di Elisabetta Teghil
Qualche giorno fa è stata uccisa Jasmine, sex worker svedese e attivista dell’organizzazione Rosa Alliance
La sua storia è particolarmente esemplare.
Diversi anni fa aveva perso la custodia dei suoi figli perché considerata genitore inadeguato dato che era una prostituta. I bambini erano stati affidati al loro padre, indipendentemente dal fatto che lui fosse violento e vendicativo nei confronti di Jasmine.
Lo Stato svedese aveva decretato che lei non sapeva che cosa potesse essere bene per i figli dato che aveva una visione “romanzata” della prostituzione e che le mancava la comprensione di quel che viveva e non era in grado di capire che il lavoro sessuale è una forma di autolesionismo.
L’ex l’aveva minacciata e pedinata in numerose occasioni, a lei non è stata mai offerta alcuna protezione.
Ha combattuto con tutti i mezzi che aveva a disposizione, ha dovuto perseguire quattro diversi procedimenti legali per poter finalmente avere la possibilità di rivedere i suoi figli.
Il padre dei suoi figli l’ha uccisa.
Jasmine diceva sempre: “Anche se non potrò riavere i miei bambini farò in modo che tutto ciò non accada mai a nessun altr@ sex worker!“.
Lo stigma che accompagna la prostituzione è fortissimo e coinvolge direttamente non solo la vita personale , ma anche tutti gli aspetti amministrativi, legali, penali attraverso quella che in termine giuridico viene chiamata “diminutio capitis” cioè la caduta di valore di qualsiasi azione venga espletata da una determinata persona: una prostituta non viene mai considerata attendibile come testimone a carico o a discarico….. come soggetto giuridico o negli atti amministrativi…… e quindi anche come donna e come madre.
Le prostitute non sono mai considerate coscienti, consapevoli e pensanti. O sono vittime di un protettore, della tratta, di condizioni economiche disagiate e, quindi, devono essere “salvate”….. o sono mercificatrici del loro corpo, riprovevoli, immorali e amorali e quindi donne “per male”…oppure, infine, come anche per un certo femminismo, sono quelle che perpetuano l’oppressione della donna nel rapporto patriarcale di servizio con il maschio.
Mai che le loro vengano considerate scelte.
E’ vero che in questa società nessuna sceglie veramente e può considerarsi veramente libera. Ma questo vale per qualsiasi lavoro e per qualsiasi aspetto della nostra vita.
La violenza sulle donne non ha confini, come anche quella sulle sex workers, non c’è nazione o ambito o spazio privato o pubblico che ne sia immune. Ma questa vicenda è successa nella “civile” Svezia, dove l’attenzione alle scelte personali, la tutela dello Stato, i diritti umani sono sbandierati come un fiore all’occhiello….dove le bambine e i bambini hanno gli asili impostati sul “superamento del genere”…..dove regna la socialdemocrazia nella sua accezione più compiuta.
Ma, al di là del buonismo di facciata e del politicamente corretto, la socialdemocrazia è una configurazione politico sociale molto violenta. Ha la pretesa di normare la vita in ogni suo aspetto, di decretare e legiferare su quello che è bene e quello che è male, quindi non auspica la libertà dell’individuo, ma un nuovo tipo di schemi in cui inserire i comportamenti. Non più il tradizionale dio, patria e famiglia, ma l’emancipazionismo codificato, la catalogazione dei comportamenti attraverso gli esperti/e, l’ambientalismo compatibile, il lavoro strutturato, le guerre umanitarie, il pink whashing, le vacanze “intelligenti”, la cultura “multietnica”, l’integrazione asservita, il sesso inquadrato nei limiti salutari del ”tre volte alla settimana” o trasgressivi come canale di sfogo della conflittualità sociale.
Una società angosciante e controllata impregnata di un forte moralismo borghese nell’accezione che di questo termine solo il protestantesimo calvinista può avere.
Dobbiamo rigettare con forza ogni tentativo di catalogazione degli esseri umani, dei comportamenti, delle scelte, rifuggire da esperti ed esperte che pretendono di dirci cosa è bene e cosa è male, rifiutare la delega e costruire altro senza avere la pretesa di imporlo a nessuna e a nessuno.
La nostra dignità di donne non è certo messa in pericolo dalle sex workers che sono nostre sorelle, ma da tutte quelle che approvano i tagli allo stato sociale sulla pelle delle altre donne, da tutte quelle che appoggiano e sponsorizzano le guerre neocoloniali, da quelle che hanno abolito l’art. 18, da quelle che strumentalizzano la violenza sulle donne per le politiche securitarie, per vittimizzarci, per mantenerci nella subalternità, e per avallare le aggressioni ai paesi del terzo mondo, da quelle che approvano le così dette “riforme” gettando sul lastrico donne e uomini di questo paese ………dalle donne in divisa, da tutte quelle che sono strumento di controllo sociale e di puntello dello sfruttamento su tutte le altre donne…..tutte queste sono nostre nemiche e giù le mani dalle sex worker!
Ci vediamo venerdì 19 luglio alle ore 11.00
davanti all’Ambasciata di Svezia
piazza Rio de Janeiro 3- Roma