<Le mie difficoltà quotidiane e la mia salute precaria non saranno mai l’alibi delle vostre scelte.>
di AnimaAliena
Car* studenti,
ho letto con interesse la vostra lettera aperta, sperando di trovare spunti di riflessione differenti da quelli triti e ritriti in cui mi sono imbattuta nel corso degli anni, ma ahimè con disappunto ho notato che la narrazione che proponete resta quella ormai a me ben nota, e ho deciso pertanto di scrivervi queste poche righe di risposta, nella speranza di arricchire la vostra riflessione con il mio punto di vista di malata e attivista antispecista.
Mi presento brevemente, sono da molti anni un’attivista femminista e antispecista e sono anche una malata cronica. Non credo sia importante specificare quali siano i miei problemi di salute, vi basti sapere che a tutt’oggi non prevedono una cura, e sicuramente impattano in molti modi sulla mia qualità di vita. Penso pertanto di avere il diritto di dirvi cosa ne penso di quanto da voi espresso nella lettera, anche perché, a dirla tutta, sono stufa di chi, student* o ricercator*, prende la parola per me e per chi, come me, soffre di patologie non curabili. Parlate per i “poveri malati” ma non siamo tutt* uguali: ci sono persone che, pur di guarire (o illudersi di guarire) farebbero di tutto, e quando dico di tutto intendo non solo che appoggerebbero la sperimentazione animale, ma probabilmente sarebbero disposte anche a sacrificare altre persone (che reputano magari meno importanti di loro) per raggiungere lo scopo. Io sono la prima a sapere che la sofferenza ci porta a sragionare e a pensare in certi momenti che “valga tutto” se ci permette di eliminarla, ma so anche che i momenti di disperazione passano, e che non ci definiscono. E, in ogni caso, so che non tutti i malati sono così.
Io ad esempio non sono così, e se mi chiedeste quello che voglio, vi direi che desidero uno sviluppo scientifico che vada di pari passo con uno sviluppo morale ed etico. È ora di smetterla di pensare che si debba scegliere, etica da una parte, scienza dall’altra. I dualismi non sono produttivi, la vita e le scelte delle persone sono colme di sfumature, trovare l’equilibrio è come camminare su un filo sottile… ma è l’unica cosa che valga la pena cercare con tutte le forze. La scienza non è onnipotente, è uno strumento creato dall’essere umano che può essere usato molto bene ma anche molto male.
Chi è malato sa che l’essere umano non è onnipotente e che ci sono dei limiti che non possono essere superati. Chi è malato ha bisogno di molte cose, certamente della ricerca, purché etica, ma non solo: si parla sempre e solo di ricerca, anche perché smuove interessi economici enormi (non fingiamo di non saperlo), ma si parla pochissimo, per non dire quasi nulla, di sostegno a chi è malato. La persona malata ha bisogno di essere aiutata nel quotidiano, di non essere discriminata, di non essere lasciata sola, di sostegno economico e di tutto quanto può dare un senso alla vita, e anche alla sofferenza. Se potessi scegliere, preferirei con tutte le mie forze sapere che la società fa di tutto per sostenermi nelle mie difficoltà quotidiane e non mi discrimina nella mia malattia, piuttosto che sapere che quelle preziose risorse saranno utilizzate per torturare altri esseri viventi, esseri che come me aspirano a una vita libera e felice. Io non voglio che la speranza del mio benessere e della mia felicità siano motivo di tortura per altre vite, umane o animali che siano.
Mi addolora che degli studenti universitari, persone giovani e nel pieno della vita, abbiano già introiettato così tanto in sé stess* le dinamiche di potere, di dominio e lo specismo da essere ciechi alla realtà e alla complessità della vita umana, e in particolare della vita delle persone malate. Su di una cosa non mi sento di darvi torto: la vivisezione (le parole sono importanti, è vero, e io uso questa parola coscientemente, politicamente, così come utilizzo la parola lager al posto di CIE) è la punta dell’iceberg del dominio specista: quel dominio che rende lecito disporre dei corpi animali in qualunque modo ci garbi, per divertimento, cibo, abbigliamento, sperimentazione, e chi più ne ha più ne metta. Ed è contro questa forma mentis, contro questa narrazione che mi scaglio con tutta me stessa, con la mia vita e sulla mia pelle. Vi chiedo di non parlare per me, di non dire che “i malati lo chiedono”, io sono malata e non solo non ve lo sto chiedendo, ma anzi mi batto con tutta me stessa, da una vita, per evitarlo!
Il vostro ragionamento è così influenzato dal pregiudizio di specie che non riconoscete la violenza che usate sui corpi di questi animali, eppure parlate di violenza quando si manifesta il dissenso! Sappiate che chiunque sia oppresso non ha mai ottenuto nulla “chiedendo gentilmente”. La rabbia, il dolore e l’ingiustizia si combattono anche con la forza, con la determinazione. Non confondete forza e violenza, non sono la stessa cosa. Tutti i movimenti di giustizia sociale hanno dovuto lottare con i propri corpi e le proprie vite in prima linea per difendere ciò che è giusto, altrimenti chi mai avrebbe ascoltato la voce del più debole? Se una parola gridata, persino un insulto, è violento, cos’è un bisturi che lacera la carne?
Prendere un essere vivente capace di emozioni, sentimenti, pensiero, di provare gioia, angoscia e dolore; privarlo della libertà, degli affetti, sottoporlo a torture e dolore fisico ed angoscia psicologica per poi eliminarlo alla fine dell’esperimento è tortura, che l’essere vivente in questione sia umano o animale. E la “tortura etica” è un ossimoro. Non riconoscere il limite del nostro dominio sugli altri esseri viventi ci ha portato alle peggiori atrocità commesse dall’umanità, anche sull’umanità stessa. Ci ha portato allo sfruttamento, allo schiavismo, allo stupro, a tutto quanto di orrendo al mondo esiste. Non possiamo decidere a chi spetta una buona vita, perché in tal modo sarà sempre il più forte a decidere il destino del più debole, e queste tragedie non avranno mai fine, come dimostra l’indifferenza che mostriamo, noi europei colti e “civilizzati”, nei confronti delle popolazioni povere e oppresse, che guardiamo con indifferenza scivolare nel mare profondo mentre facciamo aquagym sulle spiagge.
Per uscire dal paradigma del dominio bisogna avere coraggio, essere disposti a non accettare ogni cosa in nome del nostro egoismo, del nostro interesse particolare; concepire l’esistente in maniera diametralmente differente, dare più che aspettarsi di ricevere, e accettare la finitezza della nostra vita. Vivere una vita etica e sviluppare la compassione significa capire che mai esisterà un bene assoluto se deriva da un male assoluto. Nessuno è perfetto e nessuno può vivere una vita completamente priva di ingiustizia, ma se tendiamo alla massima giustizia sicuramente potremo cambiare questo mondo cosi ingiusto, un mondo che oggi si basa sul dominio del più forte sul più debole, dell’oppressore sull’oppresso; non c’è nessuna causa che possa dirsi virtuosa se si basa sull’oppressione.
A volte significa fare delle scelte difficili, ma la nostra forza morale non sta nel cercare solo quanto ci conviene, ma anche quanto sappiamo essere giusto benché scomodo, in onore anche delle tante persone che, nel corso della storia, hanno scelto la via più tortuosa, rinunciando persino alla vita, per percorrere quella strada di giustizia.
Come persona che, da quando era molto giovane, vive la difficoltà di una vita “imperfetta” esigo che non vi facciate scudo della mia sofferenza come giustificazione delle vostre azioni, perché questo sarebbe un ulteriore torto a quelli che già vivo sulla mia pelle e che non ho potuto scegliere. Io desidero una scienza giusta, una scienza etica che non infligga dolore e sofferenze ad alcuno, a maggior ragione a chi è più debole, perché io so cosa significa essere debole, so cosa significa soffrire, e mai, per tutto l’oro del mondo, vorrei che altri provassero quello che provo io!
Le mie difficoltà quotidiane e la mia salute precaria non saranno mai l’alibi delle vostre scelte.