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CRISI UCRAINA: CHI SONO I VERI RESPONSABILI E COME COMBATTERLI
La crisi ucraina ha sostituito la pandemia nel bombardamento quotidiano di notizie. Siamo passati dall’ossessiva campagna contro i pericoli del Covid, scomparso improvvisamente dagli schermi, alle immagini, accompagnate da commenti fuorvianti, di distruzione e di notizie terrificanti sui crimini commessi dall’esercito invasore. Agli esperti virologi ed epidemiologi si sono sostituiti specialisti politici e militari che ci spiegano i pericoli che corre la pace nel mondo, la cattiveria (demoniaca o demenziale a seconda dei gusti) del nuovo Zar russo e ci invitano a schierarci a fianco del popolo ucraino immotivatamente aggredito sostenendo gli sforzi del governo per contrastare questa nuova emergenza. Un martellamento a reti unificate da far impallidire i propagandisti di Mussolini e Hitler.
Si tratta di propaganda di guerra che ha come obiettivo quello di farci schierare a sostegno dei nostri valori occidentali contro il dispotismo russo orientale. Come fuori dai denti ci ricorda qualche cronista, qui siamo nel cuore dell’Europa. Non si tratta di afghani, iracheni o siriani e meno che mai di africani, qui si tratta di un Paese e di un popolo fratello che ci somiglia. Nulla a che fare con quegli straccioni né bianchi né biondi arrivati alle frontiere europee, anche provenienti dall’Ucraina, dopo essere scappati da guerre che i governi “democratici” occidentali hanno scatenato contro i loro Paesi e che l’Europa, tanto accogliente ora verso i profughi ucraini, sta ancora adesso lasciando morire di fame e di freddo dietro i fili spinati ed i muri che l’hanno resa una fortezza.
Si tratta di propaganda di guerra del nostro paese, diventato parte attiva del conflitto in atto insieme ai suoi alleati occidentali per giustificare la vera aggressione da essi praticata contro la Russia che dura da decenni e di cui la crisi ucraina costituisce semplicemente il più recente tassello.
L’emozione provata da tutti noi per le immagini e le notizie da cui siamo ossessivamente invasi è più che comprensibile ma, come nel caso della vicenda della gestione della pandemia, è necessario andare oltre la narrazione dominante per non restarne vittime e trovarsi a marciare con il nemico alla propria testa, come purtroppo stiamo assistendo nella maggioranza delle piazze italiane in questi giorni.
L’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo non può essere compresa solo alla luce del confronto tra questi due paesi come se fosse qualcosa di avulso dallo scenario di crisi economica internazionale e dall’azione destabilizzatrice condotta dalle potenze occidentali per la conquista di nuove aree di influenza e per ridimensionare le aspirazioni dei suoi potenziali concorrenti.
Si rischia di guardare agli effetti senza riuscire ad individuare le cause che stanno a monte dell’attuale crisi.
Negli ultimi decenni, a partire dal crollo del muro di Berlino, l’Unione Europea ha progressivamente inglobato nelle sue fila la maggioranza dei paesi precedentemente facenti parte del blocco sovietico creando nuove aree di penetrazione per i propri capitali affamati di profitto e altrettanto ha fatto la NATO arrivando a minacciare militarmente i confini stessi della Russia. L’alleanza militare della NATO si configura sempre più esplicitamente come uno strumento offensivo per assecondare le mire espansionistiche delle potenze occidentali e accerchiare la Russia con una catena di basi militari dotate di armi di distruzione di massa in grado di colpire il cuore stesso del Paese. Minacciose esercitazioni sono continuamente svolte ai confini della Russia simulando lo scontro e l’invasione.
Intanto proseguono le minacce ed i tentativi di sottrarre altre aree d’influenza alla Russia anche nella parte sud ed orientale, come dimostrano l’impegno all’adesione alla NATO della Georgia, i tentativi di fomentare la rivoluzione colorata in Kazakistan e il consolidamento di basi militari dal versante est asiatico.
I più recenti tentativi per completare l’accerchiamento economico e militare sul fronte occidentale sono rappresentati dalla Moldavia e dall’Ucraina attraverso la loro adesione alla NATO e all’Unione Europea. Ma l’Ucraina rappresenta sicuramente il boccone più interessante, sia per le sue dimensioni che per le risorse agricole e di materie prime oltre che naturalmente per la sua posizione strategica dal punto di vista militare.
L’Ucraina dopo l’URSS e la penetrazione del capitale occidentale
Rispetto ad altri paesi dell’ex blocco sovietico l’Ucraina, proprio per la posizione geopolitica occupata, per la sua rilevanza strategica per la Russia e la relativa integrazione con il suo sistema economico, ha potuto consentirsi nei primi anni d’indipendenza di non essere investita dalla stessa ondata liberista che ha colpito gli altri paesi est europei. Non che non si fosse proceduto allo smantellamento di quell’economia statalizzata che aveva ereditato dall’esperienza sovietica, ma tutto ciò si era trasformato prevalentemente in un passaggio di mano della proprietà senza che fosse sostanzialmente sconvolto il proprio apparato produttivo. Questo ha consentito la creazione di un’oligarchia politica ed economica in gran parte emanazione della vecchia classe dirigente riciclata, ma ha anche determinato una situazione in cui i lavoratori, pur avendo subito netti arretramenti rispetto alla situazione precedente alla deflagrazione del blocco sovietico, non sono stati sottoposti agli identici sconvolgimenti subiti dai proletari dei paesi vicini. Ciò è stato vero soprattutto per l’area più industrializzata del paese che corrisponde al sud e all’est della regione del Donbass.
I vari governi che si sono succeduti in questo periodo hanno utilizzato tale posizione strategica per barcamenarsi tra le condizioni di favore garantite dalla Russia, in termini sia di fornitura di materie prime (soprattutto energetiche) che di mercato di sbocco per le proprie merci assolutamente non competitive sui mercati occidentali, e le profferte di adesione all’area dell’Euro. Una posizione di galleggiamento non in grado comunque di frenare quel progressivo fenomeno di erosione dei margini di manovra che sono precipitati nel corso degli anni successivi alla crisi economica internazionale del 2008 che ha ulteriormente aggravato la situazione in Ucraina le cui esportazioni calarono del 40% nel primo semestre 2013 (-50% solo per l’acciaio), le importazioni del -51%, il commercio al dettaglio del -15%. Unico dato positivo l’agricoltura (+3%) che progressivamente veniva svenduta ai capitali esteri.
Nel frattempo cresceva l’integrazione con l’economia occidentale e con essa la dipendenza dai prestiti del Fondo Monetario, dalle sue ricette lacrime e sangue da imporre alla popolazione ma anche dalla pressione verso la completa liberalizzazione dell’economia per favorire l’ulteriore penetrazione del grande capitale occidentale. Il primo assalto per sconvolgere definitivamente gli assetti politici ed economici del paese era stato tentato con la “rivoluzione arancione” del 2004 di Jushenko e Tymoshenko che portò alla ribalta un nuovo potere (neo-liberale e filo-atlantico). Esso si concluse negativamente dal momento che la sostituzione delle oligarchie al potere non soddisfece le aspirazioni che pure aveva suscitato e non concorse ad alcun miglioramento effettivo del regime di democrazia e di libertà di cui pure si erano riempiti gli slogan e le bandiere. Il successivo ritorno al potere (2010), con Janukovich, della frazione antagonista della borghesia nazionale e delle oligarchie locali, con i propri interessi materiali e le proprie ricadute territoriali, non riuscì ad invertire la deriva oramai presa dal Paese stretto tra le conseguenze di politiche neoliberiste e quelle della recessione.
Il capolavoro delle cancellerie occidentali: EuroMaidan
Fu in tale contesto che le pressioni occidentali per un legame più stretto con l’area Euro ed in prospettiva per un inserimento nel dispositivo NATO, si incrociarono con il malessere crescente di una parte di popolazione su cui maggiormente si facevano sentire gli effetti della crisi economica sull’Ucraina e per la quale i fenomeni di diffusa corruzione diventavano intollerabili.
Anche se la scintilla delle proteste di Maidan nel 2014 fu innescata dalla mancata sottoscrizione dell’accordo di adesione all’Europa, percepita come possibile alternativa alla stagnazione derivante dalla dipendenza dall’economia russa, la causa della significativa adesione alle proteste nell’area occidentale dell’Ucraina stava nelle ragioni sopra riportate. A ciò si aggiunse il lavorio di ONG foraggiate dall’estero e la consistente mobilitazione di milizie naziste, debitamente finanziate ed armate dalle potenze occidentali, che maggiormente diedero una caratteristica russofoba alle proteste, e soprattutto costituirono la testa d’ariete militare contro un regime oramai allo sbando.
Le pressioni diplomatiche e ricattatorie dell’occidente rafforzarono l’opera di destabilizzazione e di corruzione convincendo una buona quota dei nuovi ricchi e di significativi apparati dello stato a cambiare definitivamente cavallo. Il risultato fu un vero e proprio colpo di stato con il supporto di esperti statunitensi ed europei. A seguito del colpo di mano emerse un governo oramai completamente infeudato all’Occidente e con l’assegnazione di ministeri ad “esperti statunitensi” che, con un vero e proprio gioco di prestigio, soffiarono sotto il naso alla Germania i principali risultati della manomissione cui aveva anch’essa contribuito. Intanto nel giro di poco tempo i battaglioni nazisti che si erano distinti per i crimini efferati di Maidan vennero integrati nell’esercito ufficiale della nazione dando vita ad una vera e propria caccia alle streghe spesso culminata in omicidi di collettivi.
Gli esiti del colpo di stato ed il prevalere di spinte sciovinistiche spinsero le aree abitate da popolazioni russofone, come la Crimea ed il Donbass, a separarsi da Kiev per restare collegate economicamente e politicamente alla Russia di cui si sentono parte. Per il governo moscovita riprendersi la Crimea (donata da Krusciov all’Ucraina negli anni ‘50 nell’ambito dell’unitaria confederazione sovietica) e appoggiare la rivolta del Donbass rappresentava una mossa puramente difensiva per conservare almeno alcune regioni strategiche dal punto di vista militare visto il definitivo scivolamento dell’Ucraina nell’orbita occidentale.
Chi ha provocato chi?
Sia la Crimea che le due province di Donetsk e Lugansk sono abitate da popolazioni russofone, legate per tradizioni storiche e rapporti economici alla Russia. L’autonomia delle provincie del Donbass è formalmente prevista negli Accordi di Minsk del 2014, firmati non solo da rappresentanti di Russia e Ucraina, ma anche delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk e dall’OSCE (l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). Eppure, nonostante ciò, in questi anni tali accordi non sono mai stati rispettati dal governo ucraino che ha continuato a colpire i territori e le popolazioni di queste due province provocando circa 14.000 morti ed immani distruzioni.
In questa vera e propria aggressione stragista si sono distinti i battaglioni nazisti di Azov resisi responsabili di efferati crimini e di vendette gratuite verso le popolazioni ed, in particolare, le donne di queste regioni. Altri battaglioni, afferenti ad una diversa organizzazione nazista, Pravyj Sektor, hanno dato vita ad una crescente spietata caccia all’uomo, un “pogrom politico” culminato nell’orrenda messa a ferro e fuoco del Palazzo dei Sindacati ad Odessa in cui decine di cittadini e lavoratori che vi si erano rifugiati sono stati bruciati vivi. Eppure dalle cancellerie occidentali o dai pacifisti sempre pronti a mobilitarsi al comando dei propri governi non si è levata all’epoca nessuna voce di protesta o di indignazione.
I paesi occidentali hanno invece approfittato di questi anni per isolare ancora di più la Russia cercando di colpirla con sanzioni durissime ed aumentare la pressione militare nei suoi confronti. Essi non solo si sono definitivamente annessi economicamente l’Ucraina attraverso l’imposizione di misure draconiane dettate dall’FMI e dagli altri istituti finanziari con conseguenze tragiche sui lavoratori e sulla maggioranza della popolazione, ma ne hanno fatto un nuovo avamposto per l’estensione della NATO la cui adesione è stata fatta inserire persino nella Costituzione.
Alla vigilia dell’invasione russa il governo ucraino aveva dichiarato di voler lanciare a breve una nuova offensiva contro le regioni del Donbass per arrivare ad una soluzione finale con gli indipendentisti e riannetterle nuovamente all’Ucraina; a tale scopo stava ammassando truppe ed armi lungo la linea di demarcazione. Intanto si acceleravano le procedure per la definitiva adesione del paese alla NATO. I tentativi del governo moscovita di trovare una soluzione che conservasse la neutralità dell’Ucraina e fermasse definitivamente l’aggressione alle regioni autonome restavano inascoltate; ancora tra il dicembre 2021 e il gennaio 2022 pressoché tutte le proposte diplomatiche avanzate dalla Russia venivano respinte dalla controparte USA-NATO. Per la Russia tutto ciò è equivalso ad una vera e propria richiesta di resa incondizionata e sotto minaccia continua dell’enorme apparato militare dell’alleanza atlantica.
La vera posta in gioco nell’attuale crisi ucraina
Questa la dinamica dei fatti che hanno preceduto e portato alla crisi attuale in Ucraina e alla sua invasione da parte della Russia che, di fatto, sta conducendo un’azione difensiva rispetto ai ripetuti attacchi subiti dall’imperialismo occidentale.
La Russia non poteva assistere passivamente oltre al suo progressivo accerchiamento economico, politico e militare, pena doversi contentare al massimo del ruolo di potenza regionale, peraltro in una posizione subordinata e dipendente dalle altre potenze mondiali.
Si tratta della reazione di uno stato pienamente capitalista che punta a tutelare una propria sfera d’influenza sia economica che politico-militare e di difendere i suoi tentativi di unificare il mercato interno per dar vita ad un’ulteriore concentrazione dei suoi capitali, di uscire dalla fossa di paese semplice fornitore di materie prime e di sottrarsi al controllo finanziario occidentale che, attraverso la gestione dell’intermediazione nella vendita di gas e petrolio, riesce ad appropriarsi persino della maggior parte dei profitti di questo comparto produttivo fondamentale.
L’obiettivo statunitense e dei suoi alleati è quello di determinare un pesante isolamento della Russia. Allontanarla definitivamente dall’Europa ma anche, e soprattutto, minare la temporanea convergenza di interessi e la precaria alleanza con l’altro competitor, la Cina, anch’essa nel mirino USA. Inoltre, attraverso un incrudimento della politica delle sanzioni, si punta a privarla delle sue maggiori entrate dovute alla vendita di prodotti energetici di cui è ricca. Tale politica, insieme all’impulso che l’attuale crisi fornisce alla corsa al riarmo, nelle intenzioni USA, punta a rieditare i meccanismi di implosione che determinarono il crollo dell’URSS, in cui le crescenti spese militari diedero una spinta decisiva al definitivo dissanguamento di un’economia già abbondantemente in affanno ed in ritardo rispetto al turbo-capitalismo occidentale.
Se questo tentativo di progressivo strangolamento e ridimensionamento della Russia andasse in porto le sorti della sua popolazione e soprattutto del proletariato sarebbero molto peggiori di quelle vissute sotto il blocco di potere rappresentato da Putin, come hanno potuto verificare sulla propria pelle gli ucraini in questi anni e come hanno potuto constatare gli stessi russi durante l’epoca eltsiniana quando il paese era stato praticamente svenduto all’occidente. Nessuna illusione quindi circa gli interessi di cui si fa portatrice la Russia guidata da Putin tesa a tutelare in primo luogo le esigenze del proprio capitale nazionale ed in subordine garantire un minimo di relativo benessere alla parte maggioritaria della popolazione al fine di mantenere la pace sociale interna, altrimenti a rischio di sommovimenti sociali. Ma altrettanto nessuna concessione nel denunciare nettamente chi in questa vicenda rappresenta realmente l’aggressore e chi l’aggredito.
Guerra e pandemia: stesse cause, stessa strategia
Le ragioni di tanta aggressività da parte delle potenze imperialiste stanno nelle contraddizioni economiche, derivanti da un sistema basato sullo sfruttamento, che le attanaglia da qualche decennio. Nel tentativo di sfuggire alla riduzione dei profitti esse aumentano sempre più la pressione verso i popoli e le nazioni periferiche con operazioni di vero e proprio saccheggio delle risorse, non esitando ad aggredire militarmente chi decide di non piegarsi ai propri diktat, come avvenuto in questi anni dall’Afghanistan all’Iraq, dalla ex Jugoslavia alla Libia e alla Siria, dove le precedenti entità statali e le economie di questi paesi sono state smembrate in nome dei diritti umani e della protezione di quegli stessi popoli che andavano a massacrare militarmente.
Ma oramai nemmeno questa politica interventista e neocolonialista è sufficiente a ridare slancio alle economie occidentali e alla ripresa dei profitti, anche grazie alla resistenza che quei popoli hanno saputo opporre alle aggressioni subite. È questa la ragione per cui da qualche decennio si è scatenato un attacco contro le popolazioni e soprattutto contro i lavoratori degli stessi paesi occidentali. L’offensiva neoliberista sul piano interno con lo smantellamento dello stato sociale, la diffusione della precarizzazione del lavoro, l’imposizione di condizioni salariali e lavorative sempre più intollerabili, sono solo l’altra faccia della medaglia dell’aggressività crescente sul piano internazionale. Ed hanno entrambi la stessa causa: l’insaziabile sete di profitti di un sistema fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
È questo il vero mostro contro cui battersi per fermare la sua corsa distruttiva e aggressiva verso la stessa umanità. Un mostro che non esita a diffondere fame e miseria, morti, saccheggi e distruzione in giro per il mondo mascherandoli dietro propositi umanitari ed in nome di una presunta civiltà superiore. Un mostro che, come abbiamo visto con la gestione della pandemia da Covid, non esita a ricorrere a strumenti autoritari e di disciplinamento contro le popolazioni dei propri paesi per imporre condizioni di sfruttamento ancora peggiori di quelle già esistenti e per impedire sul nascere qualsiasi reazione organizzata. Una società sempre più militarizzata e fondata sul controllo asfissiante dei propri cittadini, cui si richiede la completa fedeltà e sottomissione alle superiori esigenze dell’economia (dei profitti) pena la totale esclusione dalla vita civile e sociale. Il ricorso a continui allarmi emergenziali – in nome dei quali si cerca di far passare impunemente, e spesso con il consenso degli stessi soggetti che ne sono vittime, misure di oppressione e di controllo sociale sempre più intollerabili – è diventato la nuova normalità.
Non è un caso che in nome della nuova emergenza dettata dalla minaccia russa per le sorti dell’Europa e dei valori occidentali si è varato un nuovo stato di emergenza e provvedimenti di censura e di criminalizzazione verso ogni voce o informazione dissidente dalla narrazione mainstream.
Per la ripresa di un antimilitarismo conseguente
A questa strategia occorre opporsi fermamente rifiutando qualsiasi richiamo alla solidarietà e all’unità nazionale in nome dei nostri superiori valori messi a rischio dalla nuova emergenza. Occorre gridare con forza e mobilitarsi contro il vero nemico rappresentato dal sistema capitalistico, dalle sue istituzioni politiche e dai suoi dispositivi militari interni ed esterni i cui principali rappresentati e responsabili sono proprio quelli di casa nostra delle potenze imperialistiche occidentali di cui l’Italia fa parte a pieno titolo.
Chi vuole sinceramente ostacolare questa escalation militare deve mettere in campo tutte le proprie energie per contrastare le mire espansionistiche di USA ed Europa e smascherare i piani di accerchiamento nei confronti della Russia condotti militarmente attraverso l’alleanza NATO e politicamente tramite un uso disinvolto della diplomazia, come pure attraverso il finanziamento di ONG e organismi similari che dietro presunte ragioni umanitarie e democratiche fomentano il dissenso interno a fini pro-occidentali.
Occorre protestare contro il dispiegamento di truppe del blocco occidentale ai confini della Russia, cui l’Italia dà un decisivo contributo, e che proprio in questi giorni, con il pretesto della crisi ucraina che loro stessi hanno determinato, sono state decisamente incrementate (oltre 180 mila sono solo quelle USA e NATO). Le sanzioni decise dai governi occidentali costituiscono un tentativo di strangolamento dell’economia russa e provocheranno gravissime conseguenze sulla popolazione. Esse, insieme all’invio di armamenti, di mercenari e di “consiglieri militari” rappresentano un diretto coinvolgimento dei nostri governi nella guerra in corso di cui essi invocano in maniera fraudolenta la fine immediata. È proprio il sostegno fornito al governo Zelensky che rischia di far degenerare ulteriormente lo scontro in atto rendendolo ancora più cruento e distruttivo. Questo dovrebbe renderci consapevoli di quanto cinismo si nasconde dietro le lacrime versate e la compassione esibita per la sorte della popolazione ucraina utilizzata come carne da macello per assecondare le mire espansionistiche delle potenze imperialiste.
Basterebbe dichiarare che la NATO non prevede l’adesione dell’Ucraina e riconoscere l’autonomia delle provincie indipendentiste del Donbass e la guerra terminerebbe immediatamente, poiché la Russia non ha nessuna intenzione né le potenzialità di annettersi uno stato sull’orlo del fallimento come quello ucraino.
Occorre ricordare che, se per noi lo scontro reale è quello tra gli sfruttati e tutti gli Stati capitalistici (compreso quello russo), nella nostra parte di mondo l’antimilitarismo deve rivolgersi prima di tutto contro i nostri Stati e il loro militarismo ammantato di “buoni sentimenti” come contro la nostra classe dominante, mentre ogni reale internazionalismo non può che passare anche dalla solidarietà verso le popolazioni del Donbass, sottoposte da anni a bombardamenti e angherie di ogni genere per aver osato sottrarsi alle manovre dell’imperialismo NATO realizzate attraverso i propri sgherri ucraini.
Scioglimento dell’alleanza militare imperialista della NATO
No alla presenza di truppe e armamenti italiani ai confini di Russia e Ucraina
No all’utilizzo di basi in Italia per sostenere la guerra
No alle sanzioni e all’invio di armi, mercenari e “consiglieri militari” in Ucraina
Mobilitiamoci contro il militarismo e lo stato di emergenza permanente
Rete contro la guerra e il militarismo – Napoli
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