Il lato oscuro delle smart city/da Hebron a Venezia

Il lato oscuro delle smart city

da ilrovescio.info

La città intelligente
“Benvenuti nell’anno 2030. Benvenuti nella mia città – o dovrei dire ‘nostra città’. […] Shopping? Non riesco a ricordare cosa sia. Per la maggior parte di noi, ora si tratta della scelta di oggetti da utilizzare. Talvolta lo trovo divertente, e talvolta voglio che sia l’algoritmo a farlo per me. Ormai conosce i miei gusti meglio di me. […] La mia maggiore preoccupazione riguarda coloro che non vivono nella nostra città. Quelli che abbiamo perso per strada. Quelli che hanno deciso che tutta questa tecnologia era diventata troppo. Quelli che, quando i robot e l’AI hanno preso il posto di gran parte dei nostri lavori, si sono sentiti obsoleti e inutili. Quelli che si sono arrabbiati con il sistema politico e gli si sono rivoltati contro. Vivono vite differenti fuori dalla nostra città. Alcuni hanno creato piccole comunità autosufficienti. Altri semplicemente stanno in case vuote e abbandonate in piccoli villaggi del XIX secolo. Di tanto in tanto mi infastidisce il fatto di non avere
una vera e propria privacy. Non posso andare da nessuna parte senza essere registrata. So che, da qualche parte, tutto ciò che faccio, penso e sogno è registrato. Spero solo che nessuno lo usi contro di me. Tutto sommato è una bella vita […].”1
Queste sono le parole che Ida Auken nel 2016 – quando era parlamentare danese, Young Global Leader e membro del Global Future Council on Cities and Urbanization del World Economic Forum (WEF) – scrive in un breve articolo intitolato inizialmente Benvenuti nel 2030. Non possiedo nulla, non ho privacy, e la vita non è mai stata migliore, poi Ecco come potrebbe cambiare la vita nella mia città entro il 2030. All’epoca, il testo dove Auken immagina uno scenario venturo determinato dallo sviluppo tecnologico ricevette delle critiche: alcuni lo interpretarono come un’utopia dell’autrice, quando invece Auken – come si legge in una nota all’articolo – dichiara di aver solo mostrato un futuro possibile. Che quello descritto sia un sogno o meno, possiamo affermare che le nostre città stanno percorrendo la strada ipotizzata assumendo la forma delle cosiddette ‘smart city’.
La smart city è “un luogo che integra i sistemi fisici, digitali e umani nelle reti e nei servizi
tradizionali”2, è un luogo dove “i servizi, le infrastrutture e le strade [sono] connesse alla rete e [sono] così intelligenti da gestire i flussi di energia e di materiale, la logistica e il traffico”3. Nel 2016, ne La quarta rivoluzione industriale, Klaus Schwab – fondatore e presidente del WEF – scrive che “le città ‘intelligenti’ stanno estendendo continuamente il proprio network di sensori e lavorando su piattaforme dati che rappresenteranno lo spazio dove confluiranno diversi progetti tecnologici e dove implementare ulteriori servizi basati sull’analisi dei dati e su modelli diprevisione”4. Come prima conseguenza negativa di questo modello urbano Schwab indica la questione della privacy e della sorveglianza; come aspetto con effetti non ancora noti segnala i cambiamenti delle abitudini individuali dei cittadini. Schwab individua nella città “lo spazio dove l’innovazione viene generata”, una trasformazione di una rilevanza tale da dare luogo a cambiamenti economici, sociali e culturali. Come appunta l’autore, “la tecnologia e la digitalizzazione rivoluzioneranno ogni cosa, al punto da rendere l’espressione ‘questa volta è diverso’, spesso abusata o utilizzata impropriamente, perfettamente calzante. In parole povere, le principali innovazioni tecnologiche sono nel punto di promuovere un cambiamento epocale, nonché
inevitabile, a livello globale”. Che la tecnologia avrebbe modificato la natura stessa delle città è un dato affiorato anche in uno studio condotto dal Global Agenda Council on the Future of Software and Society5 del WEF, dove viene indicato il 2026 come l’anno di svolta per l’avvento delle smart city, inserite nella lista delle ventuno trasformazioni dovute allo sviluppo tecnologico.

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