Orgoglio di scimmia
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“Proferiamo le parole ‘pienamente umano’ con un palpito di reverenza. I nostri occhi si appannano di fronte alla nostra peculiare umanità e il nostro autocompiacimento impenna. In tali momenti, dimentichiamo che la gorillità è più pacifica, la gufità più acuta visivamente, e l’apità più ecologicamente benigna. Le altre specie hanno capacità e qualità che a noi mancano, per quanto possiamo analizzare e inventare.”
(Animal equality: language and liberation, Joan Dunayer)
No, mi spiace… non ci sto alla retorica del “siamo tutte persone” proferita dalla maggior parte de* opinionist* in seguito all’assassinio di Fermo. A chi lo immagina e fa finta di nulla, a chi non lo immagina e non sa immaginare che possa esistere un’altra risposta alla violenza insensata, alla morte procurata per odio e per ignoranza, dico chiaro e tondo, una volta ancora, che alzare l’asticella che legittima la violenza non sarà mai la soluzione.
Perché agli animali si può fare tutto, e gli animali sono meno di niente, ed è per questo che Emmanuel Chidi Namdi è morto. Perché essere paragonati agli animali, che trattiamo da cose e non da individui senzienti, era per lui un’offesa che trascendeva la lampante constatazione che sì, siamo animali, e sì, siamo scimmie (o i loro più vicini parenti) e che sì, una scimmia ma anche un topo, o uno scarafaggio o un bigattino goloso di carne in putrefazione vale più del fascista che lo ha ammazzato.
Invece “scimmia” era per lui il peggiore insulto, perché se c’è un linguaggio comune ad oppressori ed oppressi è quello che mette gli animali non umani sul più basso gradino dell’esistente.
Non è appellandosi all’umanità, rinforzando il confine che ci separa dal resto del vivente, eternamente sacrificabile e sacrificato con l’indifferenza che caratterizza l’inutile ed inconsistente, che cesseranno eventi come questi. Fino a quando alcune vite varranno più di altre in nome di criteri arbitrari di merito, di simpatia o di somiglianza, nessun* potrà vedersi garantita la propria “non sacrificabilità”.
E lo affermo con convinzione e con la tristezza di chi sa che proprio ora, mentre scrivo, camion carichi di animali non umani compiono il loro ultimo infernale viaggio verso il macello, altri vengono torturati e ammazzati in ogni modo in nome della “scienza” ma anche della “noia”, dello “sport”, del “divertimento”, e che allo stesso modo, barconi carichi di migranti disperati affondano nel mare dell’indifferenza generale.
Quello che ha ammazzato Emmanuel era un fascista, punto. E L’Italia è piena di fascisti, dichiarati o meno, è un paese razzista e ignorante in un mondo in decadenza che vede ciclicamente impennarsi la violenza contro i più deboli per difendere i privilegi di pochi. Del disagio sociale di questo assassino, reale o presunto, non mi importa. Quello che mi interessa invece, è che ciò che permette alla violenza di manifestarsi è la convinzione che essa non sia intollerabile tout court.
Quello che non si dice, quando si afferma che la panacea di questi avvenimenti sia racchiusa nella convinzione che “siamo tutte persone”, è che sulle “non persone” è considerato accettabile usare violenza. Ovvero, chiunque, anche la persona all’apparenza più pacifica, ammette l’esistenza di un ambito nel quale la violenza è legittima, quella delle non persone, dei “non-umani”.
Se una cosa ci ha insegnato la storia, è che quel confine non è impermeabile, né dato una volta per tutte. E’ un confine poroso, ideato da chi ha il privilegio per escludere chi non deve averne neanche una briciola, e anzi può essere sfruttato a piacimento. In nome di questa consapevolezza, scelgo di stare dalla parte dei non bianchi, dei non etero, dei non abili e dei non umani. Quel confine lo voglio abbattere, una volta per tutte. E rivendico con orgoglio il mio essere scimmia.