La Parentesi di Elisabetta del 24 maggio 2025/Il corpo a singhiozzo

Femminismo e Smart City

Il corpo a singhiozzo.

Elisabetta Teghil

[…] per costringere le persone a lavorare al servizio di altri, che si trattasse di lavoro pagato o meno, il capitalismo ha sempre dovuto ristrutturare l’intero processo della riproduzione sociale, rimodellando il nostro rapporto con il lavoro oltre al nostro senso d’identità, di spazio e tempo, e della nostra vita sociale e sessuale […] S. Federici, Oltre la periferia della pelle, D. Editore p.135

Ma quale Stato, ma quale Dio,Sul mio corpo decido io! (slogan gridato dal femminismo nelle piazze)

Il corpo è mio, dello Stato o del mercato? (striscione della coordinamenta, 25 novembre 2022)

<È tempo di passare dalla pianificazione urbanistica alla pianificazione della vita urbana.> Manifesto della Città dei 15 minuti di Carlos Moreno

La questione del corpo è sempre stata al centro delle teorizzazioni e delle pratiche femministe perché la nostra storia, la nostra memoria e la nostra esperienza ci hanno fatto comprendere l’importanza che la gestione dei corpi riveste per il potere.

Ogni volta che il capitalismo ha avuto la necessità di ristrutturare il processo produttivo ha messo le mani sui corpi direttamente e indirettamente. Ha chiuso i corpi fuori dai terreni comuni con le enclosures, ha bruciato direttamente i corpi refrattari con la caccia alle streghe, li ha marchiati come schiavi, li ha costretti ad accettare la ridefinizione del tempo e dello spazio, gli orari della fabbrica e della scuola ma anche quelli del tempo di lavoro e del tempo libero, ma anche quelli di quando è opportuno sposarsi e non sposarsi, fare figli o non farli…l’arco della giornata, l’arco dell’anno e l’arco della vita scanditi da tempi, modi, spazi definiti per noi dal capitale a seconda delle sue necessità. Ha diviso i corpi delle sante da quelli delle puttane a seconda degli obiettivi che voleva ottenere dalle donne messe al lavoro sessuale, riproduttivo e di cura. Le puttane le ha chiuse nei bordelli, le sante le ha chiuse in casa con leggi, norme, stigmi adeguati e sempre pronti all’uso.

E’ per questo che quando abbiamo letto nel Manifesto della Città dei 15 minuti di Carlos Moreno

«È tempo di passare dalla pianificazione urbanistica alla pianificazione della vita urbana. Ciò significa trasformare lo spazio della città, ancora altamente mono-funzionale con le sue diverse aree specializzate, in una realtà policentrica, basata su quattro componenti principali -vicinanza, diversità, densità e ubiquità– per offrire a breve distanza le sei funzioni sociali urbane essenziali: vivere, lavorare, fornire, curare, imparare e godere»…«Dobbiamo essere creativi e immaginare, proporre e costruire un altro ritmo di vita, altri modi di occupare lo spazio urbano per trasformarne l’uso. Preservare la nostra qualità di vita ci impone di costruire altre relazioni tra due componenti essenziali della vita cittadina: il tempo e lo spazio».

abbiamo fatto un sobbalzo e improvvisamente tutto quello che in questi ultimi anni avevamo analizzato, cercato di capire, denunciato è andato a sintesi.

Ci siamo ribellate in tempi diversi, in modi vari, alla gestione dei nostri corpi da parte di altri, da parte degli uomini, da parte del potere, il modo di produzione patriarcale e quello capitalista sono intrecciati, qualcosa abbiamo ottenuto…qualche briciola concessa, abbiamo creduto di essere finalmente padrone dei nostri corpi, ma non era vero. Ci siamo di nuovo affidate a chi decideva per noi i tempi, i modi e gli spazi del vivere. Abbiamo permesso che medicalizzassero i nostri corpi, con il nostro entusiasta consenso, che mercificassero la nostra capacità riproduttiva, con la nostra entusiasta partecipazione, abbiamo accettato di mettere in gara i nostri corpi nella corsa alla meritocrazia, alle fettine della torta per dimostrare di nuovo al capitale e agli uomini che eravamo brave anche noi, che anche noi avevamo dei corpi in grado di sottomettere altri corpi…abbiamo venduto i nostri corpi e le nostre menti al miglior offerente…in primis agli esperti di tutti i tipi. Sì, è vero, in questi anni abbiamo ottenuto qualcosa ma evidentemente non abbiamo capito. Sì, è dura da digerire capire di non aver capito, ma questo non deve impedire a un femminismo che non è più femminismo di riflettere su quello che è successo e sta succedendo e tornare sui suoi passi. Perché di solito invece accade che chi ha intrapreso una strada contro se stessa poi non lo vuole assolutamente ammettere e non solo ficca la testa sotto la sabbia ma difende posizioni indifendibili. Non tutte le femministe per fortuna, ma veramente poche. E chiaramente queste parole sono per le femministe in buona fede, non certo per le patriarche che sanno benissimo quello che fanno.

Quando, durante la così detta pandemia, il potere ha decretato che dovevamo stare chiuse in casa contro ogni buon senso, quando ha instaurato coprifuoco, divieto di assembramento e di circolazione, stato di emergenza prova di stato di guerra, stigma e punizione, quando ha medicalizzato ogni nostro atto quotidiano, quando ha diviso le persone in persone di serie A e di serie B a seconda se possedessero un lasciapassare o no, quando è stato negato l’accesso al lavoro e allo stesso vivere quotidiano a chi non lo aveva, quando i nostri corpi sono stati coartati in maniera così eclatante perché il così detto femminismo non è insorto ma anzi si è messo dalla parte del potere? Avevamo a disposizione tutti i mezzi necessari per decidere da sole, per organizzarci da sole, per capire…li avevamo lì davanti, ce li avevano dati anni di esperienza, di storia e di memoria…e il così detto femminismo che va per la maggiore si è consegnato al nemico. Ribadisco, non tutte per fortuna, ma veramente poche.

L’interesse per il corpo è evidente che è a singhiozzo, meramente utilitaristico e categoriale, estremamente fuorviante e anche pericoloso perché asservito alle ragioni politiche che governano questa società. Questo “femminismo” si agita sulle restrizioni all’aborto, sulle difficoltà delle transizioni di genere oppure sulle quote rosa oppure sui tetti di cristallo…ma dove si agita? All’interno delle gabbie che hanno predisposto per noi, gabbie visibili e invisibili come galline dentro i pollai. E si beccano e starnazzano e ogni tanto qualcuna viene presa e le viene tirato il collo, ma tutto continua come prima. E’ possibile che non si accorgano di quello che è successo e sta succedendo?

Il capitale ha deciso di reimpostare la nostra vita dalle fondamenta per i suoi interessi, ha costruito nuovi recinti materiali e immateriali evidentissimi che il femminismo non nomina neppure come se si potesse accettare di danzare dentro una gabbia.

I recinti materiali sono evidenti. Da tempo non possiamo più entrare nei centri storici delle nostre città in macchina, in qualche caso neanche a piedi come a Venezia e come si accingono a fare in molti altri contesti. Dobbiamo mostrare lasciapassare, farci perquisire, dimostrare perché siamo lì. Sembra una sciocchezza, se ti indigni ti guardano increduli, ma non possiamo più entrare a visitare chiese, monumenti, ambiti, piazze, parchi…senza biglietto, senza prenotazione. Luoghi che dovrebbero essere di tutti/e sono solo a pagamento, solo a concessione, solo con serrato controllo. A parte l’evidente connotato di classe di tutto quello che passa attraverso il denaro ma è proprio la città, gli spazi, i luoghi, il territorio che viene “concesso” a chi lo merita e/o a chi se lo può permettere. Premialità, vale a dire adesione ai desiderata del potere, e denaro solo gli unici modi del vivere e del fruire, sono gli unici modi in cui ai nostri corpi è permesso di muoversi e di agire.

Nelle zone rosse il nostro corpo può essere intercettato, fermato, controllato a discrezione per il solo motivo che ha la pretesa di passare di lì.

A Roma, ma in modi diversi in tantissime città grandi e piccole, hanno creato la così detta Fascia Verde. Quasi tutta la città dentro il raccordo anulare è soggetta a varchi controllati e già funzionanti. Il fatto che non facciano ancora le multe è perché sanno che il disagio è forte e usano il sistema della rana bollita. Li attiveranno man mano, un po’ alla volta, al momento opportuno…potranno entrare solo quelle/i con un veicolo adeguato, gli altri/e fuori, a piedi o con i mezzi pubblici…Ma faranno di più. Vogliono costruire ghetti urbani che chiamano “Città dei 15 minuti” in cui tutto sarà programmato e controllato.

Nobili motivazioni e dichiarati migliori intenti accompagnano tutta questa gestione, ma noi femministe ci facciamo infinocchiare ancora dalle nobili motivazioni? Quante volte ci hanno detto che è per la nostra sicurezza che dobbiamo stare chiuse in casa, che è la nostra fragilità che ha bisogno di tutele, che è la nostra sventatezza a metterci nei guai? Non credo che abbiamo voglia di crederci ancora, sono cambiati i tempi e i modi ma non la sostanza. E anche se ora l’infantilizzazione non riguarda più noi soltanto ma tutti i subalterni in quella che è una patriarcalizzazione della società a tutto campo, dovremmo sentire epidermicamente, proprio attraverso la pelle di quel corpo che può andare solo dove altri hanno deciso, che è necessario ribellarsi subito e a prescindere da qualsiasi cosa ci venga raccontata.

Anche i recinti immateriali sono evidenti. La gestione dei nostri corpi sarà, ed è già, controllata dai dispositivi digitali, telematici, di intelligenza artificiale della Smart City in cui tutto è interconnesso, perfino i nostri desideri e il nostro stato di salute fisica e mentale, la nostra disponibilità a essere pedine disponibili dell’ingranaggio sono e verranno monitorati. E veniamo coinvolte anche qui con il nostro consenso, la nostra partecipazione, anche se non attiva, comunque indifferente. Ci siamo mai sedute su una panchina “ostile”? quelle che ormai mettono in tutti i luoghi pubblici per non permettere a qualcuno di sdraiarsi? E ci siamo mai chieste perché il nostro corpo si poteva sedere ma non poteva dormirci? E ci siamo chieste se il nostro corpo è sempre lo stesso, cioè quello che crediamo che sia, o è già un corpo modificato dagli invisibili sguardi che ci sorvegliano, che ci spingono a comportamenti, percorsi, azioni già previste e prevedibili?

Con che coraggio possiamo parlare di autodeterminazione, di gestione del nostro corpo, di diritto alla scelta…scelta di che? di che cosa? autodeterminazione su cosa? veramente possiamo pensare di lottare all’interno delle gabbie che il potere ha predisposto per noi?

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