Che cos’è la memoria?
“…Le singolarità e i corpi non ubbidiscono a giudizi di valore a prescindere, possono rendersi complici della missione di sottomettere con ogni mezzo le molteplici culture, diversità e inclinazioni o rifiutarsi di piegarsi al pensiero unico e dominante senza neanche essere, a loro volta, un contropensiero unico, inventando il proprio gioco, le proprie regole del gioco, conservando un’irriducibile alterità e, in questo, realizzandosi…”
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“…riappropriazione di una cultura conflittuale, di cui sono portatori i movimenti femministi e antagonisti in genere, che viene sempre più marginalizzata e criminalizzata. Riappropriazione che passa per la lotta contro i deliri securitari e il controllo sociale, contro la devastazione dei territori, la medicalizzazione, la gerarchia, l’espropriazione costante di tempi e modi di vita, contro lo sfruttamento e, in generale, contro l’oppressione e la violenza di razza, genere e classe; riappropriazione che deve anche confrontarsi con l’enorme patrimonio che abbiamo ricevuto in eredità dal pensiero e dall’azione femminista. Vorremo trovare insieme forme di autodifesa e autorganizzazione che rifiutino la logica della vittimizzazione e della delega, mettere a valore l’esperienza accumulata in anni di lotte e farci noi stesse luogo di trasmissione di tale sapere. Riscoprire ciò che fu il movimento femminista rivoluzionario e saper rideclinare i suoi principi sulle nuove forme che il potere ha assunto all’interno della società pacificata e neoliberista, che procede frammentando il processo di soggettivazione per rendere sempre più problematico il riconoscimento di classe e di genere ed erodere spazi di autonomia e alterità. La trasmissione del sapere tra generazioni e all’interno della stessa è una grande forza, l’unica forse in grado di confrontare esperienze di lotta in ottica sincronica e diacronica, in modo da poter estrapolare elementi di continuità e invece di discontinuità tra ciò che combattevano le nostre madri e ciò che dobbiamo difendere e combattere oggi…”
“…L’esperienza passata condiziona quella futura, per questo è necessario conquistare una memoria autonoma e collettiva del movimento femminista. La memoria è l’occasione per produrre nuove possibilità e dare un senso agli eventi presenti e futuri. Il femminismo è nato dalla prassi consapevole di soggetti che intendevano liberarsi e la liberazione di noi tutte è il programma del passato, del presente e del futuro.[…] Il femminismo, oggi, viene percepito nel comune sentire come qualcosa di opportunistico, con connotazioni negative e corporative, con lo stesso meccanismo con cui la sinistra socialdemocratica ha consegnato i giovani della periferia al fascismo.
La grande vittoria del patriarcato è di aver stravolto il carattere originario e originale del femminismo e lo ha fatto attraverso la componente socialdemocratica.
E la vittoria della componente socialdemocratica è passata attraverso l’area della comunicazione sociale, attraverso la produzione di falsificazioni, la manipolazione e l’intossicazione della memoria femminista con il controllo preventivo e la condanna dei comportamenti potenzialmente antagonistici.
Il femminismo è scardinamento dei ruoli e, proprio perché il personale è politico, è scardinamento dell’organizzazione sessuata della società.
Ma, dato che nessun ambito sociale vive di sé e per sé, è scardinamento e rifiuto dei ruoli organizzativi della società tutta.
La socialdemocrazia è impostata per conservare, mentre il femminismo è un programma che fa della memoria uno strumento di consapevolezza e di forza per uscire da questa società.
Il nostro impegno è piccolo e grande allo stesso tempo e non è merce di contrattazione.
L’obiettivo è la nostra liberazione.
L’inganno parte dall’idea, volutamente falsificata, che questa società abbia nel DNA la possibilità di potersi rinnovare e che il patriarcato sia qualcosa di altro rispetto all’involucro capitalista in cui in questa stagione si perpetua.
Ma può esistere il patriarcato senza capitalismo, ma non può esistere il capitalismo senza patriarcato.
La messa in discussione dell’organizzazione sessuata, mette necessariamente in discussione l’organizzazione gerarchica, autoritaria, verticistica, da cui, il patriarcato per un verso ed il capitale per un altro, non possono prescindere.
Da qui la bugia, che la memoria manipolata ci trasmette, che i così detti “miglioramenti” che le donne hanno ottenuto in questi anni, siano stati ottenuti nella contrattazione con le Istituzioni, mentre, un esempio per tutti, le conquiste degli anni ’70 non hanno niente a che fare con il rapporto con le Istituzioni, bensì sono la risposta delle Istituzioni per inglobare ed anestetizzare le lotte del movimento femminista e ridurle in un ambito normato.
Negli anni ’70, tutti i partiti, escluso il Partito Radicale, erano inizialmente contrari sia al divorzio che all’aborto e il parlamento, nella sua quasi totalità, era contrario all’uno e all’altro.
A conferma di quanto ricorda Christine Delphy “ Ottenere nuove leggi non era la preoccupazione principale del Mfl. Il suo scopo era più ambizioso, più utopico. Le leggi sono state il positivo sottoprodotto di un lavoro gratuito, privo di finalità concrete immediate, come la ricerca di base. E se un sottoprodotto è nato, è anche perché non era lo scopo ultimo, o piuttosto perché si mirava più in alto. Questa ambizione “irrealistica”- che si permetteva di mettere tra parentesi la realizzazione immediata- ha prodotto un tale slancio, che alcune cose sono state poi ottenute in concreto.”
Non è trasfigurando le istituzioni che migliora la nostra condizione di genere oppresso, ma attraverso la capacità di abbattere le costruite differenze tra il maschile e il femminile, smascherando la pretesa di trasformare la storia in natura e l’arbitrio culturale e politico in naturale.
L’approccio socialdemocratico ha sostituito il concetto stesso di lotta politica con quello di delega, ha lavorato in modo che il patriarcato e le strutture patriarcali fossero percepite come qualcosa di esterno, di altro, di sovrapposto rispetto a questa società e si è risolto nella promozione individuale di alcune a scapito della stragrande maggioranza delle donne tutte, trasformando il femminismo in un arcipelago di associazioni di categoria abilitate dalla controparte a parlare a nome delle donne, nella misura in cui le stesse si sono appiattite e hanno aderito ai valori e agli interessi patriarcali.
E’ lo stesso approccio con cui le Ong e le Onlus affrontano il dramma del terzo mondo, dove non denunciano le guerre neocoloniali, non mettono in discussione la depredazione delle ricchezze di quei popoli, ma portano aiuti umanitari.
Ma quelli che fanno le guerre neocoloniali e a vario titolo partecipano, compresi gli stuoli di Ong e Onlus, forma attuale dei missionari di vecchia memoria, sono, al di là delle belle parole, contro i popoli del terzo mondo, così come le socialdemocratiche e riformiste sono, al di là delle belle parole, contro le donne ed il femminismo.
Da qui, l’oblio e la “damnatio” di tutti quei collettivi e gruppi femministi che hanno fatto scelte di azione “violenta”, per usare un termine semplicistico e corrente, e armata nei confronti del patriarcato.
La teoria della non-violenza è una modalità del marketing, un vero e proprio strumento di controllo sociale e come il marketing non ha la funzione di liberare il tempo individuale, ma, al contrario, di controllarlo per massificarlo al massimo, così la non-violenza è lo strumento di una nuova servitù volontaria.
E, infatti, i termini rivoluzione e ribellione, sono diventati per le componenti femminili socialdemocratiche alla stregua di un marchio commerciale con cui fare marketing e pubblicità. Questa epidemia di ribellione non impressiona né il capitale né le sue articolazioni repressive.
Non contente, tutte queste ribelli, si autorappresentano come “scomode” per questa società. E, buon ultimo, si definiscono “disubbidienti”. E usano il meccanismo del capitalismo mediatico.
Tutto si risolve nell’ “épater les bourgeois”.
Dobbiamo avere chiavi di lettura per distinguere tutte costoro dalle vere ribelli, disubbidienti e scomode?
Non ce n’è bisogno ,questo già lo fa per noi il patriarcato.
Quelle di cui abbiamo parlato, hanno i riflettori puntati su di loro, se ne parla, vengono intervistate, vengono ospitate di qua e di là.
Le altre ,quelle che lo sono veramente, sono avvolte dal silenzio e dall’oblio e, quando “esagerano”, vengono stigmatizzate, demonizzate, represse..
Contemporaneamente, il tabù del sesso viene largamente sfruttato da quando si è scoperta la correlazione e il legame tra desiderio sessuale e pratiche sessuali non usuali e malinteso concetto di rivoluzione e liberazione.
Allo stesso tempo, resta fermo lo stereotipo della donna che è oggetto di piacere o soggetto domestico che, anche quando è emancipata e lavora fuori casa, è lei stessa che sorveglia la sua abbronzatura, l’odore delle sue ascelle, i riflessi dei suoi capelli, la linea del suo reggiseno o il colore delle sue calze.
Vestire casual, comprare nei negozi equo-solidali, fare sesso fuori dal coro e dichiarare la “rivoluzione necessaria”, non assolve nessuna.
Facciamo pure quello che ci pare, perché quello che ci piace , proprio perché ci piace, è buono, ma lo è, naturalmente, per noi che lo facciamo e ci piace, ma non parliamo, per favore, di libertà, di rivoluzione, di cambiamento della società.
Questa configurazione sociale si caratterizza nella preminenza progressiva della merce su ogni altro elemento e nella mercificazione di tutti i rapporti, compresi quelli sociali e affettivi, nella cultura che viene ridotta a mode che si susseguono, con l’apparire esibizionistico che prende il posto dell’autonomia individuale, nell’appiattimento della storia stessa sull’evento immediato e l’informazione istantanea, nella fuga dal conflitto sociale e nella disaffezione dalla politica, nella strumentalizzazione delle lotte di liberazione e delle diversità.
Allora diventa urgente smascherare e denunciare il ruolo di missionarie del verbo patriarcale che le socialdemocratiche/riformiste assolvono, per recuperare lo spirito del femminismo che è antagonista e liberatorio, che vuole lo scardinamento dei ruoli e delle dinamiche di oppressione comprese quelle delle donne contro le donne.
Perché la visione, la lettura, la speranza di un cambiamento totale di questo mondo non è mai venuta meno.
L’ideologia neoliberista, forma compiuta ed attuale del divenire del capitale, non vuole la liberazione degli esseri umani, ma pretende, addirittura, la fine di ogni forma simbolica a vantaggio esclusivo del valore mercantile.
La violenza del neoliberismo si manifesta nella sua pretesa di vietare ogni forma di conflitto, di differenza e di declinare tutto nel suo interesse e di sacrificare tutto alla sua conservazione ed autoespansione.
Le singolarità e i corpi non ubbidiscono a giudizi di valore a prescindere, possono rendersi complici della missione di sottomettere con ogni mezzo le molteplici culture, diversità e inclinazioni o rifiutarsi di piegarsi al pensiero unico e dominante senza neanche essere, a loro volta, un contropensiero unico, inventando il proprio gioco, le proprie regole del gioco, conservando un’irriducibile alterità e, in questo, realizzandosi.
dagli Atti dell’Incontro Nazionale Separato “Memoria Collettiva Memoria Femminista”/Coordinamenta Femminista e lesbica /dicembre 2012