Le donne nigeriane e non solo

Sull’espulsione di massa dal CIE di Ponte Galeria

http://hurriya.noblogs.org/post/2015/09/18/sullespulsione-di-massa-dal-cie-di-ponte-galeria/

Durante questa lunga estate di prigionia, numerose delegazioni istituzionali e para istituzionali hanno attraversato i corridoi del CIE, per accendere i riflettori sulle loro storie e per acquisire consenso in un momento di forti tensioni sul tema dell’immigrazione . Dichiarazioni, interviste, comunicati stampa e interrogazioni parlamentari hanno dipinto queste donne infantilizzandole e negando, attraverso lo stigma della “vittima di tratta”, la loro scelta di intraprendere un viaggio. Il focus mediatico nasconde la macchina delle espulsioni e la violenza delle frontiere, creando storie e personaggi, “dimenticando” sistematicamente che dietro queste storie ci sono delle persone. Questa narrazione, ed il fare di loro un gruppo, è stata funzionale a dividerle dal resto delle persone recluse, creando allo stesso tempo una differenziazione “tecnica” fra chi porta sul corpo segni evidenti di tortura e chi no, come se solo questo potesse definire l’identità o la storia di una persona. Sappiamo che ognuna di loro ha una storia diversa, tanto quanto tutte le persone internate nei CIE.

Fino a ieri, nella sezione femminile erano in 140 persone ed in quella maschile 80. Le stesse di cui abbiamo sentito le grida e le battiture l’ultima volta che siamo stati lì davanti. Sin dalle prime ore del mattino, attraverso i racconti delle persone recluse, abbiamo saputo che il personale di Gepsa preparava una deportazione di massa verso la Nigeria.

Un appello a raggiungere il CIE ha iniziato a circolare fra i solidali.

Mentre sul web, fra politici e associazioni, c’era molto rumore intorno “al caso”, a Ponte Galeria c’era solo il rumore dei petardi e delle grida che si sono unite più volte dentro e fuori le mura.

Dopo quattro ore, la celere ha spintonato chi provava ad opporsi al transito delle 24 persone che venivano deportate con l’impiego di due autobus (carichi del personale di Frontex), un furgone di celerini, una macchina della polizia, un furgone medico e perfino una macchina dell’ONU. Le 20 donne e i 4 uomini sono stati trasportati a Fiumicino, sotto gli occhi dei solidali trattenuti da un cordone di sbirri. Il convoglio, abbastanza lento, è arrivato nella zona dedicata all’espulsione, situata nella zona cargo del Terminal 5, dove ad attenderli c’era un volo “Meridiana” di deportazione contornato da forze dell’ordine. I mezzi di polizia si sono parcheggiati sotto l’aereo e le persone sono salite senza attraversare nessun’altro luogo.

In aeroporto, mentre ci si raggruppava per un presidio davanti le reti, un solidale si è spostato vicino le recinzioni protette dal filo spinato, in una zona meno visibile, non distante dall’aereo straordinariamente attrezzato per le espulsioni, rimanendo lì nascosto per un pò di tempo. Le esperienze antimilitariste e altre esperienze di persone che hanno scavalcato le frontiere, ci hanno dimostrato che nessuna barriera è insuperabile: si può mettere della moquette sulle recinzioni di filo spinato, si possono autocostruire delle scale di legno…

Dopo 20 minuti si è notata una certa agitazione sulle scale mobili che servivano per salire a bordo del volo, con il Capo Ufficio della sicurezza dell’aeroporto che ha dovuto abbandonare la sua comoda poltrona e intervenire di persona. Dopo altri 15 minuti, sono arrivate due macchine della polizia delle frontiere in borghese che hanno accerchiato il solidale nascosto vicino le recinzioni. Una volta scoperta, questa persona è salita sulle reti e ha raggiunto un palo di telecamere per non essere preso dalle guardie. Su questo palo poteva urlare la solidarietà alle persone caricate nell’aereo. Dopo un pò di tempo, senza riuscire a far scendere la persona, gli sbirri hanno dovuto far spostare una scala mobile. La persona è scesa da sola ed è stata trasferita negli uffici dell’aeroporto di Fiumicino per fotosegnalazioni ed è stata denunciata a piede libero per “Procurato Allarme” e dopo 4 ore liberata davanti all’aeroporto. La stessa cosa è avvenuta per gli/le altri/e solidali che sono stati/e condotti/e all’interno degli uffici di polizia dell’aeroporto per la fotosegnalazione. Dopo quattro ore di fermo inoltre, due ragazze sono state aspettate alle macchine per una successiva perquisizione.

Da quanto appreso alcune sospensive in grado di bloccare la deportazione hanno raggiunto le autorità che avevano in fretta e furia caricato sull’aereo le persone da deportare. In questo momento dalla sezione femminile mancano 21 persone. Non è chiaro dove siano le ragazze che sarebbero state fatte scendere dall’aereo né esattamente quante siano. In sostanza, aldilà della canea mediatica non c’è interesse per l’effettiva situazione delle persone. Nessuna delle associazioni o dei politici che ieri sbandieravano il loro “impegno” e il rispetto della legalità, evidentemente calpestata con questo rimpatrio, è in grado di dire dove siano queste persone.

In Europa continua ad imperare lo slogan “refugees welcome” che rappresenta perfettamente la superficialità delle analisi in corso. Uno slogan umanitario che vuole nascondere un problema politico di grande portata. Rifiutiamo questo concetto di “rifugiato/a” se contrapposto a quello di clandestino/a. Nessuna valutazione tecnica può impedirci dal considerare legittima la scelta di cambiare il territorio in cui si vive, nessuna burocrazia può negare la brutalità del viaggio che queste persone intraprendono.

SOLIDARIETA’ A CHI LOTTA CONTRO LE FRONTIERE E LA PRIGIONIA Nemici e Nemiche della macchina delle espulsioni.

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