Intervista da Quito per il Manifesto della Presidenta del Parlamento dell’Ecuador: “Abbiamo messo l’essere umano prima del capitale. Per questo viviamo una guerra permanente contro di noi dai media. Aiutateci a diffondere la verità”
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di Federica Zaccagnini, da Quito
Chi è Gabriela Rivadeneira?
Beh, Gabriela Rivadeneira è una giovane, madre, sognatrice, compagna, combattente, militante, molto disciplinata con l’organizzazione politica, perché crediamo che da lì nasca la base della proposta di trasformazione del nostro paese. Nell’attualità e nella contingenza sono Presidente dell’Assemblea Nazionale (il Congresso dei deputati, ndr).
Lei è cresciuta a Otavalo, dove ha assolto diversi incarichi di rappresentanza, è stata Consigliera Comunale, Vice-Prefetto, Governatrice nella regione di Imbabura. La sua vita personale e politica si è tenuta in una provincia e in una città, rispettivamente Imbabura e Otavalo, dove vi è una forte presenza indigena. Qual è la sua opinione a proposito di quelle accuse rivolte al Presidente Correa, secondo le quali avrebbe tradito gli indigeni e i movimenti?
Questo è un tema importante da trattare con chiarezza. A quanti lo affermano suggerirei di esaminare i risultati delle elezioni dove noteranno che lo zoccolo duro del voto per il Presidente Correa è il voto rurale, principalmente proveniente dalle organizzazioni sociali indigene. Alcuni leader indigeni del paese si sono trasformati in amanuensi della destra, ma hanno perso il sostegno delle loro basi, infatti oggi possiamo riscontrare una dicotomia tra gli argomenti di certi leader indigeni e quello che sta realmente accadendo nelle basi del movimento indigeno. Piuttosto, grazie alle politiche di governo (la politica abitativa e l’accesso alla casa, l’istruzione e la formazione gratuita, l’assistenza sanitaria gratuita, etc.), siamo riusciti a consolidare un grande sostegno da parte dei settori indigeni, afro-ecuadoriani e rurali per il nostro progetto politico e per il Presidente. Abbiamo ribadito la nostra volontà, come governo e come Revolucion Ciudadana, che per noi la priorità sono i poveri: in molti di questi movimenti e organizzazioni sociali ci sono ancora tante persone che hanno bisogno di uscire dalla loro condizione di povertà e queste sono le fasce sociali alle quali intendiamo continuare a rivolgere le nostre attenzioni prioritarie nella nostra azione di governo. Al contempo, è nostro preciso intendimento continuare a promuovere una diffusa partecipazione politica di queste fasce sociali e infatti abbiamo promosso grandi alleanze politiche con il settore indigeno. Ora abbiamo avviato un tavolo nazionale con il settore indigeno il cui obiettivo è quello di proporre politiche di sviluppo e che si rapporta direttamente con il governo: in questo modo siamo riusciti ad ottenere una partecipazione molto più orizzontale, è di gran lunga più democratica, che permette superare le relazioni di cacicazgo (1) che esistevano all’interno della leadership del settore indigeno, e che oggi permette di far entrare in gioco altre voci, soprattutto delle donne, perché non bisogna dimenticare che nel settore indigeno residuano a tutt’oggi delle antiche convinzioni machiste e conservatrici. Abbiamo consolidato e ampliato la partecipazione, oggi possiamo dire di avere rafforzato la nostra democrazia e di vivere finalmente in una reale democrazia.
Qual è il ruolo delle donne e dei giovani nella Revolucion Ciudadana?
I giovani e le donne hanno un ruolo fondamentale nella Revolucion Ciudadana. Mi permetto di sottolineare che dieci anni fa, eravamo completamente escluse dagli spazi di decisione politica. La nostra politica era totalmente “adultocentrica” e maschile. Gli spazi della decisione politica erano occupati principalmente da uomini di 50–60 anni, che era la media di età della rappresentanza politica, mentre noi donne, noi giovani, i rappresentanti di popoli e nazionalità indigene, non avevamo avuto quasi nessuna possibilità di partecipare e, soprattutto, di contribuire alle decisioni politiche. Con la Costituzione di Montecristi, è successo qualcosa di meraviglioso: quando andiamo alle elezioni per scegliere i membri dell’Assemblea Costituente, le persone scelgono i loro rappresentanti tra le loro basi, e l’Assemblea si riempie di persone provenienti dalle organizzazioni sociali, sono queste che hanno lavorato per scrivere la nostra nuova Costituzione. Questa inedita partecipazione sociale ha dato impulso a che la Costituzione raccogliesse istanze nuove, per esempio, la rotazione obbligatoria nelle liste di elezione popolare, la alternanza e la parità (di genere) obbligatoria. Grazie a questa misura siamo riusciti ad avere un gran numero di seggi occupati da donne e da giovani, la partecipazione, in questo modo si amplifica anche internamente alle organizzazioni politiche, si può vedere infatti un cambiamento, per lo meno nel nostro movimento Alianza Pais, dove per esempio almeno il 30% delle liste deve essere composto da giovani al di sotto dei 35 anni di età. Ora, nella pratica questo si traduce così: nel 2006 solo l’8% dei membri del Congresso erano donne, nel 2013 (ultime elezioni parlamentari) abbiamo ottenuto che il 42% dei seggi del plenario venisse occupati da donne. Tra i 137 membri dell’assemblea, 23 sono sotto i 35 anni, 16 sono rappresentanti di popoli e nazionalità indigene. Questo esempio dell’Assemblea Nazionale viene replicato in altre funzioni e istanze proprie della costruzione del potere popolare. L’alternanza e la parità di genere sono principi propri di tutti i settori dell’amministrazione statale, abbiamo giudici di tribunale, membri del consiglio della magistratura, un gabinetto presidenziale con molta partecipazione delle donne, ma soprattutto di giovani: abbiamo puntato molto sulla partecipazione di nuovi talenti in Ecuador. Anche nel servizio diplomatico, i terzi segretari (prima tappa della carriera diplomatica) sono prevalentemente giovani e appartenenti a popoli e nazionalità indigene, questo per segnare una forte rottura con quell’antica eredità diplomatica di famiglie che abbiamo avuto nel nostro Paese … in questo modo si generano nuovi modelli: tutti noi abbiamo accesso a spazi di decisione. Ora non è difficile trovare un giovane, una donna, un contadino, un indigeno, che cerca di captare spazi di decisione politica attraverso i diversi livelli di partecipazione … riteniamo che questa rivoluzione, ciò che ha fatto nella pratica, è aprire le possibilità per cambiare gli stereotipi e stabilire nuovi modelli, impostando nuovi meccanismi di sviluppo inclusivi per tutte e tutti.
In questo “cambiamento di epoca” come lo ama chiamare il Presidente Correa, cosa sta vivendo l’ Ecuador: un processo di rivoluzione o di riforma nel contesto del capitalismo?
Questo è un tema importante ed ha costituito uno degli argomenti che abbiamo discusso maggiormente. Alcuni affermano che il presidente Correa non è un rivoluzionario, ma un riformista del sistema. Noi abbiamo dibattuto molto sul progetto politico. Che cerchiamo? Che cosa dobbiamo ripensare oggi? Cosa vogliamo per il futuro? Senza dubbio, la nostra rivoluzione è parte di un progetto di sinistra. Abbiamo messo l’essere umano prima del capitale, è l’essere umano ciò che ci interessa e per questo cerchiamo di mettere in pratica in modo permanente la nostra teoria del buen vivir. Dico “cerchiamo” perché resta ancora molto da fare per consolidare questa rivoluzione, ci sono condizioni esterne che sono molto avverse alle nostre decisioni interne, ci obbligano a ripensare la nostra politica economica come Paese; sappiamo di essere in un mondo globalizzato e che la macroeconomia deve essere rivista per affermare un progetto reale. Il nostro progetto non è meramente astratto: lo mettiamo in pratica ogni giorno e, certamente, in questo mondo globalizzato, in questo sistema dominante (perché non siamo ancora riusciti a sconfiggere il sistema dominante!), dobbiamo schivare gli attacchi della restaurazione e trasformare il progetto in realtà. Pertanto riteniamo che il nostro progetto è un progetto rivoluzionario. Ci rifiutiamo di ridurlo ad un insieme di “riforme”, perché nella storia le riforme sono state parte del sistema, funzionali a sostenere un sistema decadente, la nostra proposta è contro-egemonica e in pratica dà i suoi risultati. Ad esempio, la legge dell’ economia popolare e solidale, la questione del salario di sussistenza per la famiglia,… Ora, per fare un altro esempio, stiamo lavorando alla legge sulla terra per incorporare la proposta delle unità di produzione familiare. Si tratta di una proposta innovativa che l’Ecuador fa al mondo, come una proposta di sviluppo del campo, una alternativa per la sovranità alimentare. Non vogliamo permettere alle multinazionali di consumarci, di distruggere le nostre abitudini alimentari e legarci ad altre tipologie di cibi completamente estranei alla nostra cultura e alla nostra propria essenza. Tutte queste problematiche — e molte altre che dobbiamo ancora affrontare e superare — non sono estranee ad un sistema imperante, la realtà del nostro Paese non è immune rispetto all’influenza del sistema dominante, ma ci rifiutiamo di mantenere tale influenza esterna e abbiamo deciso di trasformare la nostra realtà. Questo è l’equilibrio necessario che dobbiamo stabilire, non solo in Ecuador, ma nei paesi dell’America Latina e, pertanto, sosteniamo che la nostra regione è una regione progressista, una regione di sinistra, è una regione che promuove rivoluzioni reali.
Qual è l’ insegnamento che l’Ecuador ed i processi, più in generale, dell’America Latina possono offrire alla sinistra europea?
Beh, la rottura di certi tabù che abbiamo. Credimi, è stato difficile, ed è ancora difficile. Noi, come progetto di sinistra continuiamo nella disputa interna alla stessa sinistra, e nel cammino di rielaborazione dei processi politici possiamo anche perdere alcune di quelle visioni appartenenti alla sinistra tradizionale, proponiamo un nuovo modo di vedere il socialismo, un nuovo modo di vedere lo sviluppo dei nostri paesi, con equità e giustizia sociale. Penso che quello che stiamo vivendo nei nostri paesi, possa essere utile come esempio per altre regioni del mondo. L’Europa sta attraversando una gravissima crisi in cui è stato messo in discussione il sistema, perché il sistema non ha funzionato, il sistema è scaduto e non offre più un’alternativa per i governi, meno per il popolo, e così anche in Europa stanno emergendo proposte alternative di sinistra che promuovono la rottura con il sistema dominante. Ciò che abbiamo fatto soprattutto negli ultimi dieci anni è osservato da molti paesi in Europa, nello specifico è oggetto di attenzione il modo con cui abbiamo affrontato la questione del debito estero illegittimo ed immorale: noi ci siamo rifiutati di pagarlo ed abbiamo effettuato delle rinegoziazioni che ci hanno permesso di avere più reddito per privilegiare il pagamento del debito sociale rispetto al pagamento del debito estero. Oppure, un’ulteriore politica che è stata presa ad esempio è il modo con cui abbiamo imposto regole chiare alle multinazionali operanti nel nostro Paese. Insisto nell’accennare a questioni che attengono al recupero della nostra sovranità, perché tutte le vicende che oggi maggiormente ci riguardano hanno a che vedere col concetto di sovranità. Il sistema imperante tenta di farci vedere tutti allo stesso modo, implementa le stesse politiche e le stesse misure socio-economiche per tutti, come se fossimo tutti uguali. Quello che abbiamo dimostrato in America Latina è che con le nostre particolarità e specificità possiamo offrire alternative che il sistema non dà, e quindi parliamo di processi reali in democrazie reali. Spero che in un futuro non troppo lontano i paesi dell’Europa e gli stessi popoli europei, che hanno deciso di risvegliarsi, scuotersi e, al contempo di dare una scossa ai loro rispettivi governi, potranno essere in grado di chiedere di più e dunque vivranno anch’essi un processo che permetta loro di recuperare la sovranità nazionale.
Il 30 settembre di cinque anni fa durante il tentativo di Golpe de Estado il Presidente Correa veniva difeso e riscattato grazie all’intervento della popolazione, che era scesa numerosa in piazza a difendere la democrazia. Cosa minaccia oggi la democrazia e la Revolucion Ciudadana?
Quella data è impossibile da dimenticare, per un insieme di sentimenti contrastanti che molti tra noi ecuadoriani hanno provato. Da un lato la preoccupazione che abbiamo avuto quando è stato sequestrato il nostro Presidente e dall’altro l’emozione e la sensazione di forza che abbiamo provato quando un intero popolo si è alzato per difendere il suo Presidente. Se non fosse stato per queste persone, avremmo avuto un colpo di Stato. Grazie al nostro popolo il golpe è fallito. A cinque anni di distanza da quegli eventi, i recenti tentativi di destabilizzazione della nostra democrazia ci ricordano che la Revoluciòn Ciudadana è ancora oggi costantemente soggetta alle stesse e identiche minacce. Sappiamo infatti che il nostro processo rivoluzionario, sebbene abbia compiuto passi importanti in questi quasi 9 anni, è vulnerabile per le condizioni esterne, ma soprattutto per quelle interne determinate da una destra legata agli interessi delle multinazionali e del potere economico internazionale, che non ha esitato un solo giorno di seguitare nel suo tentativo di delegittimazione e screditamento del governo. Questo è ciò che viviamo ogni giorno. Cosa ci spetta di fare? Difendere il nostro processo tutti i giorni, chiarire, informare e mostrare ciò che siamo riusciti a fare. Dunque, continueremo a rivendicare i risultati sin qui raggiunti ma soprattutto ci impegneremo a costruire le basi, col coinvolgimento del nostro popolo, per affrontare le nostre sfide future. La nostra sfida di oggi, per affrontare la destra, è la costruzione del potere popolare. Dobbiamo implementare il processo di rafforzamento del potere popolare, in cui è la gente ad assumere le decisioni ed a difendere le sue conquiste. Noi crediamo nella saggezza e nella maturità del nostro popolo, questo Paese ci ha donato 10 vittorie elettorali in otto anni. E ’ stato il popolo finora ad affermare la sua convinzione che non si può tornare indietro e che bisogna consolidare — e naturalmente migliorare — questo processo politico. Si tratta di un processo permanente di miglioramento della nostra rivoluzione ma non dobbiamo mai mettere in dubbio che la vera alternativa per i nostri popoli è la rivoluzione. Quindi ciò che ora sta avvenendo in Ecuador, e che avviene in diversi paesi dell’America Latina, in Venezuela, in Bolivia, in Argentina, in Brasile, è una sorta di modello preconfezionato di attacco ai nostri processi e noi, a fronte di ciò, non possiamo fare altro che resistere nella difesa delle nostre conquiste con grande spirito di fermezza, ora più che mai.
Cosa possono fare la società civile, le organizzazioni politiche, i giovani stranieri che ammirano i processi latino-americani e in particolare quello ecuadoriano?
Informarsi e aiutarci a diffondere informazioni corrette sui processi politici che ci riguardano. Viviamo una guerra permanente condotta nei nostri confronti dai poteri mediatici che mistificano e manipolano le informazioni sul nostro conto, arrivando perfino a favorire la messa in atto di colpi di stato. In particolare, noi che rappresentiamo una giovane generazione siamo chiamati a riflettere più di altri su questi temi e tutta la gioventù deve attrezzarsi in modo tale da impedire ai massmedia di determinare la nostra agenda politica, di modellare le nostre opinioni e il nostro pensiero. Dobbiamo conoscere a fondo e mettere in discussione permanentemente quelle informazioni che ci arrivino dai massmedia dominanti alle cui spalle ci sono i potentati economici. Dobbiamo informarci, i mezzi di comunicazione alternativi possono aiutarci, dobbiamo moltiplicare, spezzare la catena di monopolio dei media che è imperante nel mondo intero. La nostra deve essere propriamente una battaglia contro-egemonica, a fronte dell’unico vero baluardo che al giorno d’oggi resta nelle mani del capitalismo: il suo monopolio dei mezzi di comunicazione.
1 Il termine cacicazgo si riferisce a una pratica di tradizione antica per cui i signorotti locali esercitavano il controllo su territorio e sulle persone in cambio di protezione e benevolenza.
Articolo pubblicato su il Manifesto online e riproposto su gentile concessione dell’autrice.
7 gennaio 2016