Attualità di Florian Barbedienne
Perché dilungarmi a commentare alcune recenti sentenze – mi son detta – quando Victor Hugo ha già scritto al riguardo pagine magistrali e incredibilmente attuali?!?
Et voilà: maestro Florian Barbedienne, uditore allo Châtelet durante il processo a Quasimodo.
Buona lettura!
Percorsi abolizionisti
«Questo libro l’ho scritto con rabbia. L’ho scritto tra il 1974 e il 1979 (anno in cui fu pubblicato) come contrappunto ideologico alla legislazione sull’emergenza. Volevo documentare quanto fosse equivoco fingere di voler salvare lo Stato di Diritto trasformandolo in Stato di polizia; e dimostrare che opporre la violenza legale a quella illegale era un antico vizio italiano che non era mai riuscito a nascondere la fondamentale intolleranza – mascherata sotto il nome di difesa della religione, della patria, delle istituzioni democratiche, ecc. – che nel metodo inquisitorio aveva sempre trovato il mezzo più opportuno per concretarsi nell’effettività. Da lì il perdurante medioevo giuridico in cui ancora oggi viviamo; e cioè: la mancanza di habeas corpus; la possibilità di essere arrestati per un semplice sospetto (chiamato anche indizio), e la regola di esser giudicati sempre non dai propri pari, ma da un giudice-professionista (un tempo in tonaca, oggi togato); l’obbligo per l’imputato di dimostrare la propria innocenza (vale a dire l’inversione dell’onere della prova); l’istruttoria scritta e segreta, senza contraddittorio; la segregazione cellulare e la tortura per costringere a confessarsi colpevole dei reati imputati; la possibilità di condannare non basandosi sulle prove ma sul “libero convincimento” dell’inquisitore; l’irresponsabilità totale del pubblico ministero e degli altri inquirenti per qualunque loro iniziativa giudiziaria; il nessun conto in cui da allora è sempre stato tenuto l’avvocato, ed infine la mancanza di qualsiasi diritto, soprattutto da parte degli accusati di lesa maestà divina od umana (vale a dire dei reati di eresia o di quelli contro la “personalità dello Stato”)».
Con queste parole – molto attuali! – Italo Mereu presentava, nel 1988, la riedizione di Storia dell’intolleranza in Europa.
Sarò sempre grata a Luciano Parinetto di averlo fatto conoscere a tanti/e studenti che, come me, frequentavano i suoi corsi!
L’ipocrisia benpensante nasconde, ancora oggi, dietro un “Sì, ma…” la propria avversione ad ogni ipotesi abolizionista e, quindi, la propria complicità col secolare sistema inquisitorio e repressivo di cui scriveva Mereu.
La stessa gestione politica del pandelirio-covid si è appoggiata su quel sistema, rafforzandolo e moltiplicandone a dismisura il numero dei complici e degli asserviti.
Angela Davis da tempo ci dice che i muri abbattuti diventano ponti. Per questo occorre allargare la crepa che si è aperta di recente nella dominante cultura forcaiola, fino allo sgretolamento di quella cultura e, soprattutto, dei muri che innalza e difende.
È un’occasione che non possiamo perdere, dopo decenni di silenzi omertosi su ricatti (anche sessuali), mattanze, agonie e suicidi nei luoghi di reclusione.
Come diceva un vecchio ma intramontabile slogan, per abolire il carcere è necessario, prima di tutto, liberarsi dalla necessità del carcere.
A chi volesse approfondire le ipotesi abolizioniste, propongo la lettura di Il carcere immateriale, di Ermanno Gallo e Vincenzo Ruggiero (che potete scaricare qui).
Troppo presto dimenticato e ovviamente sconosciuto alle giovani generazioni, è un testo che stimola riflessioni e, soprattutto, fornisce un’ottima bibliografia utile a scardinare il paradigma culturale dominante e l’ignavia che lo supporta.
Buona lettura!