Tripolitania e Cirenaica
Libia, un paese dilaniato e distrutto. La Cirenaica sotto il controllo del generale Haftar, appoggiato dagli Emirati Arabi e quindi dagli Usa, anche se fanno i pesci in barile, Al Sarraj, presidente del Consiglio presidenziale della Libia, sostenuto da Turchia, Russia e parte dell’Unione Europea. Sì, parte, perché la Francia non è in sintonia con le scelte della UE, ha velleità coloniali mal riposte dato che non può permettersi di incontrare, neanche per sbaglio, l’esercito turco. L’Italia, al di là delle parole belle e inutili, invoca l’intervento della NATO, quindi degli Usa, alla cui politica è sempre prona, dimostrando sempre, se ce ne fosse bisogno, il suo ruolo di colonia americana. Si profila la divisione del territorio in due parti governate distintamente, la Cirenaica e la Tripolitania e, quindi la spartizione delle spoglie di un paese scientemente fatto a brandelli. Il testo a seguire è stato scritto nove anni fa:
<Cento anni fa l’Italia, presidente del consiglio Giovanni Giolitti, nell’ambito di accordi internazionali, ebbe mano libera dalle altre potenze imperialiste, Inghilterra, Francia,Stati Uniti e Germania, e invase la Tripolitania e la Cirenaica che , allora, facevano parte dell’impero turco.
L’impresa fu sostenuta dai media di allora, in testa il Corriere della Sera, dai grandi gruppi finanziari, capofila la cattolica Banca di Roma, che magnificavano le ricchezze del paese da poter sfruttare e la penetrazione economica che si prospettava.
I banchieri erano prosaici.
Ma ci pensarono i poeti e i politici a raccontare perché l’impresa era doverosa: per sottrarre la popolazione locale alla feroce oppressione ottomana, per portare la civiltà agli indigeni sottosviluppati e, ci stava sempre bene, per dare uno sbocco lavorativo alle popolazioni del sud d’Italia.
Nacque, così, il mito dell’ “Italia proletaria “, cantata da Giovanni Pascoli, anche lui “arruolatosi” nelle file colonialiste, e della “terza sponda”.
Il re d’Italia fu proclamato anche re della Libia, così furono chiamate quelle due regioni in ricordo del nome che aveva dato loro Diocleziano. Poi, si fece proclamare re d’Albania e, in un delirio di onnipotenza, imperatore d’Etiopia. Cosa è cambiato da allora?
Un tempo, le truppe coloniali occupavano i territori da sottomettere e gli
stati occupanti mandavano a governarli propri funzionari: governatori, viceré e
via dicendo.
Oggi, le ex colonie, a seguito di continui colpi di stato, sono governate da corrotte borghesie locali, a capo delle quali, di solito, ci sono ex militari.
Chi permette il saccheggio delle risorse del proprio paese e si allinea politicamente con gli Stati Uniti e l’Inghilterra, è al riparo da ogni preoccupazione.
Chi si sottrae a questo, indipendentemente dalla natura del governo, viene rovesciato con colpi di stato o invasioni: moderati come Bosch a Santo Domingo e Aristide ad Haiti, liberali come Mossadeq in Iran, progressisti come Sukarno in Indonesia, Sankara in Burkina Faso e Allende in Cile, nazionalisti- militaristi come Saddam Hussein in Iraq, nazional-populisti o democratico progressisti come Goulart in Brasile, Frondizi , Illia e Peron in Argentina.
L’altro cambiamento è che l’imperialismo, nella sua fase cannibalesca neoliberista, sta estromettendo le potenze regionali, in questo caso l’Italia, che ha sempre avuto un canale privilegiato nei confronti delle sue ex colonie e perciò anche con la Libia.
E’ chiaro,pertanto, che l’obiettivo è di dividere la Libia in due staterelli,
la Tripolitania e la Cirenaica, e gli Stati Uniti e l’Inghilterra si riservano
di controllare la Cirenaica che è quella appetita perchè ha riserve petrolifere
per i prossimi cent’anni (che disgrazia è il petrolio per i popoli che hanno la
“fortuna” di averlo!)
Questo è il vero obiettivo di questa ennesima “guerra umanitaria”, sulla scia di quella che è diventata una scelta strategica degli Stati Uniti, cioè di distruggere l’unità degli stati per creare degli staterelli da trasformare in basi militari e da dare in gestione a gruppi militari mafiosi.
Questo è il senso dello smembramento della Jugoslavia, a cui partecipò il primo governo D’Alema. Aggressione perpetrata senza l’ombrello- alibi dell’ONU.
La più grave violazione della costituzione,che pure di oltraggi ne ha avuti tanti, mai fatta. Ma, l’aspetto più grave, per l’Italia, se vogliamo accettare come tanti fanno questa categoria, è che,per la prima volta in questi famosi centocinquant’anni di unità, una forza politica nazionale, il PD e alleati nella fattispecie, non ne difende gli interessi, ma lavora per le multinazionali anglo-americane.
E’ in questo quadro che si capisce perché, pur essendoci i numeri,venuto meno l’appoggio della Lega in parlamento,il PD abbia salvato il governo Berlusconi e abbia votato l’aggressione militare alla Libia, sancendo l’uscita di questa dalla sfera d’influenza italiana e la perdita dei rapporti privilegiati in campo economico e finanziario da parte dell’Italia.
Allora, si vede bene l’inconsistenza e l’ipocrisia delle parole che il Partito
democratico lancia a difesa della costituzione.
E’, altresì, evidente che le spese per le missioni militari all’estero sono risorse
tolte allo stato sociale, alla sanità, alla cultura….
Chi non fa neppure gli interessi economico-politici del proprio paese e vuole
trasformare l’Italia da paese a sovranità limitata a colonia, può mai fare gli
interessi dei cittadini/e e degli oppressi/e?
Lo schieramento capitanato dal Pd è contro gli interessi dell’Italia e degli
italiani, se vogliamo prendere per buone queste categorie, a conferma che non
si possono servire due padroni. A cosa serve a noi leggere questi avvenimenti?
Serve per non aderire e partecipare a iniziative strumentali promosse dal PD
e collaterali, con l’utilizzo di improbabili popoli di facebook, di associazioni-satellite che sono contro noi tutte /i.
Questi partiti e associazioni non sono nostri compagni di strada, non c’è niente da intersecare e da contaminare, non lo diciamo noi, ma l’hanno scelto loro, di essere nemici delle nostre lotte per una vita migliore in questo paese.
Chiarezza politica, onestà intellettuale, coraggio civile, autonomia,
autodeterminazione, autorganizzazione sono gli strumenti che dobbiamo usare per
proseguire il nostro percorso di liberazione.
(E.Teghil,Ora e Qui/Lettere di una femminista,Bordeaux 2011, p.225,228)