Documento sul corteo del 9 luglio a Saronno

𝐒𝐔𝐋 𝐂𝐎𝐑𝐓𝐄𝐎 𝐃𝐄𝐋 𝟗 𝐋𝐔𝐆𝐋𝐈𝐎 𝐀 𝐒𝐀𝐑𝐎𝐍𝐍𝐎 𝐂𝐎𝐍𝐓𝐑𝐎 𝐋𝐀 𝐒𝐎𝐑𝐕𝐄𝐆𝐋𝐈𝐀𝐍𝐙𝐀 𝐒𝐏𝐄𝐂𝐈𝐀𝐋𝐄

𝐂𝐫𝐨𝐧𝐚𝐜𝐚
E’ passata una settimana dal corteo contro la sorveglianza speciale e ogni giorno vengono rilasciate dichiarazioni più o meno ridicole dei rappresentanti dei partiti politici locali. Ma prima di entrare nel merito andiamo con ordine.
Secondo quanto riporta la stampa locale un corteo di più di duecento persone ha attraversato in lungo e in largo Saronno mettendo fuori gioco il sistema di videosorveglianza e i parchimetri. Ino un trattamento speciale l’Agenzia delle Entrate, bersagliata da numerosi gavettoni di vernice. Lungo il tragitto sono stati scanditi slogan contro le misure repressive, contro gli armamenti prodotti in abbondanza nel nostro territorio, contro gli scempi ambientali, inoltre ci sono stati diversi interventi, dalle lotte del territorio a fatti di più ampio respiro, fino agli aggiornamenti su Juan (la cui notizia della condanna a 28 anni in primo grado ci ha raggiunti poco prima della partenza del corteo) e su Anna e Alfredo, ora sottoposto a regime di 41bis. Arrivati nella piazza in cui si concludeva la manifestazione gli sbirri – evidentemente innervositi dal tenore del corteo che non hanno potuto determinare – hanno inseguito alcuni manifestanti che si dirigevano verso le macchine, hanno preteso di sequestrare quanto era contenuto in una macchina, a costo di far partire alcune cariche della celere per far spostare chi presidiava l’auto. Ne sono conseguiti minuti di colluttazione in mezzo alla strada, con un compagno ammanettato (poi rilasciato), con la perquisizione della vettura all’interno della quale venivano rinvenuti striscioni e le aste per reggerli, oltre a qualche fumogeno. Il succoso bottino (?!) ha avuto come conseguenza il blocco totale di via Marconi, una via adiacente al centro cittadino, fino alle 22.30, l’ora di rilascio dei compagni perquisiti, precedentemente portati in caserma, alla cui uscita un presidio di poco meno di un centinaio di compagni bloccava ancora la strada.
Una giornata importante, per rifiutare la richiesta di sorveglianza speciale nei confronti di un nostro compagno, e per rifiutare tanto la misura tout court – infame esempio di repressione preventiva – quanto la sua applicabilità verso compagni e compagne, che nell’ultimo decennio ha subito una crescita esponenziale.

𝐈 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐢
I politici non hanno perso tempo e sin dalla mattina seguente hanno tempestato la stampa locale di comunicati stampa. Tutto inizia dal sindaco piddino Airoldi, il quale lamenta una mala gestione della piazza da parte della Polizia, che a suo dire avrebbe dovuto impedire il corteo. Il paragone che fa la dice lunga sui tempi che corrono: il corteo storico di Sant’Antonio, un corteo di rievocazione contadina. Il sindaco allude alla polemica strumentale per cui la Questura di Varese ha fatto slittare il corteo storico al giorno seguente a causa della concomitanza con il corteo contro la sorveglianza speciale, uno slittamento pretestuoso e atto a creare una contrapposizione fittizia. Ma il paragone del sindaco ci dice di più: un sindaco che paragona un corteo politico di protesta contro una misura repressiva altamente invasiva come la sorveglianza speciale con un corteo di rievocazione contadina ci sta dicendo che nelle città di oggi non c’è spazio per la politica, ma solo per le feste delle salamelle, più o meno vestite da tradizioni contadine. È questa la visione che tende ad appiattire ogni questione, da quella abitativa a quella ambientale, a semplici opinioni, attorno cui poter sì discutere amabilmente durante l’aperitivo, ma sulle quali non è consentito a nessuno – se non ai tecnici – mettere becco. Si potrebbe anche dire che nemmeno i politici fanno più politica, che la cosa pubblica è interamente affidata a tecnici e specialisti, il che significa che nessuna opposizione può nemmeno essere pensata, poiché solo gli specialisti possono permettersi di parlare, e gli specialisti – in questa distopia che stiamo vivendo – sono monocorde. Questa degenerazione la viviamo ogni giorno, in vari ambiti della vita. E’ stato così durante questi anni di pandemia, dove le scelte non erano frutto di discussione politica, bensì si è delegato ad un Comitato Tecnico Scientifico la stragrande maggioranza delle scelte da compiere. E’ così anche per quanto riguarda la trasformazione delle città in cui viviamo, ed è esattamente ciò che sta accadendo ad ampie fette di città con la speculazione edilizia che ha raggiunto livelli mai toccati. Planimetrie stravolte, palazzoni di otto o dieci piani, supermercati ad ogni angolo, qualità dell’aria e della falda infime. Eppure tutto va bene. Nessuno dice nulla, se non quelle poche e sporadiche voci isolate. Il corteo di sabato 9 luglio ha invece mostrato un altro modo di intendere la città. Un modo che prevede il prendere in carico, ognuno e ognuna, ciò che accade sulle nostre teste, e poter prenderci tempo e spazio per opporci alla deriva che ha preso la società tutta. Certo che i politici parlano di “piaga anarchica”, ed è bene che sia così, ci preoccuperemo quando così non sarà più.
Un corteo partecipato e comunicativo che, a quanto dice la stampa (Prealpina), ha messo completamente fuori uso il sistema di videosorveglianza cittadino e i parchimetri. Ma cosa sono le telecamere? Sono alcuni degli strumenti che i Comuni hanno a disposizione per la messa a valore di intere fette di città. Un tempo diffuse prevalentemente nei centro città hanno ora invaso ogni angolo di città, cittadina e paese. Addirittura nei parchi si possono trovare telecamere. Ma qual è la finalità di questo enorme grande fratello sotto la cui sorveglianza lavoriamo e chini torniamo a casa la sera? Ha una funzione prevalentemente preventiva, abbiamo tutti quanti introiettato il fatto che ogni nostra azione è ripresa e osservata. Sono occhi della Polizia che sono sparsi ovunque, spacciati come strumenti a cui è bene abituarsi senza batter ciglio, “se non si ha nulla da nascondere”. Un mondo in cui tutto è controllato è un mondo in cui non si può fiatare senza che chi ci controlla lo venga a sapere per poterci poi reprimere. È quello che è accaduto un po’ a tutti nell’ultimo periodo, quello delle piazze contro il green-pass, con multe e daspo urbani dati ad ampie mani. E cosa dire dei parchimetri? Questa usura diventata normale di dover pagare al Comune per il solo fatto che ci conceda – dall’alto della sua Somma Bontà – addirittura dei parcheggi in cui mettere la macchina con cui andiamo al lavoro?
Ecco, la canea politichese si è arruffata i capelli per telecamere e parchimetri, e per l’Agenzia delle Entrate, che assomma su di sé ogni male e su cui sentiamo di non doverci soffermare.

𝐄 𝐧𝐨𝐢?
Dire che viviamo tempi straordinari sarebbe riduttivo e in ritardo. Siamo immersi in un flusso di stravolgimento globale che affonda le sue radici nel sistema economico che ci governa. Pandemia, guerra, carovita, crisi climatiche, sovrappopolamento. Il futuro che ci si prospetta non è roseo. Checché ne dicano i politicanti per tenere a bada la popolazione, checché ne dicano anche i benestanti contenti della propria posizione sociale, il futuro è irto di miseria e sfruttamento. Certo, sempre per i soliti, ma i soliti sono sempre di più. E di fronte a una cittadina che cerca di arroccarsi costruendo sempre più edilizia benestante ci sono masse di poveri e impoveriti che migrano altrove, nel circondario, andando ad aumentare le fila degli sfruttati della terra. Rivendicare qui e ora l’urgenza dell’azione diretta, di percorsi di cambiamento reale dello stato di cose presenti, significa innanzitutto comunicare che esistono possibilità per inceppare l’ingranaggio che ci vuole sempre chini al prodotto interno lordo, significa dotarsi degli strumenti per poter essere incisivi.
Al di fuori dei teatrini della politica, in quella che ancora oggi ci ostiniamo a chiamare anarchia, cioè in quell’insieme di prospettive e metodi organizzativi che sono in irriducibile conflitto con la società, con la legge, con la polizia, con i politici. Perché se mai ci sarà miglioramento della condizione dei più sarà solo attraverso l’unione e l’azione rivoluzionaria dal basso. Ancora oggi ogni altra possibile scorciatoia (la delega politica, le elezioni, il non fiatare) è una illusione che mina alla base la possibilità del cambiamento.
I tempi sono duri, la solitudine e l’isolamento ci portano a sentirci ostile l’intero tessuto sociale. Ma ciò che avvertiamo come ostile è il prodotto di decenni di lotta di classe, dei padroni verso tutti noi, ed è ora di guardarci in faccia, di capirci, di organizzarci, perché il domani smetta di fare paura, per essere finalmente protagonisti della nostra vita.
Non si può piangere per dei parchimetri non funzionanti che consentono a tutti di parcheggiare gratis per qualche giorno e che interrompono per due giorni di ingrassare le casse comunali, non si può piangere perché qualcuno ha messo due dita nell’occhio della sorveglianza comunale che ci controlla ogni giorno ad ogni ora, non si può piangere perché l’Agenzia delle Entrate che ci salassa quotidianamente sia stata riempita di vernice. O meglio, si può piangere, ma che si sappia che chi piange è l’ordine costituito, è il governo, è il partito dei padroni. Ma sappia anche che di fronte ha sempre più persone stanche di subire.

𝘈𝘭𝘤𝘶𝘯𝘪 𝘪𝘯𝘴𝘶𝘴𝘤𝘦𝘵𝘵𝘪𝘣𝘪𝘭𝘪 𝘥𝘪 𝘳𝘢𝘷𝘷𝘦𝘥𝘪𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰

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