Il DDL 1660: vivisezione di una legge liberticida

Il DDL 1660: vivisezione di una legge liberticida

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Da molti anni, con i più svariati pretesti, governi di diverso colore hanno introdotto leggi per limitare l’agibilità di scioperare, lottare, manifestare.

Il governo Meloni è deciso a proseguire questa operazione facendo fare alla repressione statale delle lotte e dello stesso dissenso un salto qualitativo e quantitativo attraverso il disegno di legge 1660, che dal 10 settembre è alla Camera per la discussione e la rapidissima approvazione.

Con questa “legge-manganello” il governo vuole regolare i conti con tutte le realtà ed esperienze di lotta in corso e creare gli strumenti giuridici necessari per prevenire e stroncare sul nascere i futuri, inevitabili conflitti sociali. La sempre più marcata tendenza alla guerra sul fronte esterno richiede sul fronte interno un contesto sociale pacificato, e a questo “lavorano” tutti gli apparati dello stato.

Introducendo nuovi reati e nuove aggravanti di pena, il DDL 1660 colpisce a un tempo le manifestazioni contro le guerre, a cominciare da quelle contro il genocidio dei palestinesi a Gaza, e quelle contro la costruzione di nuovi insediamenti militari; i picchetti operai; le proteste contro le “grandi opere”, la catastrofe ecologica, la speculazione energetica; le forme di lotta di cui questi movimenti si dotano per aumentare la propria efficacia come i blocchi stradali e ferroviari; le occupazioni di case sfitte. E contiene norme durissime contro qualsiasi forma di protesta e di resistenza, anche passiva, nelle carceri e nei Centri di reclusione degli immigrati senza permesso di soggiorno, perfino contro le proteste di familiari e solidali a loro supporto.

Il DDL 1660 arriva a punire anche il “terrorismo della parola”, cioè la detenzione di scritti che inneggiano alla lotta – dal momento che, gratta gratta, dietro il ricorso alla categoria “terrorismo”, usata apposta per creare paura, non c’è altro che la lotta di classe, la lotta al colonialismo e le lotte sociali ed ecologiste.

L’altra faccia della medaglia è costituita da un insieme di norme che assicurano, oltre l’aumento dei loro poteri, la totale impunità per le forze di polizia mettendole al riparo da ogni responsabilità per i loro comportamenti, inclusi i casi sempre più frequenti di “abuso in divisa”, punendo duramente ogni forma di resistenza al loro operato, e attribuendogli il diritto di portare armi anche fuori servizio.

Vediamo in dettaglio le nuove norme.

1. Norme draconiane contro le manifestazioni e i picchetti operai

La più pesante di tutte è quella che prevede fino a 20 anni di reclusione per chi protesta in modo “minaccioso o violento” per impedire la realizzazione di “un’opera pubblica” o di “un’infrastruttura strategica” (civile o militare) – in questo caso non possono valere le circostanze attenuanti. Le proteste contro il Tav, il Ponte sullo stretto di Messina, le nuove basi militari, i rigassificatori, l’impianto di pale eoliche, etc., ricadono tutte in questo ambito. Ma anche se non si tratta di questo tipo di opere, la nuova pena per la resistenza, violenza o minaccia (anche la semplice minaccia!) ad un pubblico ufficiale (anche a uno solo), o a un corpo dello stato, nel corso di una manifestazione, una qualsiasi manifestazione di piazza – contro la guerra o contro la chiusura di una fabbrica o per la libertà di compagni/e arrestati – va da un minimo di 3 a un massimo di 15 anni di reclusione. Per paradossale che possa sembrare a chi è infatuato della democrazia, sono norme repressive più dure di quelle contenute nel codice fascista Rocco, che prevedeva che la resistenza a pubblico ufficiale compiuta nel corso di proteste collettive fosse invece un’attenuante.

Il blocco stradale o ferroviario, un mezzo di lotta efficace a cui si fa ricorso nelle proteste più decise, ridiventa reato (ora è un illecito amministrativo), ed è punito con una pena che va da 6 mesi a 2 anni. La commissione di un reato nelle vicinanze di una struttura ferroviaria è un’aggravante.

Il DDL 1660 aggrava anche la pena per chi “deturpa” o “imbratta” beni mobili e immobili “adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche”: reclusione da 6 mesi ad 1 anno, addirittura a 3 anni se si è recidivi (per una scritta sui muri!).

Anche l’estensione del daspo alle vicinanze delle ferrovie e dei porti, ha un’evidente funzione di contrasto alla partecipazione alle manifestazioni (tutti abbiamo in mente l’occupazione della stazione di Bologna o le dimostrazioni ai porti di Genova, Salerno e Marghera per la Palestina). Il decreto-Caivano, che ha enormemente accresciuto la repressione contro i minori, già lo prevede, dando al giudice il potere di imporre al minore di non partecipare a manifestazioni politiche o di protesta.

In questo modo la militarizzazione dei territori portata avanti negli ultimi anni con fogli di via, obblighi di firma, daspo, divieti di manifestare, interventi sempre più frequenti e duri delle forze di polizia contro le manifestazioni e le proteste, compie un salto di qualità.

picchetti operai, un mezzo di lotta indispensabile negli scioperi, sono puniti in quanto tali come forma di violenza privata, con una pena fino a 4 anni di reclusione (al momento la gran parte dei procedimenti, non tutti!, finiscono con l’assoluzione o l’archiviazione) – questo, perfino se si ostruisce il passaggio di “una o più persone” all’entrata di uno spazio aziendale con la semplice “interposizione dei propri corpi” o la resistenza passiva.

2. Pene pesantissime contro gli occupanti di case sfitte e i solidali

L’occupazione “abusiva” di case vuote, attuata con “violenza o minaccia” (è violenza contro le cose la semplice rottura di una serratura…), da parte di famiglie o singole persone senza tetto è punita con pene dai 2 ai 7 anni – e il rapido reintegro del proprietario nel possesso dell’immobile occupato diventa di competenza delle forze di polizia che possono provvedervi senza attendere alcun accertamento della magistratura sulle circostanze specifiche che avevano portato alla occupazione. La punizione si estende anche ai solidali, singoli o collettivi di sostegno (“chi coopera”), mentre si viene scagionati se si collabora attivamente con le forze di polizia nello sgombero o nella denuncia degli occupanti o dei solidali.

In questo ambito di criminalizzazione del disagio e della marginalità sociale rientra anche l’aumento delle pene per l’accattonaggio

3. Il “terrorismo della parola” (cioè la detenzione di scritti che inneggiano alla lotta) è punito con la reclusione fino a 6 anni!

Il DDL introduce due nuovi reati commessi, il primo da chi “si procura o detiene documentazione propedeutica al compimento di attentati e sabotaggi con finalità di terrorismo”, il secondo da chi “distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza con qualsiasi mezzo materiale contenente istruzioni sulla preparazione o l’uso di materiali esplodenti o [nota bene] su qualsiasi altra tecnica o metodo al fine di compiere un o dei delitti non colposi contro la pubblica incolumità puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni”.

Data l’estrema elasticità e arbitrarietà del concetto di “terrorismo” – terroriste sono, secondo lo stato italiano, le organizzazioni palestinesi in lotta per la liberazione del proprio popolo contro lo stato coloniale, razzista e genocida di Israele, mentre lo stato di Israele, pur compiendo un genocidio con mezzi terroristici, si sta solo “difendendo” – è evidente che chiunque possegga materiale di queste organizzazioni, oppure, ad esempio, materiale utile per la lotta contro le grandi opere (tipo: istruzioni su come si può infrangere una recinzione), è punibile, nel primo caso, con pena da 2 a 6 anni, nel secondo da 6 mesi a 4 anni.

4. Le misure contro gli immigrati e i carcerati sono tra le più brutali e odiose.

Tutte le misure penali illustrate finora riguardano anche gli immigrati (basta pensare ai picchetti operai, che negli ultimi anni sono stati fatti quasi esclusivamente dai facchini e dai driver immigrati della logistica, o all’occupazione di case), ma ce ne sono alcune particolarmente odiose che li riguardano in modo specifico e inaspriscono la legislazione speciale già esistente contro gli immigrati messa in piedi negli ultimi trenta anni all’insegna del razzismo di stato.

Anzitutto: è introdotto un nuovo reato che colpisce con estrema violenza chi “promuove, organizza o dirige una rivolta” in un CPR, in un hotspot o anche in un normale “centro di accoglienza” – la pena è da 1 a 6 anni (per chi partecipa, è da 1 a 4 anni), e può salire fino a 20 anni se un qualche appartenente alle forze di polizia o al personale dei centri subisce lesioni gravi o gravissime. Ma cos’è una rivolta? Come nel caso del termine “terrorismo”, la vaghezza e l’arbitrarietà del concetto serve ad allargare il numero dei punibili e ad aumentare le pene – già oggi può essere punita la “violenza”, la “minaccia” o la “resistenza attiva”, ma con la nuova legge sarà agevole “costruire” l’ipotesi di rivolta.

In secondo luogo, gli immigrati rinchiusi nei CPR, hotspot e centri di accoglienza, possono essere puniti pesantemente anche per la sola “resistenza passiva” agli “ordini impartiti” (non si richiede neppure che siano legittimi) non solo degli agenti di polizia, ma anche del personale dei centri che non appartiene ai corpi di repressione dello stato – una norma fatta apposta per educare i rinchiusi nei CPR, negli hotspot e nei centri di accoglienza alla sottomissione assoluta.

In terzo luogo, viene esteso a 10 anni (dagli attuali 2) il periodo di tempo in cui lo stato può revocare “la cittadinanza concessa allo straniero” per condanne che hanno a che fare con il “terrorismo”.

Infine, per poter disporre di un cellulare, l’immigrato da un paese extra-europeo deve essere in possesso di quel permesso di soggiorno, che la legislazione di stato rende molto complicato ottenere per preservare un’area di immigrazione senza permesso di soggiorno da supersfruttare. Data l’importanza che ha oggi il cellulare per ogni tipo di comunicazione, è un’amputazione grave della socialità dei nuovi immigrati/e, e un forte impedimento al loro processo di regolarizzazione. Questa norma è stata inserita all’ultimo momento, ed è una riprova di come, in assenza di una forte mobilitazione di piazza e di massa, l’iter parlamentare non potrà che inasprire ulteriormente la carica repressiva di questo DDL.

In parallelo, si abbatte come un macigno sulla schiena dei carcerati/e (che per il 32% sono immigrati) il nuovo reato di rivolta penitenziaria o carceraria – in questo caso chi “promuove, organizza o dirige” una rivolta è punito con la reclusione da 2 a 8 anni, per chi partecipa la pena è da 1 a 5 anni, ma con le aggravanti (uso di armi, feriti o morti) la pena si impenna fino a 20 anni! Pure in questo caso è punita la sola resistenza passiva agli ordini delle guardie carcerarie.

Se questo non bastasse, è introdotta una speciale aggravante per il reato di istigazione a disobbedire alle leggi, se è commesso in carcere, o attraverso scritti o comunicazioni diretti a persone detenute.

5. Non poteva mancare una specifica norma contro le donne.

Ed infatti c’è. Finora il rinvio dell’esecuzione della pena per donne incinte o madri di prole fino ad 1 anno era obbligatorio; con il DDL 1660 diventa facoltativo, come è oggi per le madri di prole da 1 a 3 anni.

L’altra faccia della medaglia del DDL 1660 è l’enorme aumento dei poteri e delle protezioni delle forze di polizia.

I loro poteri sono aumentati direttamente nello sgombero delle case occupate e attraverso il diritto a portare fuori servizio, anche senza licenza, armi non di ordinanza; indirettamente attraverso il generalizzato innalzamento delle pene per ogni forma di resistenza, anche passiva, ai loro ordini e per ogni forma di lesione, anche lievissima, ai loro corpi – che è punita d’ufficio con pene dai 2 ai 5 anni, a differenza delle lesioni ai comuni cittadini che sono punibili solo a querela di parte e con pene inferiori. La soglia dei 5 anni è importante perché consente alla magistratura di mettere in carcere il/la presunto/a “colpevole” attraverso la custodia cautelare. Poliziotti, carabinieri, guardie carcerarie diventano in questo modo corpi sacri, come l’ordine del capitale al cui servizio sono.

Ecco perché questo DDL liberticida, schiavista, da stato di polizia, scritto sotto dettatura dei comandi militari e per le necessità della corsa a una nuova guerra mondiale va denunciato e fermato!

Noi lo rigettiamo nella sua integralità, perché colpisce tutte le lotte e le forme di protesta in corso, e perché serve a imporre nelle fabbriche, nei magazzini, nelle scuole, nelle carceri, nella società tutta, un’economia di guerra e una disciplina di guerra che si abbattono con i loro terribili costi materiali e umani sulle classi lavoratrici, che sono la stragrande maggioranza della società.

Queste norme da stato di polizia richiamano sempre più l’impianto classico delle leggi marziali varate in periodi di guerra. Proprio per questo contro il DDL 1660 occorre una mobilitazione straordinaria, capace di contrapporsi tanto al suo carattere odiosamente repressivo e vendicativo, quanto al contesto di guerra da cui trae ispirazione.

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