Ormai tutto è una moda?
di Denys
https://desmonautica.wordpress.com/2015/11/01/ormai-tutto-e-una-moda/
Ormai [inserire identità o altro a caso] è una moda. La bisessualità è una moda, le allergie, le intolleranze, la celiachia sono una moda, l’introversione è una moda, il femminismo è una moda, la depressione è una moda, il veganesimo è una moda, la visibilità transgender, l’autismo, tutto quanto è una moda. Perché dire che qualcosa è una moda?
È cosa nota che seguire una moda non sia l’esempio più brillante di autonomia intellettuale o, in questo senso, anche soltanto vestiaria. Attribuire l’adeguamento a una moda a qualcun* significa accusarl* di conformismo e pensiero di gruppo, depotenziando la forza delle sue parole con una fallacia ad hominem per interposta, inconsistente argomentazione. Ma dire che qualcosa è una moda è anche una contraddizione in termini, perché nel momento in cui un insieme di persone ripropongono acriticamente questa locuzione, l’accusa modaiola diventa essa stessa moda. E se così è, e lo è, secondo questa logica occorrerebbe smettere di usare questa frase per non seguirla. Questo però non accade, semplicemente perché questa accusa non è nient’altro che una strategia retorica.
Banalizza la posizione e l’esperienza soggettiva dell’interlocutore/trice, che, riposizionat* come moda, diviene qualcosa che non è più degno di considerazione e dibattito; l* delegittima ma legittima dialetticamente un esercizio di superficialità. Nel momento in cui si accusa l’altr* di pensiero di gruppo, i riflettori si spostano sulla persona accusata, e a quel punto il centro della discussione è la presunta moda di quest’ultima, non i motivi che muovono l’accusante, il quale, con questa strategia, riesce tranquillamente a far passare in secondo piano l’ignoranza e la malafede implicita dei suoi pensieri. Infatti è impossibile che l’interlocutor* che afferma ciò conosca i retroscena individuali di chiunque, per poter dire questo, perciò lo fa in base al suo preconcetto.
Prendendo in considerazione il caso in cui faccia ciò pensando a una sua conoscenza individuale, esiste lo stesso il rischio che non conosca tale persona così bene da poter davvero essere affidabile nel dire che mente o fa esibizionismo. Non è possibile fingere infatti che l’interlocutor* sia immune ad antipatie e bias personali che l* spingono a non tenere conto dei fatti effettivi. E non solo: affermando ciò commette anche lo sbaglio di generalizzare, universalizzando impunemente la realtà (o la falsa realtà, distorta dalle sue meningi) del/la singol* al resto della categoria che quel/la singol* incarnerebbe.
Occorre riconoscere l’esistenza di sessualità diverse dalla propria, adeguarsi a usanze alimentari rispettose delle altrui esigenze, accettare l’esistenza di tipologie neurologiche variegate e di vite non privilegiate, dover controbattere una qualsiasi posizione? Et voilà. Basta dire che ormai tutto è una moda, e passa la paura.