Ieri 22 marzo sono state messe in atto a Torino 13 misure di custodia cautelare contro i/le NoTav nell’ambito di un’indagine sul Primo Maggio 2019.
Si sa, procura e questura torinesi non smettono mai di stupire. A quasi due anni dai fatti questa mattina la polizia ha eseguito tredici misure cautelari nei confronti di attivisti No Tav e giovani impegnati nelle lotte sociali in città nell’ambito di un’indagine sul Primo Maggio del 2019.
Fu un Primo Maggio particolare quello del 2019, il TAV era un tema centrale del dibattito politico di quei mesi. Nell’autunno precedente erano venute allo scoperto le “madamine”, operazione a freddo del sistema Si Tav per rappresentare un’inesistente base sociale favorevole all’opera. Il bluff era stato svelato e ridicolizzato con la grande manifestazione dell’8 dicembre a Torino che aveva visto decine di migliaia di persone riempire le strade della città per gridare forte il proprio NO.
La retorica che andava per la maggiore e che vedeva tra i suoi promotori il PD e i sindacati confederali nella loro interezza, insieme alle destre di ogni colore e alla Confindustria, era che la grande opera inutile avrebbe portato lavoro e progresso, pura propaganda smentita dai fatti (e persino da alcuni ormai noti rapporti europei). A quella retorica il movimento No Tav ha sempre opposto la considerazione per cui “c’è lavoro e lavoro”, cioè esistono lavori degni che si prendono cura del territorio, della salute collettiva, di ciò che è utile, bello e giusto e ci sono lavori che invece devastano, inquinano, sfruttano e riproducono la violenza dell’uomo sull’uomo e sulla natura.
Quel Primo Maggio del 2019 voleva essere usato dal sistema SI TAV come palcoscenico per la propaganda della grande opera, con tanto di madamine, esponenti di fratelli d’Italia e berlusconiani di ferro scesi in piazza in quella data forse per la prima volta in vita loro, ma non avevano fatto i conti con la valle che resiste e con le centinaia e centinaia di lavoratori e lavoratrici precari, studenti, riders e facchini della logistica che ogni anno si ritrovano in piazza all’interno dello spezzone sociale per portare avanti lo spirito originario di lotta del Primo Maggio. Quel Primo Maggio era la fotografia plastica di due Torino radicalmente diverse, da un lato le consorterie di speculatori, imprenditori e lobbies con i loro partiti politici di riferimento e i sindacati gialli a fare da sussidiari, dall’altra la Torino di chi lotta per sopravvivere, quella del sudore, delle pedalate in bicicletta per consegnare la cena, degli scarponi allacciati sui sentieri, dei giovani che si oppongono al cambiamento climatico e pretendono un futuro migliore.
Lo spezzone sociale di quel Primo Maggio fu partecipato da migliaia di persone, era probabilmente lo spezzone sociale più grande che si ricordi negli ultimi anni, sicuramente era lo spezzone del corteo più folto e numeroso, tale da superare i numeri del resto della manifestazione nel suo complesso. In un primo maggio che progressivamente da giornata di lotta per i diritti degli oppressi si è trasformato prima in “festa dei lavoratori” e poi in “festa del lavoro” (come si legge nelle carte dell’inchiesta redatte in questura), gli spezzoni istituzionali si sono progressivamente svuotati, mentre la coda del corteo si è arricchita di nuove istanze, nuovi bisogni, nuove visioni sul futuro.
Questa evidenza probabilmente non poteva essere tollerata. Già dai giorni prima della manifestazione era evidente che si sarebbe tentato di relegare le voci di dissenso lontane dai responsabili delle politiche sociali, ambientali e sindacali che hanno falcidiato territori e generazioni di giovani e meno giovani del nostro paese. La polizia ha più volte tentato di bloccare lo spezzone sociale, di costringerlo al fondo del corteo, di provocarne il ridimensionamento, ma i numeri sono cresciuti, così come la determinazione e la volontà di portare avanti le proprie rivendicazioni. Nonostante tre violente cariche il corteo è arrivato in piazza San Carlo e finalmente la voce del paese reale ha potuto esprimersi su quel palco che fino a pochi minuti prima era stato il teatro della sfilata politico-sindacale.
Adesso a quasi due anni di distanza arriva la vendetta dello Stato per quella giornata di lotta, con delle misure cautelari assolutamente insensate dato il lungo periodo intercorso ed utilizzate unicamente per “punire” chi ha partecipato con generosità allo spezzone sociale.
Ancora una volta tra l’altro siamo di fronte ad un’inchiesta “selettiva” in cui ad essere colpiti e colpite sono compagni e compagne noti per la loro generosità e partecipazione alle lotte. L’obbiettivo di questura e procura è naturalmente quello di offrire alla stampa dei ritratti deformati di chi si spende per contrapporsi alla barbarie istituzionale, alla devastazione ed allo sfruttamento.
In particolare ancora una volta nel mirino degli inquirenti è finita Dana, in carcere da mesi per aver parlato ad un megafono, che guarda caso è nuovamente accusata di un reato di opinione e cioè di aver raccontato dal microfono del furgone dello spezzone sociale quanto stava accadendo in piazza, di aver rincuorato chi resisteva alle cariche, di aver ricordato ai partiti ed ai sindacati le loro responsabilità. E’ evidente che ormai a Torino non si puniscono unicamente i comportamenti legittimi o meno, ma è in corso una vera è propria caccia alle idee di chi non è allineato con il dettato dominante.
Tutt* liber* subito!