Contro emergenze, guerre e militarismo/Napoli mercoledì 26 aprile

   

Di seguito il documento estremamente interessante della Rete Antimilitarista della Campania per l’iniziativa di oggi, MERCOLEDÌ 26 aprile DALLE ORE 17:00 ALLE 20:30
RIPRENDIAMO L’INIZIATIVA CONTRO EMERGENZE, GUERRE E MILITARISMO!
Santafede Liberata – via San Giovanni Maggiore Pignatelli, 2 Napoli

RIPRENDIAMO L’INIZIATIVA CONTRO EMERGENZE, GUERRE E MILITARISMO! Non si intravede nessuna luce in fondo al tunnel della guerra in Ucraina, e questo per la semplice ragione che chi, per anni, ha preparato e voluto questo massacro non ha alcuna intenzione di raggiungere un accordo di pace. Anzi!

USA, Europa e NATO sono pienamente impegnati ad alzare ulteriormente la tensione, rendendo sempre più concreto l’allargamento del conflitto ed il rischio di uno scontro militare mondiale. La fornitura di armi offensive all’Ucraina e la presenza di cosiddetti consiglieri/istruttori occidentali sul terreno; il massiccio dispiegamento di mezzi e di militari statunitensi in Europa (oltre 100 mila uomini), in particolare nei Paesi dell’Est, insieme a migliaia di uomini e mezzi dei Paesi alleati; il sabotaggio del Nord Stream 1 e 2; il mandato di arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale contro Putin per crimini di guerra; l’applicazione di altre dure sanzioni alla Russia e, per finire, l’ingresso appena avvenuto della Finlandia nella NATO e la prossima entrata della Svezia: sono solo gli ultimi fatti alla base dell’escalation che abbiamo sotto i nostri occhi.

La volontà statunitense e dei suoi alleati è quella di prolungare questa guerra per dissanguare l’economia russa puntando a rieditare i meccanismi di implosione che determinarono il crollo dell’URSS. L’obiettivo, come indicano i piani tutt’altro che segreti di uno spezzettamento della Russia, è quello di piegare l’orso russo agli interessi dei “padroni occidentali”: disporre delle sue risorse energetiche a prezzi stracciati e di milioni di lavoratori da sfruttare a salari da fame. Per sostenere quest’offensiva, l’Occidente utilizzerà fino all’ultimo ucraino come carne da macello. L’unica cosa che potrebbe mettere fine a questa mattanza fratricida sarebbe la resa incondizionata della Russia alle mire espansionistiche dei Paesi NATO accettando sia l’accerchiamento da parte dell’enorme apparato militare dell’alleanza atlantica sia una posizione subordinata e dipendente dalle altre potenze mondiali.

Una resa che non sembra né può essere nelle intenzioni di Putin. Dopo anni di attacchi portati ad Est dall’imperialismo occidentale (l’allargamento della NATO a buona parte dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia; i ripetuti tentativi di fomentare rivoluzioni colorate e di destabilizzare Paesi alleati di Mosca; il colpo di stato in Ucraina nel 2014, per farne l’avamposto della NATO; il sabotaggio degli accordi di Minsk per guadagnare tempo ed armare l’Ucraina nel mentre favorivano l’aggressione contro le popolazioni russe del Donbass (14 mila morti in 8 anni); gli affossamenti di tutti i tentativi di Mosca di trovare una soluzione che conservasse la neutralità dell’Ucraina e fermasse definitivamente l’aggressione alle regioni autonome), l’intervento militare in Ucraina è stato, dal punto di vista di Mosca, un’azione difensiva. La reazione di uno stato pienamente capitalista che punta a tutelare una propria sfera d’influenza sia economica che politico-militare, a ritagliarsi un proprio spazio all’interno del mercato capitalistico internazionale, ad uscire dalla fossa di paese semplice fornitore di materie prime e a sottrarsi al controllo finanziario occidentale che, attraverso la gestione dell’intermediazione nella vendita di gas e petrolio, riesce ad appropriarsi persino della maggior parte dei profitti di questo comparto produttivo fondamentale.

Nessuna illusione, quindi, circa gli interessi di cui si fa portatrice la Russia guidata da Putin: difendere in primo luogo le esigenze del proprio capitale nazionale ed in subordine garantire un minimo di relativo benessere alla parte maggioritaria della popolazione al fine di mantenere la pace sociale interna, altrimenti a rischio di sommovimenti sociali. Ma, altrettanto, nessuna concessione alla narrazione dominante: l’invasione russa dell’Ucraina è solo l’ultimo atto in uno scontro tra potenze statali e capitalistiche che dura da decenni, e del quale il nostro imperialismo targato NATO ha la maggiore responsabilità.

Le ragioni di tanta aggressività da parte delle potenze imperialiste stanno nella crisi economica internazionale che le attanaglia ormai da decenni. Nel tentativo di sfuggire al calo dei profitti, aumentano sempre più la pressione verso i popoli e le nazioni periferiche con operazioni di vero e proprio saccheggio delle risorse, non esitando ad aggredire militarmente chi decide di non piegarsi ai loro diktat, come avvenuto in questi anni dall’Afghanistan all’Iraq, dalla ex Jugoslavia alla Libia e alla Siria. Sebbene in concorrenza tra di loro, esse si muovono come un solo uomo quando si tratta di ridimensionare le aspirazioni dei loro potenziali concorrenti e conquistare nuove aree di influenza. Ed infatti, di fronte ad una certa ritrosia, se non dichiarata opposizione, dei Paesi non-occidentali ad applicare le sanzioni alla Russia e al tentativo di Putin e della stessa Cina di dare corpo ad accordi ed alleanze che hanno il chiaro scopo di affermare politiche economiche e monetarie che prefigurano una
revisione dell’attuale ordine internazionale ad egemonia occidentale, il cosiddetto Occidente allargato non sta lesinando provocazioni in ogni angolo del pianeta. In particolare, le continue minacce rispetto ad un’ipotetica invasione cinese di Taiwan, la provocatoria massiccia presenza di navi e aerei a stelle e strisce per “contenere” la Cina lungo la «prima catena di isole», l’apertura di 4 nuove basi USA nelle Filippine, il riarmo del Giappone ed il consolidamento del QUAD (la NATO indo-pacifica) insieme ai tentativi di sabotaggio degli accordi commerciali e di sicurezza tra la Cina e le isole e gli stati federati della Micronesia, stanno accrescendo le tensioni e innescando una pericolosa accelerazione verso uno scontro sul piano militare.

Tutto questo mentre si fa finta di chiedere a Xi Jinping di premere sulla Russia per arrivare ad un accordo di pace. In realtà, come dimostra il rifiuto di USA ed Europa proprio della recente proposta di pace cinese, le pressioni sul celeste impero puntano a minare la temporanea convergenza di interessi e la precaria alleanza tra la Russia e la Cina, per allontanarle e poterle affrontare separatamente. A questa corsa verso il baratro di una Terza guerra mondiale l’Italia dà un decisivo contributo. In Ucraina, con la NATO, è nei fatti in guerra contro la Russia. Non solo con le armi sempre più distruttive fornite a Kiev (l’ultimo decreto autorizza l’invio per tutto il 2023), non solo con il dispiegamento di uomini (fino ad oltre 3 mila) e mezzi nei paesi Baltici e nei paesi confinanti con l’Ucraina (si veda lo schieramento in Slovacchia di una batteria antiaerea/antimissile SAMP-T), ma con la partecipazione sempre più attiva alle operazioni militari. Le basi militari presenti sul territorio italiano, in particolare Sigonella, sono diventate le piattaforme di decollo dei droni che spiano i movimenti delle forze armate russe e forniscono le coordinate per gli attacchi ucraini.

Nel resto del mondo con una significativa politica interventista ed una presenza militare in crescita. I recenti incontri del premier Meloni in India e del Ministro della difesa Crosetto in Giappone non soltanto hanno sancito la cooperazione in materia di difesa con i due paesi (con il Giappone, insieme alla Gran Bretagna, l’Italia già lavora al progetto del jet di sesta generazione), ma hanno confermato la volontà di una maggiore presenza della Marina Militare italiana nell’area del Pacifico. La missione della nave Morosini, salpata agli inizi di aprile, che durerà 5 mesi, oltre che rappresentare una campagna di sponsorizzazione di questo gioiellino presso possibili acquirenti dell’Estremo Oriente, costituisce il battistrada per la missione che vedrà impegnata la portaerei Cavour nelle acque degli oceani Indiano e Pacifico insieme alle marine alleate per il contenimento della Cina.

Ancora più significativo il pressing messo in atto dallo Stato italiano in Africa. La visita di Meloni e del Presidente Mattarella in Libia, in Tunisia, in Kenya e in Etiopia e gli incontri con i Premier della Somalia e del Burundi a Palazzo Chigi mirano a rilanciare il ruolo dell’Italia nel continente dove è già presente militarmente con diverse missioni. Il tanto sbandierato “Piano Mattei” di sostegno allo sviluppo “non predatorio” ai Paesi africani altro non è che un insieme di investimenti, prestiti e aiuti il cui vero obiettivo è rafforzare la crescita ed i profitti delle imprese italiane nell’area. Non è un caso che questi viaggi hanno visto la presenza dei rappresentanti del mondo imprenditoriale italiano. In Ucraina come in Etiopia, paese appena uscito da uno scontro armato nel Tigray, o in Libia il piatto succulento è la ricostruzione e, soprattutto, l’accaparramento di risorse di cui sono ricchi questi Paesi e l’intero continente africano.

Guai, però, a pensare che questo attivismo sia dettato dalla natura “nostalgica” di questo governo. Meloni e soci stanno fedelmente seguendo le orme dei loro predecessori. Chi non ricorda le trasferte dei Di Maio, Draghi, Conte, Pinotti o Guerini? A prescindere dal colore, quindi, si tratta di difendere gli interessi del capitale nazionale, sia in Africa che nel resto del mondo, da una concorrenza che si fa sempre più spietata, in special modo quella di Russia e Cina. Proprio per questo il Ministro della Difesa Crosetto ha ribadito la necessità di un cambio di postura del nostro Paese nell’ambito delle alleanze internazionali: il ruolo dell’Italia «non può limitarsi meramente a quello di nazione contributrice di truppe», ma è necessario l’assunzione di posizioni di leadership all’interno di operazioni multinazionali.

Questo vuol dire, dice Crosetto, che non si può continuare ad essere i “Pierini” della NATO con meno del 2% del PIL destinato alla difesa; la spesa militare – che quest’anno supererà i 30 miliardi (con oltre 8 mld. di euro per l’acquisto di armi: un record!) – dovrà crescere ancora di più per rafforzare l’apparato militare-industriale, nostro principale strumento di tutela degli interessi nazionali e volano per il sistema-paese, adeguandolo alle sfide che abbiamo davanti.
Se questo programma andrà avanti, la conseguenza sarà un ulteriore sottrazione di risorse allo stato sociale (sanità, scuola, pensioni, assistenza sociale, ecc) con il conseguente peggioramento delle condizioni di vita di milioni di proletari. Il clima di crescente isteria militarista e di interventismo non sono dirette, infatti, solo contro i paesi e le popolazioni verso cui i nostri governanti hanno mire espansioniste, ma mirano a colpire contemporaneamente il “fronte interno”. In nome del clima emergenziale, artatamente rinfocolato, e della presunta difesa dei diritti dei popoli, si rafforzano tutti i dispositivi di disciplinamento e di controllo. Si procede verso una consolidamento della militarizzazione dei territori e alla repressione di qualsiasi voce dissenziente (automaticamente bollata come filo russa e antinazionale) soprattutto quando denuncia dove risiedono i veri responsabili di questa corsa verso una guerra generalizzata: cioè nelle nostre istituzioni, nei comitati direttivi delle aziende, industriali e non, e nella grande finanza.

Per convincerci ad accettare tutto questo e ad aderire alla loro politica bellicista e neocoloniale, il governo, i partiti ed i mass-media asserviti, ci chiedono di restare uniti per difendere la “nostra libertà” ed i “valori europei” minacciati ora dall’invasione dei migranti, ora da quei Paesi, oggi la Russia domani la Cina, che mettono in discussione l’attuale ordine mondiale. I lavoratori, i precari, i disoccupati stanno già pagando con enormi sacrifici il sostegno dell’Italia all’Ucraina e gli interventi militari in altre aree del mondo a difesa dei profitti delle grandi imprese italiane.

Nulla abbiamo da guadagnare da questo appello all’unità nazionale in favore della guerra. La guerra si può fermare solo fermando la mano assassina di chi la fomenta, a partire dal nostro governo. A nulla serve l’ennesima raccolta di firme e il referendum per bloccare l’invio delle armi in Ucraina. Quello di cui abbiamo bisogno è la ripresa di parola, di organizzazione e di mobilitazione. – Rompere la pace sociale, organizzarci e lottare per la difesa dei nostri interessi di classe, distinti e contrapposti a quelli del capitale! – Opporci all’invio di armi all’Ucraina, all’aumento delle spese militari e ad ogni intervento militare italiano all’estero! – Opporci all’utilizzo di basi militari sui nostri territori per colpire la Russia! – Chiedere lo stop immediato alle sanzioni!

Rete contro la guerra e il militarismo – Campania Napoli, 20/04/23

 

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