Contro l’imperialismo a casa nostra

CONTRO L’IMPERIALISMO A CASA NOSTRA
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 Sabato 20 gennaio h 13 concentramento in P.za Roma a Ghedi (Bs) e corteo alla RWM (azienda produttrice di bombe utilizzate anche dall’Arabia Saudita contro i civili in Yemen). H 15.00 Manifestazione alla aerobase di Ghedi. Questa base militare è stata attiva in tutte le missioni di guerra a cui l’Italia ha preso partenegli ultimi anni (dal Kuwait alla Jugoslavia, dall’Afghanistan fino alla guerra alla Libia), all’interno della base sono presenti testate nucleari in dotazione all’esercito USA. Attualmente si sta provvedendo ad un ampliamento della base ed al cambio degli aerei(dai Tornado ai nuovi F35) compatibili al trasporto delle nuove bombe nucleari B61-12.

“Nelle metropoli europee si sta formando un proletariato internazionale composto da immigrati che vivono le stesse condizioni di sfruttamento di vita e di lavoro del proletariato europeo.
Spesso gli immigrati sono considerati come capri espiatori, come coloro che creano disoccupazione, criminalità e ricevono aiuti dallo stato. Non viene detto invece che una parte consistente dei contributi pensionistici provengono proprio dal loro lavoro, che difficilmente ne usufruiranno perché per loro è sufficiente perdere il posto di lavoro per diventare clandestini ed è proprio questo meccanismo che garantisce alle imprese lavoratori ricattabili e a basso costo. Questi lavoratori sono al nostro pari sfruttati, proletari che vivono le nostre stesse contraddizioni e condizioni sociali, quindi nostri potenziali alleati con cui trovare percorsi comuni di lotta ed accrescere la nostra forza, così come ha dimostrato e ci insegna l’esperienza dei lavoratori della logistica.
Qualunque sia la sua origine, la lingua, il colore della pelle, il proletariato non potrà difendere i suoi interessi se non sviluppando la solidarietà di classe internazionale, rifiutando la divisione tra lavoratori immigrati e autoctoni, tra legali ed illegali.
Non viene detto che gli immigrati giungono in occidente per scappare dalla miseria prodotta dai grandi monopoli oltre che per cercare di sfuggire alle guerre imperialiste. Provengono da diversi paesi anche da quelli più “insospettabili”, che godono di credibilità internazionale e con i quali si intrattengono sostanziose relazioni economiche, dove, però, le proteste per ottenere migliori condizioni sui posti di lavoro vengono pagate con la tortura e la morte, come in Egitto, o dove protestare contro una riforma pensionistica scatena una brutale repressione poliziesca, come in Argentina.
 
L’Italia è in prima fila nelle guerre imperialiste, come parte integrante sia dell’Unione Europea che della Nato, partecipando a ben 29 missioni in 20 paesi, con una spesa militare complessiva stanziata per il 2017 di oltre 23 miliardi di Euro. Spesa militare che, ricordiamo, passa sempre più a colpi di decreto piuttosto che tramite dibattito parlamentare che renderebbe quantomeno palesi le posizioni dei partiti sulla guerra e le mistificazioni che la coprono.
Il paragone con i finanziamenti a sanità e istruzione rendono manifeste le conseguenze negative che la guerra impone sul piano sociale ed economico nel nostro paese. Ormai da diversi anni, infatti, tre quarti dei fondi pubblici destinati al rilancio economico del paese sono spesi per costruire carri armati, aerei e navi da guerra e per i prossimi anni sono stati decisi rifinanziamenti per 3,2 miliardi di euro, a fronte di meno di 2 miliardi destinati al dissesto idrogeologico e 1,7 miliardi per l’edilizia sanitaria.
Il budget del Ministero per lo Sviluppo Economico (MISE) per il 2016 aveva un totale di 4,3 miliardi di euro, dei quali 3,76 miliardi destinati alla competitività ed allo sviluppo delle imprese. Ma a quali imprese? 2,75 miliardi vanno a Finmeccanica, Fincantieri, Iveco-Oto Melara ed alle altre aziende dell’industria bellica, un comparto di 112 società, con 50 mila occupati, mentre solo 1,1 miliardi vanno al comparto delle Piccole Medie Imprese che comprende 134 mila ditte, con 3 milioni e 900 mila occupati.
L’attuale situazione di guerra permanente creaenormi profitti per l’industria bellica, generalizzando condizioni lavorative quasi da schiavi.
A ciò si aggiunga il fatto che la politica estera italiana è sempre più schierata o accodata a quella del grande capitale, con la speranza di potersi accaparrare una parte del bottino dei paesi messi a ferro e fuoco. Basti citare, a titolo esemplificativo, l’appoggio ai bombardamenti in Libia del 2011, la presenza in Iraq e l’appoggio incondizionato ai sionisti israeliani, testimoniato dalla decisione di far partire il Giro d’Italia da Israele.
 
Per comprendere e affrontare la natura dei flussi migratori, le situazioni di crisi e di instabilità che ne sono all’origine e le difficoltà che il proletariato vive anche nei paesi imperialisti, non si può prescindere dal mobilitarsi per l’uscita dell’Italia da ogni attività militare e per la cessazione, da parte delle imprese italiane, di ogni sfruttamento delle risorse di altri paesi, cosa che ne impedisce lo sviluppo e contribuisce a perpetrare condizioni di povertà.
Invece, proprio in questi giorni l’ENI, colosso energetico italiano, esulta trionfante per l’apertura in tempi record del maxi-giacimento di Zohr, al largo della costa egiziana, con un potenziale stimato in 30 miliardi di metri cubi annui di gas. A ciò si aggiungono tre giacimenti di petrolio e due di gas in Libia, più la gestione di numerose altre concessioni nel territorio africano. E’ notizia di questi giorni il versamento di tangenti per un miliardo e 92 milioni di dollari da parte di ENI al governo nigeriano nel 2011 con l’obiettivo di ottenere concessioni  per esplorazioni petrolifere. Sempre in questi giorni il governo Gentiloni ha deciso l’invio in Niger di oltre 400 militari.
Ecco spiegata la politica estera italiana e i suoi contingenti militari all’estero, l’interessamento alle vicende in Libia e in generale in Africa e Medio Oriente, in una parola l’imperialismo italiano.
Il prezzo che bisogna pagare per garantire l’approvvigionamento energetico e industriale dei paesi occidentali, Italia compresa, è fare accordi con le milizie libiche, fino a ieri considerate famigerati “scafisti”, o con la Turchia di Erdogan, di fatto alleata di Daesh con cui intrattiene affari in modo continuativo, o con l’Egitto di Al Sisi, presidente golpista che regolarmente tortura e massacra lavoratori che osano criticare il regime o chiedere condizioni di vita e di lavoro più dignitose.
Allo stesso tempo sul fronte interno si moltiplicano le misure repressive e giudiziarie nei confronti di chi si oppone all’interventismo, come ad esempio i no Muos che si battono contro le antenne assassine a Niscemi e gli antimilitaristi sardi che lottano contro poligoni e le esercitazioni.Nellestrade delle nostre città si assiste ad un aumento del controllo militare e della repressione delle insorgenze sociali e anche qui c’è chi si oppone alla militarizzazione delle periferie, ai rastrellamenti, alle deportazioni e alla non casuale proliferazione delle aggressioni e delle sedi fasciste.
 
Sabato 20 gennaio h 13 concentramento in P.za Roma a Ghedi (Bs) e corteo alla RWM (azienda produttrice di bombe utilizzate anche dall’Arabia Saudita contro i civili in Yemen). H 15.00 Manifestazione alla aerobase di Ghedi. Questa base militare è stata attiva in tutte le missioni di guerra a cui l’Italia ha preso partenegli ultimi anni (dal Kuwait alla Jugoslavia, dall’Afghanistan fino alla guerra alla Libia), all’interno della base sono presenti testate nucleari in dotazione all’esercito USA. Attualmente si sta provvedendo ad un ampliamento della base ed al cambio degli aerei(dai Tornado ai nuovi F35) compatibili al trasporto delle nuove bombe nucleari B61-12.”

APPOGGIAMO, SOLIDARIZZIAMO E RILANCIAMO LE LOTTE E LE INIZIATIVE DI OPPOSIZIONE E RESISTENZA ALLA GUERRA E ALLE POLITICHE MILITARI SIA FUORI CHE DENTRO L’ITALIA
 
Milano, gennaio 2018                                   

Panetteria occupata – rossoconte@hotmail.com

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