Volantino distribuito a Rovereto durante un’iniziativa contro il lasciapassare che si è svolta presso la locale Biblioteca Civica, organizzata da una rete di solidarietà tra docenti.
Una confortevole imposizione
Ci sono momenti in cui i “no” devono essere “no” autentici.
La storia e la letteratura sono colme di personaggi che, con i loro ostinati “preferirei di no”, ci hanno appassionato e aiutato a conoscerci e formarci. Pensiamo, ad esempio, a Bartleby lo scrivano o a Cosimo, il Barone rampante di Calvino.
Pensiamo anche alla storia dei dodici professori che nel 1931 dissero no a Mussolini, rifiutandosi di firmare e giurare fedeltà al fascismo. I dodici professori (12 su 1250) persero la cattedra e subirono un forte isolamento ma, per il loro coraggio e per la fedeltà nei confronti di sé stessi, continuano a essere ancora stelle polari a cui guardare.
Esempi a cui guardare o polverosi simulacri, meri nomi sui libri che a noi, oggi, non possono più ispirare alcunché? Meglio, a cui non permettiamo che ispirino più alcunché?
Non crediamo che accettare il green pass equivalga a giurare fedeltà al fascismo.
Pensiamo, però, che il green pass sia non soltanto un’inaccettabile misura di controllo e di ricatto ma una chiamata dello Stato: una chiamata in cui lo Stato chiede di sottoscrivere la gestione e la narrazione fatta e data dell’epidemia. Una chiamata a cui nessuno può sottrarsi, pena l’esclusione dal lavoro (se fai parte del personale scolastico e sanitario) e dalla frequentazione di biblioteche, musei, teatri, concerti, piscine, bar e ristoranti.
Occorre cogliere le tendenze di fondo e battersi contro di esse poiché da certi salti qualitativi non si torna indietro.
Secondo un meccanismo di dissimulazione a partire dal 1° settembre ai docenti verrà concesso di non avere il green pass – la parvenza democratica – ma non sarà permesso loro di mettere piede a scuola.
Ne L’uomo è antiquato il filosofo Günther Anders nota che «spietato non è solo ciò che si rifiuta alle nostre richieste ma anche ciò che si presenta in modo così innocuo e confortevole da non farci nemmeno venire in mente di dire no, di opporre resistenza».
Ciò che stona nella mobilitazione in atto dei docenti contro questa nuova forma di discriminazione è il tipo di affermazioni che vengono fatte in rapporto alle proposte che vengono elaborate e messe in atto. Vengono usate parole come “coercizione”, “integralismo”, “regime”, “dittatura” alle quali si contrappone – quale massima risposta possibile – una raccolta firme, una lettera a una qualche istituzione, un ricorso.
Cosa può far credere che queste proposte possano essere sufficienti anche solo a scalfire la spietatezza del processo in corso?
E, soprattutto: possibile che dentro di noi non alberghi il desiderio di uno slancio?
Uno slancio che non abbia a che fare con le solite dinamiche di potere istituzionali o “pseudoistituzionali”, uno slancio che guardi verso un orizzonte radicalmente diverso da quello abitato (e significato!) dai vari Figliolo, Fugatti, green pass, vaccini sperimentali e tamponi?
Uno slancio che non si limiti a provvisori “stratagemmi” ma che risolutamente osteggi il mondo che ci stanno confortevolmente imponendo?
La memoria e i nostri immaginari sono costellati da atti di rotture dell’ordine costituito, di resistenza e ribellione. Lasciamo – prima che ogni nostro slancio venga tamponato e normato – che quelle indocilità e renitenze ci ispirino ancora e portino a perturbare l’inizio dell’anno scolastico.
Se si vuole dare un senso e una consistenza al “dibattito” di oggi occorre pensare collettivamente a delle pratiche che interrompano almeno sul nascere il normale funzionamento di questa nuova forma di apartheid sociale.
I primi giorni di scuola, docenti e studenti vaccinati e non vaccinati, rifiutiamoci di entrare e creiamo fastidio. Perché non c’è reale dibattito senza libertà. E quando la libertà viene calpestata occorre battersi per riaffermarla.
Docenti renitenti al “green pass”