Perquisizioni domiciliari effettuate dalla digos a Venezia per delle azioni dimostrative contro il ticket d’accesso
di CDA Anca No
All’alba di una giornata di metà novembre, tre compagne a Venezia sono state svegliate dal nucleo antiterrorismo della Digos per un’operazione di perquisizione simultanea in grande stile. Decine di poliziotti sono stati impegnati nella ricerca delle armi del presunto atto criminoso: vestiti neri, bombolette di colore bianco, cappelli da baseball e dispositivi tecnologici in cui cercare i segreti di una notte, quella dell’8 giugno scorso, durante la quale alcune persone hanno deciso di opporsi con un’azione dimostrativa all’introduzione del ticket d’accesso a Venezia.
Il ticket è stato presentato da chi governa la città come utile a “gestire il turismo”, mentre a molti è apparso chiaro fin dall’inizio che si tratta di uno strumento per avere saldo controllo su chi si trova sul territorio comunale. Questo provvedimento reintroduce frontiere interne che, lungi dal contrastare la turistificazione della città, la consolidano, trasformando Venezia in un museo a cielo aperto con accesso a pagamento.
Davanti a ciò, nei mesi della fase di sperimentazione di questa misura, si sono registrate manifestazioni di contrarietà in varie forme e modalità. Tra queste, quella dell’8 giugno, quando, come riportano i giornali, alcuni banner pubblicitari sul ticket d’accesso di tessuto sono stati imbrattati e strappati.
Diciamolo: un’azione dalla portata devastante, danni incalcolabili, una città in ginocchio. Se non ci fosse da piangere, ci verrebbe da ridere: del tessuto macchiato o tagliuzzato può davvero essere motivo valido per una perquisizione che ha coinvolto più di 40 agenti di polizia in quella giornata? Senza contare i precedenti pedinamenti e incursioni nella vita privata delle persone indagate.
Da questa semplice, e molto veneziana, storia, ci sembra importante trarre alcune brevi riflessioni da condividere:
- Sul mandante: C’è un’evidente pressione politica dietro una reazione di tale sproporzione davanti a due pezzi di tessuto strappati: il ticket d’accesso non può essere messo in discussione. Troppi interessi sono in gioco, ed è troppo importante come modello da esportare per gestire territori e persone “non desiderate”. Così i centri urbani diventano zone sempre più militarizzate, dove può accedere solo chi risponde a determinati requisiti. In questo caso, la Digos si è mossa sotto spinta politica alla ricerca di possibili colpevoli, perché qualunque azione contro il ticket che superi la semplice indignazione non va tollerata. Protestate pure, ma nelle forme accettabili per dichiararci democratici e capaci di accettare il dissenso. Tutto il resto verrà punito.
- Sulle contraddizioni: Schei ghe xe. E’ evidente che Venezia non muore, ma si spopola per l’assenza di servizi e alloggi a prezzi accessibili, resa merce d’acquisto e fruizione di pochi. Ciò avviene non per mancanza di fondi pubblici ma è il risultato di volontà politica: i soldi ci sono, ma vengono spesi per finanziare progetti come il ticket d’accesso che sono costati alla città -ad oggi- più degli incassi ricevuti dal ticket stesso, o per mobilitare ingenti quantità di forze di polizia e controllori che ne garantiscano l’applicazione, militarizzando lo spazio pubblico.
- Sull’obiettivo: Punirne tre per educarne cento. Le persone colpite sono attive a livello politico di base nel territorio veneziano. Durante la perquisizione, oltre ai dispositivi tecnologici, sono stati sequestrati opuscoli, volantini e manifesti distribuiti in tante occasioni pubbliche contro il ticket. Non era necessario fare irruzione alle sei del mattino per dimostrare che queste persone sono politicamente attive: erano in piazza ogni sabato tra aprile e luglio. Le tre persone perquisite quella notte sono state attaccate per ciò che rappresentano, perché rivendicano e occupano uno spazio di voce altra nel discorso cittadino. L’obiettivo era diffondere paura tra chi si è mobilitato con loro e tra chi potrebbe farlo in futuro.
- Sulla criminalizzazione delle lotte: Nei giorni successivi all’8 giugno, i giornali hanno adottato una tecnica ormai consolidata: concentrarsi sul dito (i banner rovinati) invece che sulla luna (violazioni della privacy, uso di telecamere a riconoscimento facciale, creazione di confini interni), accusando alcuni comitati attivi contro il ticket d’accesso dell’imbrattamento e cercando in questo modo di criminalizzare chi nel tempo si è speso con generosità per fare informazione sul contributo d’accesso, facendo passare i contrari al ticket come dei “violenti”. Come se strappar del tessuto fosse comparabile alla violenza di dover passare una frontiera comunale ogni giorno per una passeggiata, per studiare o lavorare, con tutte le conseguenze per chi queste “frontiere” non può attraversare facilmente per un documento sbagliato, un colore della pelle, o un contratto di lavoro irregolare.
In questo, quindi, è sempre bene ricordarci di non cedere alla retorica usata dalla stampa e da chi la manovra per depotenziare le lotte:
1) la violenza sta dall’altra parte ed è prerogativa esclusiva di stato e polizia
2) l’uso dello “spettro della violenza”, della divisione tra atti di protesta legittimi e illegittimi, anche per del tessuto strappato, viene usato ciclicamente per spaccare i fronti di mobilitazione dall’interno e renderli condannabili agli occhi della città. Dobbiamo tenere a mente che divisi siamo meno forti, abbiamo meno possibilità di raggiungere i nostri obiettivi e facciamo il gioco di chi ci vuole tenere isolati, deboli, controllabili.
Nel 2025 il ticket d’accesso tornerà a danneggiare i fine settimana dei veneziani, di chi questa città vuole viverla e mantenerla viva, di chi non vuole essere una comparsa non retribuita per turisti. A tutte queste persone, la sfida di mantenere alta l’attenzione e continuare a opporsi con determinazione e intelligenza a questa misura. A tutte le persone che identificano il ticket come un metodo per restringere sempre di più le libertà di movimento, la necessità di non scaricare QR code di ingresso, ma rivendicare il diritto alla libera circolazione, per chiunque. In tante altre città, italiane e non, gruppi si muovono contro la turistificazione mostrando i nessi tanto razionali quanto inaccettabili che governano l’impoverimento delle nostre vite, l’aumento esponenziale degli affitti, i servizi pubblici ad uso e consumo di chi transita nelle città e non di chi le abita. Non siamo l’unico territorio a sperimentare questo problema e la condivisione di pratiche e riflessioni ci dà forza e apre nuovi orizzonti. Le città sono di chi le vive, non di chi le amministra o le controlla.