Il neoliberismo è un’ideologia
(articolo pubblicato l’11 ottobre 2011 su http://www.sinistrainrete.info/sinistra-radicale/1625-elisabetta-teghil-il-neoliberismo-e-unideologia.html e di cui riportiamo uno stralcio)
Elisabetta Teghil
Un tema che mi è molto caro è che il neoliberismo sta tentando di riportare questo paese agli anni ’50.
Non solo, ma la commistione con i partiti e partitini della così detta sinistra e associazioni satellitari fa sì che il neoliberismo sia capace di dettare anche l’agenda politica ed il linguaggio al movimento, almeno a quella parte che ci crede o fa finta di crederci.(…)
(…)Le banche sono uno strumento del sistema capitalista. Prendersela con il sistema bancario, accusandolo di un’economia distorta, è fare un favore a tutto il sistema. Le banche si devono nazionalizzare senza rimborso.
Fare appelli al presidente della repubblica, come garante della costituzione, è far passare il principio che vede nelle istituzioni qualche cosa di neutro e al di sopra delle parti. Siamo, addirittura, all’abc della politica.
Democrazia reale all’interno di questo sistema? Ma di che stiamo parlando?
Rivendicare il diritto alla maternità, perché, oggi, avere figli sarebbe diventato un lusso, è un ricacciare le donne in un arcaico che pensavamo sepolto. Il nostro problema è conciliare lavoro di cura e lavoro all’esterno? è la maternità? Non saranno, invece, i ruoli che questo sistema ripristina con forza in tutti i campi? E, per scardinare i ruoli, non sarebbe il caso di ricominciare dal rifiuto della meritocrazia, della gerarchia e dell’autorità?!?
E’ la vittoria, a tutto campo, dell’ideologia neoliberista, perché il neoliberismo è un’ideologia, prima ancora di una configurazione economica, che ha, usando una terminologia presa in prestito da Foucault, che va tanto di moda, reso tabù parlare di lotta di classe.
E’ quello che denuncia il movimento americano “Occupy Wall Street”, quando dice che non è in grado di rifarsi ad una teoria, perché questo sarebbe la scusa ed il pretesto per etichettarlo e confinarlo in un ghetto. E i primi a portare avanti questa demonizzazione sono i democratici e i liberal, le pseudo associazioni umanitarie e i sindacati, e di tutti costoro il movimento denuncia le connivenze, la complicità, la complementarietà al sistema.
Loro, almeno, dicono che questo non avere lotte e teorie a cui rifarsi è un grande limite e guardano con attenzione alle lotte di noi europee/i. E noi, in Italia, e, possibilmente, in Europa, vediamo di recuperare il bambino che abbiamo buttato con l’acqua sporca!
E’ dalla coscienza di classe e dal progetto di un’altra società che dobbiamo ripartire.
In politica non ci sono scorciatoie.
Dalla poesia, passiamo alla prosa. Tutto comincia dal constatare che ,il capitale, mentre è riuscito a farci rinunciare al principio dell’ideologia, gramscianamente intesa come” concezione del mondo”, e, con questa, alla costruzione teorica di un progetto alternativo a questa società, ha riservato a sé il monopolio dell’ideologia in questa stagione neoliberista e, sempre e solo a sé, ha riservato la lotta di classe , l’odio di classe e l’uso della violenza.
La distruzione dello stato sociale, lo smantellamento del sistema pensionistico, la disoccupazione e precarizzazione di massa e stabile, la riproposizione dei ruoli e delle gerarchie, l’annullamento delle economie marginali, la guerra ai poveri, il controllo sociale sono i tratti distintivi dell’ideologia neoliberista nel mondo occidentale.
Contemporaneamente, nei confronti dei paesi del terzo mondo, a partire da quelli africani, la stessa ideologia ha riaffermato il principio e la pratica della colonizzazione, il dominio imperiale del XIX secolo, accompagnato dalla distruzione delle economie di autosussistenza, della piccola proprietà contadina, e caratterizzato dall’emigrazione interna verso le grandi città ed esterna verso i paese occidentali.
Tutto ciò non è effetto collaterale sgradito e/o non previsto, ma è l’essenza stessa dell’ideologia neoliberista. Il neoliberismo non è la prova della crisi del capitalismo, ma è la forma compiuta del suo sviluppo.
Rispetto a questo scenario, nell’area di sinistra, troviamo due modi prevalenti di porsi.
Il primo appartiene a quelle/i che offrono soluzioni che non mettono in discussione il dominio del capitale, ma vogliono offrire indicazioni utili a correggere questo o quell’aspetto particolarmente odioso. E, in questo, si fanno notare coloro che riducono tutto ad una lettura tecnicistica del problema, dimenticando che l’economia non è altro che l’essenza della politica e non è neutrale.
Altre/i, eredi della tradizione del determinismo storico, si disinteressano a tutto, perché, tanto, la società comunista verrà come frutto maturo dello sviluppo della storia.
Noi, che vogliamo uscire da questa società, cominciamo col dire che il debito non si paga, che le banche e le assicurazioni si nazionalizzano senza rimborso.
Concordiamo con quelle/i che parlano di finanziarizzazione del sistema capitalistico e sottolineano questo aspetto che caratterizza l’attuale fase , ma la ricchezza viene sempre dall’estorsione del plusvalore e non cambia niente se questo avviene ai danni degli operai/e del terzo mondo, nuovi schiavi/e di questa società e di questa stagione.
E chiedere di non pagare il debito e di nazionalizzare ( una parola anche questa demonizzata!) banche e assicurazioni, significa aiutare concretamente le cittadine/i del paese dove questo avviene e, quando ci dicono che questa operazione ha ricadute negative sui cittadini/e di altri paesi, ci vengono in mente due cose: la prima, che abbiano il coraggio di dirlo alle cittadine/i greche/i! la seconda, che abbiamo sempre saputo che l’internazionalismo si pratica facendo le lotte, le conquiste e, magari, la rivoluzione nel proprio paese.
Ogni ideologia produce teoria e, quest’ultima, si traduce in linea politica.
E la linea politica del neoliberismo si traduce in un programma di distruzione delle strutture capaci di contrapporsi al primato del mercato. Il programma neoliberista trae alimento dalla forza politico-economica di coloro dei quali esprime gli interessi che, forti delle loro posizioni economiche e politiche, non rischiano di pagare le conseguenze delle loro scelte, ma, anzi, di trarne grandi vantaggi.
Nel mondo del lavoro questo significa il dominio della precarietà, con contratti a tempo determinato, assunzioni ad interim, individualizzazione del rapporto salariale, con la determinazione di obiettivi individuali, l’introduzione di colloqui di valutazione individuale, la valutazione permanente. Il tutto teso ad assicurare l’autosfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori.
Tutte tecniche di assoggettamento con le quali si impone, ai/alle dipendenti, un iper-investimento sul lavoro e, tutto ciò, contribuisce ad annullare i riferimenti e la solidarietà collettiva.
E’ la traduzione nel mondo del lavoro del darwinismo politico, mentre le imprese si riempiono la bocca di parole come lealtà, fiducia, cultura ed etica imprenditoriale.
Questa violenza strutturale determina un importante travaso di ricchezza dai cittadini ai potentati economici con la nascita di una iper- borghesia che andrà ad assumere i tratti dell’aristocrazia feudale.
I soggetti che, fino ad oggi, sono stati l’ossatura della borghesia, medici, avvocati, liberi professionisti in genere, notai, docenti……saranno ricondotti al ruolo di servizio che avevano ai tempi della nobiltà.
Questo si traduce in un aumento del divario fra i redditi, nella miseria di una parte sempre più grande della popolazione nelle società economicamente “più avanzate”, nella scomparsa progressiva degli universi autonomi di produzione culturale (cinema, editoria….)
Assistiamo, altresì, all’imposizione del darwinismo morale con il culto del vincitore, di colui/colei che ce la fa,scelta che instaura la lotta di tutti contro tutti ed il cinismo come norma di tutte le prassi.
L’attuazione del neoliberismo si è compiuta quasi impercettibilmente, come la deriva dei continenti, nascondendo alla vista i suoi effetti più temibili a lungo termine.
Da qui il senso della lotta contro i privilegi della casta, l’abolizione del proporzionale, i collegi uninominali, l’abolizione dell’immunità parlamentare, mentre il vero obiettivo era rompere l’autonomia della politica e, attraverso questo passaggio, spezzare tutte le strutture che potevano essere di intralcio al progetto neoliberista: collettivi, associazioni, sindacati, partiti….
L’ideologia neoliberista, falsificando le scritture storiche, si presenta come un credo, come la forma suprema della realizzazione umana.
Nella vita quotidiana, questo si trasforma nello sviluppo dell’individualismo, nella preminenza progressiva della merce su ogni altro elemento e nella mercificazione di tutti i rapporti, compresi quelli sociali ed affettivi, nel dominio del denaro, nella cultura che viene ridotta a mode che si susseguono con l’apparire esibizionistico che prende il posto dell’autonomia individuale, nel revisionismo storico accompagnato dall’appiattimento della storia stessa sull’evento immediato e l’informazione istantanea, nella strumentalizzazione delle lotte di liberazione e delle diversità e la cooptazione di elementi provenienti da etnie, ceti, culture oppresse che, in cambio della loro personale promozione sociale, partecipano attivamente all’oppressione degli ambienti da cui provengono. E, ancora fuga dal conflitto, disaffezione progressiva dalla politica, nobilitazione della violenza repressiva e delle guerre neocoloniali, con la moltiplicazione dei passaggi verso l’atto violento fatto dai cittadini/e verso chi è o viene percepito/a come diverso/a o più debole
Questa non è la migliore società possibile, è una società feudale e nazista.
Il dominio del capitale è verticale e, pertanto, le lotte corporative sono caduche e fuorvianti, la somma orizzontale delle lotte è inadeguata, queste vanno sempre ricondotte a sintesi.