Significato della memoria e memoria del significato
di Maria Silvia Marini
Proprio la scorsa settimana, il 27 gennaio, ricorreva la Giornata della Memoria, in onore delle vittime della Shoah.
Val la pena interrogarsi sul senso che sottendono le commemorazioni, sempre meno espressione spontanea di un sentire comune condiviso e partecipato, e sempre più contraltare della Memoria autenticamente intesa.
La natura di certe rappresentazioni istituzionali, è finita per sfociare nella loro più completa spettacolarizzazione, privandole di quegli elementi essenziali che fanno di un episodio storico un motivo di riflessione che permanga nel tempo e che possa davvero avere un riverbero sul futuro: senza quest’ultimo il ricordo si staglia nel tempo isolato, chiuso in sé, recidendo così i legami con la realtà attuale.
Anche e soprattutto in merito alle commemorazioni dell’olocausto, si assiste a questo fenomeno di progressiva perdita del senso della memoria.
Cosa dovrebbe davvero rimanere di questo fenomeno di musealizzazione e, in definitiva, di mercificazione del Ricordo?
Quando la commemorazione diviene souvenir, feticcio istituzionalizzato, soprattutto nel contesto di una memoria condivisa sempre più labile e scollegata dalla necessaria riflessione che le dia il significato autentico che le spetta, del ricordo rimane la facciata, il fiore di carta, la frase perbenista di convenienza, senza alcuna indagine su ciò che di più scomodo, ma altrettanto vitale per scardinare l’ipocrisia che permea la nostra società, risiede nella Storia dell’essere umano.
Diventa dunque industria, quella della Memoria, che impone la cadenza, il ritmo della reminiscenza, come in una liturgia delle ore, un rito svuotato fattosi mera espressione fonetica senza intenzione.
Anche la condanna tout court dell’oblio, della dimenticanza, ma solo in riferimento al singolo episodio, al fatto isolato e specificatamente nominato, denuncia la distanza che man mano si allarga tra noi, intesi come collettività, e la sintesi a cui dovrebbe davvero condurre la Memoria.
Questa è occasionata, pietrificata nel rito sterile del silenzio cronometrato, svilita della sua essenza, che appunto è fatta di sintesi, di connessione, di partecipazione.
La memoria non è una lampadina da accendere nello scantinato buio della dimenticanza generalizzata, per mostrare lo scempio accatastato lasciato a prendere polvere, a marcire nell’indifferenza di una distratta e superficiale quotidianità.
Il ricordo, poi, così narrativizzato, spettacolarizzato, oltre a perdere la relazione con la dimensione reale, non avulsa dalla condizione “materiale” del nostro essere al mondo, per altro verso assolve alla funzione di rassicurare chi partecipa alla sua ritualizzazione, perché lo esime dal mettere a tema esattamente ciò che viene scientemente taciuto della memoria, che così di dissolve, si svuota completamente del proprio significato, facendosi semplice archivio a compartimenti stagni, senza il ponte necessario che la connetta al presente e dunque al futuro, diventando cioè lettera morta, come il ricordo che si commemora. Senza quella partecipazione che vada a demolire il paradigma valoriale a cui quegli stessi ricordi, assurti a vessillo, fanno da fondamenta, da puntelli strutturali e imprescindibili. Allora la commemorazione veicola la negazione della memoria stessa, e si fa suo contraltare, suo pericoloso nemico, seppur ben vestito e ordinato.
La memoria è e deve essere piuttosto il giorno che si fa, quando dalla notte, attraverso la cruna dell’alba, nasce un nuovo Senso per la Storia.