Contributo da Venezia/ bilancio prima sperimentazione Ticket di accesso

Riceviamo e pubblichiamo

Contributo da Venezia/ bilancio prima sperimentazione Ticket di accesso

DEL TICKET E DELLA CITTA’

Ci siamo cascati di nuovo.
Di emergenza in emergenza, senza più riuscire a ricordare il momento in cui ogni restringimento delle libertà personali da parte di chi ci governa riusciva, se non altro, a scatenarci un moto di sdegno, fosse anche solo di borghesissima indignazione.
Senza riuscire a ricordare più l’ultimo momento in cui “tutto andava bene”.
Dagli allarmi terrorismo che ci hanno abituato a convivere con l’esercito nelle strade a una pandemia che ha reso normale, se non auspicabile, dover fornire a qualcuno un motivo valido per uscire di casa, passando per l’emergenza climatica che, ne siamo sicuri, presto
verrà usata per eliminare ulteriori spazi di agibilità tramite la  colpevolizzazione individuale per il disastro in corso.
Hai un motivo valido e certificabile per salire in auto e continuare ad inquinare?
C’è pur sempre un apparato tecno-industriale da salvare dalla sua stessa crisi, nonostante tutto.
Un sistema che, nel prossimo futuro, dovrà essere implementato per essere ancora più preciso ed efficiente, per produrre più oggetti di consumo, tecnologie di precisione, armi e strumenti di morte. E per non permettere più nessuna diserzione dal sistema stesso.
Ogni promessa di transizione va letta come la promessa che tutto resterà esattamente così com’è, ma che ci sarà sempre meno spazio per chi non vorrà, o non potrà, adeguarsi.

Tornando a noi: la giunta comunale di Venezia negli ultimi mesi si è arrogata il potere di decidere chi potrà o meno frequentare la città storica, trasformando il problema, sistemico, dell’ “overtourism” nell’ennesima emergenza da governare. Meglio se in senso autoritario e facendo fare due soldi in più ai soliti noti.
Di questo si tratta: svegliarsi un bel giorno per decretare, ai media di mezzo mondo, che decine di migliaia di turisti (rigorosamente giornalieri e più poveri dei pernottanti), possono creare qualche problema di viabilità e sporcizia. Ché questa gente dovrà pur
mangiare, andare al bagno, respirare.
Un problema di degrado insomma, da trattare innalzando una barriera fisica, un checkpoint attraversabile giustificando la propria presenza e, per alcuni, pagando dazio.
All’oggi i controlli sono svolti nei punti d’accesso alla città perlopiù da steward con pettorine multicolore, con polizia locale e forze dell’ordine sempre nei paraggi, pronte ad intervenire.
Domani sarà certamente un tornello o un qualche altro sistema di riconoscimento digitalizzato a permettere il passaggio del varco.
Ribadiamo per l’ennesima volta che non si sta trovando, e nemmeno cercando, una soluzione al problema dell’overtourism. Un problema creato dall’accumulazione spietata di capitali che, inevitabilmente, prosciuga e devasta tutto ciò da cui riesce ad estrarre valore. Non viene limitato Airbnb e i contratti di locazione breve per favorire la
residenzialità, non vengono diminuiti i voli diretti per Venezia (questi sono in costante aumento e la giunta comunale con Trenitalia progetta la costruzione di una nuova ferrovia per trasportare i clienti – ops turisti – ancor più velocemente dall’aeroporto di Tessera al centro di Venezia), non viene promosso attivamente il ripopolamento dell’isola (ad esempio dando contributi o benefit a chi vuole vivere a Venezia e ha un’attività lavorativa ad uso “esclusivo” dei residenti: un fruttivendolo, un calzolaio). Tantomeno vengono restaurate e assegnate le centinaia di case popolari che rimangono vuote ed in
preda al deterioramento.
Vengono però venduti, o dati in gestione a grandi aziende, palazzi ed aree edificabili per innalzare l’ennesimo albergo (vedi palazzo Papadopoli e i progetti al Tronchetto) o costosissime residenze universitarie per studenti ricchi e alcuni – pochi – con borse di studio schiavizzati nelle scuole d’eccellenza. Studenti che vengono però equamente sbattuti fuori nei tre mesi estivi per trasformare le residenze in alberghi per turisti (vedi il campus di Santa Marta o il progetto alla caserma Pepe al Lido).
Non ultimo, si pianifica il progetto del megaparcheggio, terminal turistico e di trasporto merci, al posto di una parte del parco di San Giuliano, con arrivo diretto a San Giobbe.
Insomma, questo sistema produttivo crea dei problemi che non vuole e non può risolvere ma che ha un grande interesse a provare a gestire, con lo scopo di far arricchire ulteriormente chi ha già speculato su di essi.

L’introduzione del ticket d’accesso è, in questo, un caso esemplare.
Un sindaco-imprenditore che prova a gestire il problema del turismo attraverso un’infrastruttura tecnologica molto più complessa e avanzata di quel che appare, in modo che lui, e la sua cerchia, possano guadagnare tramite l’appalto del sistema controllo del ticket (centinaia di lavoratori sottopagati da agenzie di vigilanza quali Civis, CDS, Arco), tramite lo sviluppo di un sistema informatico e di videosorveglianza su cui varie multinazionali lucrano, tramite la cessione volontaria da parte dei “clienti” che accedono a Venezia dei loro dati sensibili. Dati che possono essere rivenduti ad aziende
interessate e da cui estrarre ulteriore profitto.
Alla fine della prima fase di sperimentazione del ticket, terminata il 13 luglio 2024, possiamo riscontare che nessuna multa è stata comminata, a nessuno, durante le 29 giornate in cui il Comune ha deciso di far pagare il contributo per entrare in città. Non è stata erogata nessuna sanzione nemmeno a chi, proprio per poter avere
una base sulla quale impostare un ricorso legale, si è autodenunciato alle autorità come non pagante e non registrato.
Vale la pena di ricordare infatti che la maggior parte dei visitatori non è soggetta al pagamento del ticket o che, dato l’amplissimo ventaglio di esenzioni non riscontrabili in alcun modo, risultare esente dal pagamento è cosa facile: per tutti però è obbligatorio registrarsi sull’apposito portale del Comune per ottenere un QR valido per
entrare in città.
Vale la pena anche ripetere fino alla noia che questa misura non limiterà in alcun modo il turismo e sarà tantomeno un modo di batter cassa. Durante la sperimentazione sono stati spesi 3 milioni di euro, a fronte di un guadagno di 2.2 milioni. Insomma, sono stati e verranno spesi soldi di chi abita a Venezia e terraferma per un dispositivo che nessuno vuole, se non sindaco, giunta e chi ci guadagna sopra.
Al momento inoltre manca l’infrastruttura legale per poter punire i trasgressori. È noto però come, in vista del prossimo anno, il Comune si stia attrezzando in tal senso, avvalendosi della consulenza di uno dei più famosi e costosi studi di avvocati del paese. Il pagamento del contributo resta, almeno per quest’anno, un atto volontario, seppure
fortemente condizionato da una propaganda martellante.
Il nostro consiglio, suggellato anche da numerosi confronti legali, è quello di non pagare e di non registrarsi, tirare dritto ai controlli (polemizzando a piacere o dichiarandosi residenti) e tenere botta finché un addetto di grado superiore allo steward non verrà a scusarsi di persona, e a nome del sindaco, per avervi trattenuto e disturbato.
Ciò su cui è però necessario porre l’attenzione è il cambio di paradigma che ‘introduzione di questo dispositivo ha scatenato, nonostante la buona volontà delle non poche proteste, per lo più silenziate. Ovvero l’idea che un’autorità possa, arbitrariamente e persino al di là di uno stato di emergenza, decidere di limitare l’accesso ad una porzione di territorio, in questo caso una città di non secondaria importanza come Venezia. Come accadeva in tempi di pandemia l’attraversare un dato luogo deve essere preceduto dal dichiarare le proprie motivazioni, unitamente ai dati sulla propria identità. Qualora queste motivazioni vengano considerate non lecite, o sgradite a chi governa, il diritto di accesso può venire in qualsiasi momento negato.
Il discrimine che, sempre per adesso, si sta cercando di applicare è un filtro su base economica: dentro chi produce ricchezza o chi è disposto a consumare, fuori chi non ha motivo di farlo o non ne ha le possibilità.
È vero, come già spiegato, che adesso il filtro ha maglie molto larghe, che poggia su basi traballanti e che è facilmente aggirabile, ma una maggiore efficienza dello stesso porta a domande che aprono a scenari decisamente inquietanti, che non chiamiamo distopici solo
perché abbiamo già visto di che cosa è capace l’autorità quando si sente minacciata sul fronte interno o ha bisogno di rendere i propri spazi più efficienti e produttivi:
Quale sarà il destino di chi non potrà permettersi di pagare una tassa
per entrare in città?
Che cosa sarà di chi non possiede documenti regolari, chi risiede pagando un affitto in nero, chi abita in una casa occupata o lavora in maniera extralegale?
È possibile estendere questo ragionamento a tutte le persone che per il sistema di polizia presente sono già il principale bersaglio di controllo. Gli ultimi, le persone razzializzate, quelle in condizioni precarie, potranno essere controllate e respinte con la scusa del ticket, spingendo ancora più lontano dagli occhi dello scintillante centro quelle marginalità che il centro stesso crea e riproduce.
Il rischio reale è la creazione di una cittadella fortificata, un’enclave di privilegio escludente riservata a chi, in maniera arbitraria, è accordato il diritto di fruirne.
Infine: cosa potrebbe succedere se dovessero cambiare i criteri di accesso per bloccare, ad esempio, persone condannate per alcuni reati (ad esempio contro il patrimonio, proseguendo la logica dei fogli di via o dei Daspo, urbani e non) o a individui considerati
scomodi e, pertanto, pericolosi?
Una volta che tali meccanismi di inclusione/esclusione verranno introiettati dalla maggior parte della popolazione e vissuti come normali, si potrà più trovare la forza di opporvisi?
Ci sembrano quesiti sui quali è importante ragionare adesso, inquadrando il dispositivo contributo di accesso in uno scenario più ampio di progressiva sottrazione del “diritto alla città” (H.Lefebvre), non fermandoci alla sola, palese, inefficacia rispetto ai suoi propositi
o alla sua difficilmente dimostrabile illegalità.
Di certo non finisce qui.

CDA anca no.

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