Dall’Irlanda alla Palestina
di Nicoletta Poidimani https://www.nicolettapoidimani.it/?p=2166
In tutte le iniziative sulla Palestina a cui ho partecipato negli ultimi mesi – che si trattasse di cortei, presentazioni di libri o altro – non ho mai sentito nominare nemmeno lontanamente un aspetto che negli anni ‘70 e ’80 era chiarissimo a chi si occupava sia di Palestina che di Irlanda del Nord: la profonda impronta britannica che caratterizza il dominio e l’oppressione sionista.
Non mi riferisco solo al mandato britannico e alla “dichiarazione Balfour”, che ormai dovrebbero essere arcinoti anche ai sassi e sui quali, quindi, non sto a soffermarmi. Quello che, invece, mi sembra sfuggire è il legame tra la storia e le pratiche del dominio britannico in Irlanda e il dominio sionista nei territori palestinesi.
Non posso scrivere qui un trattato al riguardo, né indagare in profondità le complesse relazioni tra i servizi segreti britannici – in particolare MI5 – e il Mossad. Cercherò, piuttosto, di riportare le linee essenziali della mia riflessione in fieri, rimandando per gli approfondimenti alla lettura dei testi citati e all’infinito materiale che si può trovare in rete.
Colonialismo d’insediamento
Ancora oggi in Irlanda – in particolare nelle 6 contee ancora sotto dominio britannico – canti e murales sono tra i principali veicoli della memoria storica. Dal bellissimo – se pure consunto dal tempo – murale di Belfast Otto secoli di occupazione, otto secoli di resistenza a You’ll Never Beat the Irish – cantata a squarciagola in ogni occasione – note e colori raccontano la storia di una popolazione indomita e la sua plurisecolare resistenza all’occupazione britannica.
Se le prime tracce del dominio militare possono essere individuate nel 12° secolo, è con il Plantation of Ireland che comincia, nella seconda metà del ‘500, il vero e proprio colonialismo britannico di insediamento che vide confiscati ai capitribù irlandesi i loro territori per consegnarli al controllo e al possesso dei British tenants di religione protestante, anche allo scopo di prevenire e reprimere le ribellioni delle popolazioni locali – eclatante il caso del Plantation dell’Ulster e della costruzione, tra il 1613 e il 1618 della città fortificata di Derry.
Lo sviluppo dei Plantations ricorda senza dubbio, se pure con le dovute differenze, la strategia della sottrazione di territorio ai palestinesi cominciata coi kibbutz.
Genocidio
Per accelerare il genocidio della popolazione palestinese, ai continui bombardamenti che hanno raso al suolo la Striscia di Gaza decimandone gli abitanti e ai cecchini che sparano sui civili inermi, Israele ha aggiunto l’arma della fame. Esattamente come fece il dominio britannico a metà dell’800 in Irlanda. Le narrazioni mainstream raccontano ancora oggi di una grande carestia dovuta ad una forma aggressiva di peronospora che devastò le piantagioni di patate in Irlanda, ma ricerche storiche più recenti parlano di un vero e proprio “Olocausto irlandese” pianificato dalla Corona britannica per sterminare quella popolazione ribelle, negandole il cibo per esacerbare gli effetti letali della carestia dovuta alla “potato blight”.
Terrorizzare la popolazione
Nell’agosto 1969, al ritorno dalla manifestazione che annualmente ricorda il ruolo degli Apprentice Boys nella difesa di Derry – o, meglio, in questo caso Londonderry – del 1688, gli sfegatati lealisti, infuriati per i gloriosi tre giorni di battaglia del Bogside (Derry), diedero fuoco a tutte le case del quartiere proletario di Bombay Street a Belfast, supportati dall’esercito britannico, come è testimoniato dall’allora adolescente Michael McCann nel suo Burnt Out-How ‘the Troubles’ Began. Fatti che ricordano molto da vicino la quotidiana violenza dei coloni sionisti nei Territori palestinesi occupati da Israele.
La cronaca quasi quotidiana di quegli anni è riportata con grande precisione nel testo Ireland, England’s Vietnam (1967) – pubblicato da Lotta Continua in Italia col titolo Irlanda, un Vietnam in Europa (1969) – testo di cui consiglio caldamente la lettura soprattutto a chi ancora pensa che la questione irlandese – come anche quella palestinese – si possa ridurre a questione religiosa e non, invece, di classe.
Se, infatti, è vero che il terrorismo estremista del reverendo protestante Ian Paisley, fondatore del DUP (gruppo paramilitare lealista), ricorda molto da vicino le dichiarazioni criminali di tanti rabbini israeliani che inneggiano alla cancellazione della popolazione palestinese, d’altra parte anche la questione palestinese non può essere ridotta a ‘problema’ tra ebrei e musulmani, avendo delle chiare connotazioni suprematiste e di classe.
La gestione del conflitto interno
Oltre alle armi da fuoco utilizzate dai militari e dalla polizia britannica nella sanguinosa repressione del conflitto sociale – di cui il massacro di Ballymurphy (Belfast, 1971) e la Bloody Sunday (Derry, 1972) non sono state che punte dell’iceberg – come non ricordare l’uso del gas CS o l’invenzione (tutta britannica!) dei letali proiettili di plastica e dei proiettili di gomma per la repressione dei Troubles, che ritroveremo prontamente utilizzati anche da Israele nella repressione della popolazione palestinese?
E come non ricordare, oltre alle continue irruzioni militari nelle case, il ricorrente uso della detenzione senza processo di cui sono vittime tanti/e palestinesi come lo sono stati tanti/e irlandesi? O le esecuzioni sommarie di combattenti nordirlandesi e di combattenti palestinesi?
I muri
Nelle 6 contee dell’Irlanda del Nord ancora sotto dominio britannico, oltre 30 km di muri (di cui 15 km nella sola Belfast) dividono fra loro i quartieri repubblicani da quelli lealisti.
Eretti inizialmente come barricate dagli abitanti dei quartieri repubblicani per difendersi dai ricorrenti attacchi lealisti, i muri arrivarono presto a costituire dei veri e propri confini interni alle città, delle roccheforti a difesa dei quartieri lealisti con tanto di torrette di guardia, come è ben visibile in questa immagine, scattata nel 2019 (i cancelli, per decenni veri e propri checkpoint militari, dagli accordi di pace del 1998 sono tenuti aperti durante il giorno).
Potrei continuare con gli esempi, ma credo che queste rapide suggestioni possano chiaramente mostrare le responsabilità britanniche nella repressione e nel genocidio della popolazione palestinese da parte di Israele.
Le responsabilità riguardano tutti i Paesi occidentali, ma nel caso britannico sono ancora maggiori, come dimostra anche la comoda posizione astensionista del Regno Unito al Consiglio di sicurezza dell’Onu nelle votazioni sulla necessità di un immediato (e definitivo!) cessate il fuoco. Se, infatti la rappresentante statunitense si esprime con voto contrario, la ‘cugina’ britannica nasconde furbescamente dietro l’astensione la ferocia di di un impero che, se pure apparentemente finito con la decolonizzazione, ha ancora e sempre le mani grondanti di sangue.
E di questo non dovremmo mai dimenticarci, come non se ne dimentica l’Irlanda nelle cui strade da decenni sventolano bandiere palestinesi.