8 settembre 1974/8 settembre 2017
“…..Parlare di memoria è anche parlare di eredità e non è mai facile. E’ un lavoro che non ha fine o meglio che, forse, dovremmo essere in grado di accettare e assumere come interminabile, almeno dal punto di vista di una tensione ideale. Non ci sono modi per pensare un patrimonio che ci viene lasciato come altro rispetto a noi. Volgere lo sguardo al passato e ascoltare è pratica nient’affatto banale, e molte volte dolorosa, perché comporta una sorta di rinuncia: smettere di pensare idealmente la propria individualità, e aprire invece la possibilità di pensarsi storicamente, la qual cosa comporta un confronto con il mondo e con l’altro. Io come giovane donna come figlia come erede non esisto in e per me stessa, come individuo isolato, determinato da un carattere e da una personalità innate, ma esisto nella relazione con gli altri e nella misura in cui appartengo ad un società, ad una famiglia, ad una storia. Ciò che desideriamo per il futuro è inconsistente se non è letto alla luce dell’esperienza, di ciò che ci ha costituito e formato per come siamo ora, qui, a parlare. Non si comprende la natura e la forma delle propri ambizioni senza confrontarsi con il passato, con la cultura da cui si proviene, consapevoli dell’interiorizzazione che si è fatta dei valori con i quali si è cresciute. La storia cioè, sia quella con la lettera maiuscola, sia quella di ognuna di noi, non può essere ascoltata e compresa se non mettendosi in gioco come parte attiva, come soggetto, singolare e plurale, nella sua storicità e attualità: io sono parte del sistema che osservo e lo modifico anche solo per esserne l’osservatrice. La memoria, dunque, quando riesce ad essere vissuta come costruzione di sé, e non esercitata come attività neutra, si fa strumento di presenza a noi stesse e quindi alle altre e agli altri…….” (ATTI dell’Incontro Nazionale Separato “Memoria collettiva, Memoria femminista” 2012-Margherita Croce, pag.35)