli in batteria.
  3. Dunque perché l’obbligo vaccinale? Forse per compensare l’ennesima occasione persa per ridurre – auspicabilmente una volta per tutte – il numero di studenti per classe? Sicuramente lo Stato risparmia se, anziché dimezzare le classi e assumere nuovi/e insegnanti, risolve – apparentemente – i problemi iniettando a ciascuno/a una o due dosi di vaccino. Si tratta dunque della solita mentalità capitalistica che tende ad ottenere il massimo del profitto con il minimo di spesa, senza risolvere i problemi alla radice, perché di quei problemi reali alle istituzioni, in tutt’altre faccende affaccendate, di fondo non importa nulla. Quello che abbiamo visto fare con la sanità lo vediamo anche con l’istruzione: uno sciorinare problemi e possibili soluzioni lasciando poi, di fondo, che tutto resti come prima. Anzi: peggio di prima, perché nel frattempo la fatiscenza di gran parte degli edifici scolastici – così come degli ospedali pubblici – è andata peggiorando e gli spazi agibili per docenti e studenti sono, in molte scuole, sempre più ridotti.

In sostanza, viene imposto al personale scolastico un obbligo – quello vaccinale – non solo per eludere ed occultare un annoso e crescente problema strutturale ma anche per scaricare su di noi responsabilità che lo Stato non intende assumersi.

Ma non finisce qui.
Nell’ambito dell’istruzione esistono davvero, e da tempo, problemi che riguardano la salute del personale docente, ma nulla hanno a che fare con qualsivoglia epidemia/pandemia, se non quella dell’inettitudine istituzionale.
Si tratta, infatti, sia di problematiche legate al burnout, che vedono un numero crescente di insegnanti finire psichiatrizzati e imbottiti di antidepressivi, sia di patologie di tipo oncologico, che colpiscono in particolare le donne in quanto rappresentano la maggioranza del corpo docente. Tali problematiche sono generate anche dalle condizioni in cui siamo costrette/i a lavorare in quelle stesse classi-pollaio.

Queste sono le reali e quotidiane difficoltà di chi lavora nella scuola e per risolverle non serve un vaccino quanto, invece, la volontà reale di affrontare alla radice problemi decennali.
Tutto il resto è menzogna e va detto a chiare lettere!

Concludendo: non c’è dubbio che il “green pass” sia un ennesimo strumento di controllo sociale da contrastare in quanto tale, indipendentemente dall’essersi o no vaccinati/e. Ma pensare che il problema stia semplicemente nel poter andare o meno al ristorante significa parlare da un punto di vista privilegiato e omettere la discriminante di classe: chi lavora nell’istruzione, in fabbrica o nella sanità pubblica è consapevole che il ristorante se lo può permettere, quando va bene, una volta al mese.
Proviamo, allora, a rimettere a fuoco la questione in modo rigoroso e a portarla nelle piazze, perché gli strumenti per farlo non ci mancano.
Ne va delle nostre esistenze!

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