La legge che non c’è… tanto per dire che c’è una legge. O meglio, la legge contro la tortura ora c’è, ma è una vergogna.
Dopo tantissimi anni di mobilitazioni e fuori tempo massimo è stata varata una legge sulla tortura che dire vergognosa è dire poco: …la pluralità delle condotte… la prescrivibilità… la verificabilità del trauma psichico… il reato generico invece di un reato specifico addebitabile ai pubblici ufficiali…ma è inutile addentrarsi nei singoli punti, bensì è il concetto informatore di base che è importante svelare e cioè che il potere non ha nessuna intenzione di codificare una chiara condanna della tortura e di chi la mette in atto perché la tortura è una modalità che si riserverà sempre di usare quando riterrà più opportuno, perché la tortura è una pratica politica.
Riportiamo alcuni stralci della premessa di Maria Rita Prette al suo libro “Tortura, una pratica indicibile” pubblicato questo marzo da Sensibili alle Foglie.
“Parlare di tortura significa parlare del processo di de-umanizzazione messo in atto per renderla possibile, Affinché una persona possa praticare sul corpo di un’altra una sequenza di azioni violente volte a procurargli il massimo del dolore possibile senza provocarne la morte ( e spesso anche senza lasciare su quel corpo delle tracce visibili) è necessario che la persona venga addestrata a guardare a chi subisce la sua violenza come a un oggetto, come se non appartenesse alla specie umana.
Il processo di de-umanizzazione ha radici storiche nella relazione con gli schiavi, e qualcosa dell’idea di schiavitù ricorre ancora oggi nelle parole minacciose e nei gesti violenti e umilianti che i torturatori sono autorizzati a rivolgere ai torturati […]
Essa […] si addentra negli interstizi silenziosi dello Stato, nelle zone opache, abitate da esseri umani che possiamo classificare come “soggetti torturabili”: gli esclusi, i nemici, gli indesiderabili, vale a dire tutte quelle persone che possono essere de-umanizzate senza suscitare scandalo o indignazione nei cittadini.
Poiché è una pratica indicibile, la tortura viene negata dagli Stati, ma è praticata nei luoghi nei quali essi non devono darne conto, dove la sofferenza che infliggono resterà confinata nel corpo delle persone torturate, e resterà perciò “indicibile”.
Le caserme, le questure, le carceri con regimi di sorveglianza particolari, le camere di sicurezza e le prigioni fantasma nelle zone di guerra saranno luoghi privilegiati, ma poiché i torturatori dispongono a tutti gli effetti dei corpi dei torturati questi ultimi potranno essere spostati (preferibilmente bendati, dentro al cofano di un’auto) in qualsiasi luogo fisico sia ritenuto idoneo a garantire la necessaria invisibilità: la tortura non si improvvisa, richiede tempo e competenze.[…]
Parliamo di tortura come di un’istituzione totale, poiché il dominio del torturatore sulla completa impotenza del torturato è assoluto e perché l’esercizio del potere, attraverso la sofferenza inflitta al corpo del torturato, è totale.
Due sono i concetti che servono a questa istituzione: l’attribuzione del carattere di eccezione o di emergenza agli eventi all’interno dei quali la si pratica come tecnica e l’attribuzione del carattere di pericolosità sociale alle persone sui corpi delle quali è praticata.
L’eccezione può essere intesa come l’affrontamento di una emergenza sociale, di una minaccia all’ordine costituito, di un problema di ordine pubblico, in una parola può configurare una situazione di guerra-interna allo Stato, contro quelle che il sistema istituzionale individuerà come “minacce”, o esterna ad esso: nelle terre di nessuno devastate dalle aggressioni belliche moderne, fatte dagli Stati più forti contro le popolazioni di quelli più deboli.
Per pericolosità sociale mi riferisco qui non soltanto alla fattispecie soggettiva prevista dal Codice Penale, ma a quella percezione indotta, nella sensibilità sociale, di “minaccia latente” che informa la costruzione dell’opinione pubblica negli Stati securitari. Una minaccia sempre meno definita, non necessariamente supportata da fatti comprovati, che quindi può essere attribuita a chiunque, ma che avrà sempre presente la difesa della proprietà privata, quella che talvolta viene eufemisticamente definita “il nostro stile di vita”, la “libertà” del nostro mondo perfetto. Sono perciò pericolose socialmente molte figure: i poveri anzitutto, quelli ai quali le organizzazioni illegali offrono pezzi di pane o dosi di eroina, i senza casa, i senza terra, i nomadi, i migranti, quelli che, nel grande azzardo del presente, hanno “perso tutto”, a cominciare dalle più elementari tutele.”