TUTTO È LECITO, NIENTE È CONCESSO
Educare e punire nella scuola azienda renziana
Sembra normale e ordinario vedere agenti in borghese e in divisa irrompere in un istituto pubblico, prendere a spallate gli studenti, chiamarli per nome e portarli via.
Indecorosa invece la protesta successiva degli alunni, le richieste di spiegazioni alla dirigenza, la voglia di mostrare tutta la loro rabbia.
C’è da distinguere due ruoli ben definiti in seguito agli ultimi accadimenti non solo nel Liceo Virgilio di Roma, ma avvenuti anche in altre città italiane come Modena o Bologna.
Il ruolo dell’educatore e quello di chi reprime e castiga.
La scuola è un luogo di formazione e crescita in cui ci si aspetta di essere al sicuro e avere un clima stimolante che garantisca il confronto. Il compito dell’educatore è di tutelare tutto ciò, salvaguardando la crescita di ciascuno studente, risolvendo le problematiche tramite dialogo e informazione.
Chi arresta non educa, spaventa. Chi proibisce e castiga senza spiegazioni o, alle volte, senza motivo, non fornisce una formazione ma applica una repressione totalitaria.
Allora perché è stato permesso proprio dal dirigente scolastico un blitz all’interno del cortile e l’installazione delle telecamere per controllare gli studenti? In nome della legalità, della sicurezza, del decoro.
La solita pantomima perbenista con cui si cerca di eliminare tutto ciò che è al di fuori della “pubblica decenza”. In questo caso specifico da eliminare è ciò che non si addice a un liceo altolocato come il Virgilio, che punta ad essere una “scuola d’eccellenza” secondo tre criteri base: ordine, disciplina e merito.
La figura del dirigente scolastico non ha più l’obbiettivo di creare quell’ambiente stimolante citato sopra, ma di sviluppare un modello di scuola basato sulla logica del mercato, in cui si cammina in fila, in cui niente è lecito ma, da parte della dirigenza, tutto è concesso, pur di stabilire il tanto agognato ordine.
Si cerca di dividere e disciplinare, andando a ledere qualsiasi forma di aggregazione, con ogni mezzo necessario. Lo spaccio non può e non deve esistere in tale realtà e non è un problema da risolvere ma un’indecenza da reprimere e annullare.
Vediamo come gli stessi strumenti politici utilizzati nelle città vengono riproposti in piccolo negli ambienti scolastici. Roma è governata da un prefetto sceriffo e un commissario sindaco che hanno il pugno di ferro su ogni tipo di lotta sociale, una politica puntata al pacificare i territori e “normalizzare” ciò che non è considerato normale, sempre secondo la pubblica decenza.
Si ricorre così alla militarizzazione della città, agli sfratti e agli sgomberi.
All’interno del Liceo Virgilio la dirigente scolastica colpevolizza e prende di mira l’unica organizzazione politica esistente in quell’ambiente (il collettivo), nega la possibilità di avere un luogo dove ritrovarsi(privazione dell’aula autogestita), impedisce la possibilità di riunirsi (scuola chiusa il pomeriggio) e minaccia l’intervento delle forze dell’ordine in ogni occasione di movimento o agitazione.
Il punto non è quindi lo spaccio all’interno degli istituti ma capire cosa e come sta cambiando la scuola come l’abbiamo sempre conosciuta.
L’ordine, la disciplina e il merito.
La scuola si evolve insieme al mondo del mercato, ora come ora l’investimento che si sta facendo su di essa a livello europeo è l’istruzione all’imprenditorialità, per cui l’obbiettivo della scuola è il profitto.
La valutazione è l’esempio lampante dell’aziendalizzazione progressiva degli spazi scolastici, questa infatti favorisce la concorrenza, la frammentazione e l’individualismo per cui se non sei in grado di fare una qualsiasi cosa e vieni valutato male, la colpa non è del sistema scolastico, non in grado di giudicare in base alle diverse capacità degli studenti, ma è solo e soltanto tua perché ti sei “meritato” ciò che ti spettava. Tutto ciò va inoltre a rimarcare le differenze socio economiche: chi ne ha la possibilità può prendere ripetizioni, comprarsi la nuova edizione del libro di testo o avere il tablet, chi non ne ha le facoltà non viene agevolato ma viene valutato allo stesso modo anche non avendo gli stessi mezzi. La valutazione meritocratica sviluppatasi negli ultimi decenni infatti non crea una differenziazione tra le competenze ma tende all’omologazione di ogni studente. Ad esempio se l’obbiettivo di due ragazzi di altezze diverse è di guardare oltre un muro, non possiamo pretendere che gli vengano date due scale di altezza uguale, che entrambi vedano allo stesso modo e vengano giudicati in base a ciò che vedono perché, ovviamente, il ragazzo più basso avrà una visione parziale.
In questo panorama non tutti possono essere competenti e meritevoli, così da alimentare la competizione e di conseguenza anche le dinamiche aziendali.
In questo panorama si attua un piano di depoliticizzazione progressiva per cui ogni spazio di confronto viene negato e la scuola non è più vivibile dagli alunni, ormai utenti di un ufficio qualsiasi.
Tutto ciò è stato messo in atto, su scala più ampia, dai test INVALSI che da anni valutano diversi istituti con diverse disponibilità economiche e didattiche allo stesso modo, premiando le più “meritevoli”. Anche qui si va a creare una dinamica per cui si costituiscono scuole di serie A, che vengono sempre più premiate e hanno sempre più possibilità, e scuole di serie B, abbandonate a loro stesse perché non possiedono gli stessi mezzi.
La soluzione è ricostruire dal basso quegli spazi che ci sono stati tolti col tempo, riprenderci la facoltà di creare dissenso e aggregazione dentro le scuole tramite i collettivi. Essere in grado di comunicare con una componente scolastica non politicizzata per ricominciare da ora verso una mobilitazione forte che vada a scardinare le logiche di un sistema scolastico basato sul profitto e sul mercato.
Una studentessa