L’obbedienza non è una virtù
L’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni. (don Lorenzo Millani) Da un opuscolo di Proletari in divisa ,1970
Una delle caratteristiche del sociale costruito dall’ideologia neoliberista è l’assenza del pensiero critico. Una delle caratteristiche dell’assenza del pensiero critico è la facilità con cui le persone obbediscono. Lo abbiamo verificato incredibilmente in questi anni in cui il pensiero unico dell’iper borghesia si è espanso come una materia molliccia e appiccicosa che si è infilata dappertutto, tutto ha inglobato e fagocitato. Mi viene in mente il famoso film di fantascienza Blob del ‘58 in cui i mostri alieni arrivavano sotto forma di un fluido che uccide, una massa rosa inarrestabile che assorbe e soffoca. Solo che qui non si tratta di alieni ma della società in cui siamo infilate/i e drammaticamente reale.
Ogni potere pretende obbedienza, sogna l’assenza di una controparte e si muove in maniera tale da ottenerla. Obbedienza, castità, povertà costituiscono i pilastri di chi prende i voti nella Chiesa cattolica, credere, obbedire, combattere è il motto dei fascisti.
Dovunque si sono messi a punto testi, grammatiche e tutto un campo di saperi volti a sottomettere il soggetto, vale a dire a produrlo come tale, a gestire i suoi modi, diversi di volta in volta, di lavorare, di parlare, di credere, di pensare, di abitare, di mangiare, di cantare… insomma di vivere e di morire.
I meccanismi messi in campo dal neoliberismo si esprimono su più piani.
Da una parte la repressione diretta, la punizione che sta diventando ogni giorno più pervasiva e squilibrata e debordante anche rispetto allo stesso diritto borghese, ma l’ideologia dell’iper borghesia teorizza soltanto asservimento, collaborazionismo e delazione, nessuna contrattazione è prevista. Ne è un esempio lampante la vicenda di Alfredo Cospito che aldilà delle considerazioni sull’evidenza di una pena spropositata fuori misura e fuori luogo e sulle caratteristiche di tortura di un dispositivo di legge come quello del 41 bis che non dovrebbe esistere per nessuno a prescindere, rende evidente quale è attualmente il rapporto suddito-potere. Il prigioniero si deve pentire, riconoscere la superiorità <etica> dello Stato e possibilmente denunciare i suoi compagni in modo che anche questi possano essere puniti. Ma tutto ciò vale anche per tutto l’ambito sociale. Una volta si diceva che le carceri erano lo specchio della società che le creava, ora è vero il contrario, sono le modalità di gestione del carcere che diventano gestione di tutta la società. Ognuna di noi, la popolazione tutta, è rinchiusa in un sistema di gabbie, come scatole cinesi. C’è quella territoriale fatta da una rete fitta di telecamere e dispositivi elettronici di controllo, di tutti i tipi e destinati a diventare sempre più precisi e diffusi, per cui si sta sedute al tavolino di un bar a prendere un aperitivo e tutto quello che facciamo è monitorato e registrato. Ma non ci pensiamo, ci siamo talmente abituate che non ci pensiamo più. Poi c’è la gabbia dei ricatti lavorativi e non, sociali e non, per cui per iscriversi da qualche parte bisogna avere lo Spid, per accedere ad un trattamento sanitario bisogna avere la tessera, per chiedere informazioni anche banali bisogna prendere appuntamento on line e così per un viaggio, per prenotare un albergo, per non parlare dei rapporti con la pubblica amministrazione di qualsiasi tipo…non riesci a sfuggire, devi essere necessariamente irregimentata…d’altra parte con il green pass, vero e proprio lasciapassare per poter accedere alla vita sociale, questo meccanismo è stato fin troppo chiaro.
L’altro piano su cui si muove il capitale neoliberista per indurci all’obbedienza è la spinta gentile o tecnica del nudging, una teoria economico comportamentale con cui la popolazione viene indotta dal sistema di potere a fare delle scelte contro i propri interessi credendole invece buone e giuste.
Vi riportiamo quanto scritto da una compagna della coordinamenta che ha studiato questa teorizzazione e che ritrovate in nota a p.13 dell’opuscolo La variante dell’indisciplina che l’Assemblea romana contro il green pass ha di recente pubblicato
La “teoria del nudge” o “nudge theory” è stata resa popolare dal libro Nudge: Improving Decisions About Health, Wealth, and Happiness (2008) dell’economista comportamentale Richard Thaler (premio nobel per l’economia nel 2017) e del professore di diritto, nonché direttore dell’ufficio responsabile dell’elaborazione e della valutazione delle politiche pubbliche (OIRA) dell’amministrazione Obama dal 2009 al 2012, Cass Sunstein. L’edizione italiana è Richard Thaler e Cass Sunstein, Nudge. La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità. L’edizione definitiva, trad. Adele Olivieri, Feltrinelli, 2009; ma particolarmente istruttivo, come risulta dal bel sottotitolo, è anche Cass Suntein, Nudge. La politica del paternalismo libertario, Università Bocconi editore, 2015. 135 Paesi (su 196 in tutto il mondo) si avvalgono oggi di unità di governo composte da esperti di economia comportamentale e sperimentale. La prima nudge unit è sorta all’interno del governo inglese nel 2010, grazie alla collaborazione di Thaler e Sunstein: si tratta del Behavioural Insights Team (BIT), diventata poi società di consulenza indipendente con uffici in tutto il mondo. Solo tra il 2016 e il 2017, il BIT ha completato 163 esperimenti per il miglioramento di politiche pubbliche in 25 Paesi diversi. In Italia nel 2018 è stata istituita presso la Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA), l’Unità per le scienze comportamentali (USC) che svolge attività di laboratorio e sperimentazione con i dipartimenti della Presidenza del Consiglio e con le altre amministrazioni che desiderino utilizzare le scienze comportamentali. Per il biennio 2020-2021 le priorità strategiche di intervento dell’USC sono state individuate nella semplificazione e nella digitalizzazione dell’amministrazione.
Poi c’è il piano della costruzione mentale del nostro sistema di pensiero che comincia addirittura dalla culla per cui l’educazione civica diventa di fatto educazione alla legalità. Il rispetto per l’altro/a diventa la teoria del consenso per cui è necessario chiedere il permesso per fare qualsiasi cosa. Abituarsi a chiedere invece di cercare di realizzare i propri desideri significa abituarsi a dipendere dalle concessioni dello Stato, ad avere paura del conflitto, a temere il giudizio e la risposta, a confidare in chi pensiamo che possa essere più preparato e più bravo di noi. Il ribaltamento assoluto dell’autodeterminazione.
Poi c’è la metabolizzazione della scala di valori neoliberisti e i meccanismi di auto-sabotaggio messi in campo da noi stesse/i. Troppi/e credono ancora che la democrazia sia un sistema di governo al di sopra delle parti o che la meritocrazia sia un qualcosa che premia i migliori o che lo Stato tutto sommato è vero che è espressione di una classe al potere ma in fin dei conti cerca anche di fare gli interessi della popolazione.
Sono tutti dispositivi messi in campo dal colonialismo che ora nella dimensione neocoloniale si rivolgono anche alle popolazioni occidentali. Il pensiero del nemico è entrato così profondamente nella nostra testa che lo abbiamo fatto nostro.
Un barlume di dignità lo abbiamo letto nell’astensionismo alle ultime elezioni amministrative di Lazio e Lombardia anche se per la verità risponde di più alla consapevolezza che tanto sono tutti uguali e votare è inutile piuttosto che ad una presa di coscienza di come stanno andando le cose. E’ la società americana che sta prendendo piede anche da noi a passi accelerati per cui la popolazione sa di non contare nulla e di non incidere per niente sulle scelte politiche ma allo stesso tempo non si ribella.
Tanti i passaggi che abbiamo accettato senza colpo ferire e che hanno condotto fino a qui: abbiamo accettato il chip sottopelle agli animali domestici così non si perdono e soprattutto non vengono abbandonati, abbiamo accettato la chiusura dei centri storici cosi i monumenti si preservano e così sono diventati una città degli dei per pochi eletti o preda di torme di turisti economicamente molto più remunerativi di noi, abbiamo accettato le telecamere in ogni dove in nome di un bisogno di sicurezza assolutamente creato ad arte…abbiamo accettato di pagare perfino l’acqua…ci siamo fatti/e regolamentare lo sciopero per evitare danni alla cittadinanza (sic!)…ci siamo fatti chiudere in casa in nome di una tutela della salute che invece continuano a rovinarci in ogni momento della nostra vita…continuiamo a tenerci i militari nelle strade…accettiamo che i nostri soldi vengano usati per mandare le armi in Ucraina e per pagare le basi Nato, paghiamo bollette altissime senza neanche bruciarle in piazza (che non servirebbe a niente ma sarebbe la spia di un desiderio di cambiare le cose)…ci facciamo dire senza colpo ferire che sprechiamo l’acqua, che usiamo troppa corrente elettrica, che buttiamo via gli avanzi di cibo e riscaldiamo troppo le nostre case… sto saltando un po’ di qua e un po’ di là, a caso, altrimenti l’elenco sarebbe lunghissimo e noioso. E tutto, come dicevamo, per il nostro bene. Perché saremmo infantili, incapaci di decidere quello che è giusto per noi e per gli altri e di assumerci il rischio delle nostre scelte. E saremmo anche irresponsabili perché non ci preoccupiamo della comunità e delle soggettività fragili, ragioniamo solo per egoismo personale e individualismo neoliberista. Ma non erano loro i neoliberisti?
E allora arriviamo ad una considerazione piuttosto destabilizzante: ma non è che ci fa comodo obbedire? non è che obbedire è veramente, come diceva Don Milani, la più subdola delle tentazioni? Perché in effetti disobbedire è faticoso, obbedire è molto più facile. E’ sicuramente più facile credere negli esperti piuttosto che pensare con la nostra testa, obbedire alle leggi e non avere grane piuttosto che metterle in discussione, è più facile essere nel gregge piuttosto che essere considerate un bastian contrario.
E così succede che un militare obbedisce agli ordini, un prete alla gerarchia, un impiegato al capo (come si dice adesso di un superiore gerarchico sul lavoro con un’espressione terribile), uno studente all’insegnante e un insegnante al preside…tutti ricattati? Si, sicuramente, ma non basta e non giustifica. Un servo può essere costretto a subire ma può anche sputare nella minestra del padrone.
Il livello di civiltà di una popolazione si misura con la sua capacità di disobbedire