Il golpe in Bolivia e le patriarche
In Bolivia è stato messo in atto un colpo di Stato organizzato come al solito e per l’ennesima volta in America latina dalle oligarchie locali e dagli Stati Uniti che non intendono rinunciare a nessun titolo e in nessun caso alla predazione delle risorse del <cortile di casa>. Il tentativo di grande trasformazione cominciata a cavallo degli anni duemila in senso socialista di molti Stati del Sudamerica, in un contesto di povertà endemica e profonda e di colonizzazione atavica, aveva fatto sperare in una possibile autonomia dagli avvoltoi Usa e dalle multinazionali.
Ci vengono in mente diverse riflessioni, generali e nello specifico della nostra lotta di donne. La prima riguarda il fatto che il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni autoctone che è stato tentato e in parte attuato in Venezuela, in Bolivia, in Argentina, in Brasile…ha portato anche alla nascita di una piccola borghesia che si è sentita più vicina al grande capitale che al tentativo socialista che l’aveva creata. In questo senso va letto il linciaggio nel 2016 di un viceministro del governo Morales fatto da quelli che la stampa ha definito minatori ma che in effetti erano padroncini che volevano vantaggi e garanzie. Quando, come Coordinamenta, abbiamo studiato e parlato delle lotte del Black Panther Party negli Usa, negli anni ’60 e ’70, è stato evidente che uno dei meccanismi che hanno portato alla sconfitta di quell’esperienza di liberazione è stata, da parte del governo statunitense, la divisione di una classe in lotta che fino a quel momento era stata omogenea con la creazione di una piccola borghesia nera i cui interessi erano diventati in questo modo divergenti da quelli della popolazione nera in generale che era costituita tutta da poveri, accomunati da un isolamento rispetto a qualsiasi possibilità di partecipazione alla società dei bianchi. Obama viene da qui. Ne deriva quindi la necessità di porre molta attenzione, nel percorso di attuazione di riforme e tentativi di uscire dai diktat della società capitalista e neoliberista, a quelle che sono le modificazioni sociali messe in atto e studiare delle contromisure. Questo vale chiaramente anche per la lotta di liberazione di noi donne che sta seguendo un percorso simile. L’emancipazionismo è stato usato dal neoliberismo come arma per dividere l’insieme delle donne, tutte asservite dal patriarcato, inglobando nelle sue file quelle che noi abbiamo definito patriarche, interessate, coinvolte e partecipi dei progetti del grande capitale. Non è un caso infatti che la presidente ad interim nominata dai golpisti in Bolivia, Jeanine Anez, sia una donna.
Ne deriva un’altra considerazione. Quando, per una serie di circostanze favorevoli, che tra l’altro raramente si presentano attraverso quelle che vengono chiamate “democratiche elezioni”, riescono ad andare al governo partiti, esperienze di sinistra, chiaramente degne di questo nome, che intendono porsi il problema di modificare lo stato delle cose, allora si devono assumere la responsabilità di andare fino in fondo, vale a dire di sostituire, cambiare radicalmente gli apparati che fino a quel momento hanno costituito l’ossatura del potere, dai vertici militari alla magistratura , agli apparati burocratici…pena il fallimento di ogni tentativo di modifica anche in senso solamente socialista della società.
E questo vale anche per la nostra lotta di liberazione: denunciare senza sosta l’uso che viene fatto attualmente della nostra oppressione da parte del neoliberismo, non stancarsi mai di denunciare il ruolo delle patriarche, rifiutare qualsiasi tipo di compromesso con il potere, rifiutare nel movimento femminista tutte quelle i cui interessi sono quelli della classe dominante.