Riflessioni sulla Grecia
di Alle
Il Referendum ci da la possibilità di comprendere ed assimilare che il no è possibile. Che dire no alla Troika non è un’utopia. Ma è importante anche sottolineare che non si tratta si una questione economica. Il debito c’è e rimane anche dopo il referendum, l’austerity c’è e rimane anche dopo il referendum e anche la crisi economica esisterà ancora. Il nodo è se riusciamo a ribellarci a chi per anni c’ha detto che la causa della recessione è colpa del popolo italiano, greco, spagnolo. Noi, secondo la loro propaganda per anni abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità. Ma nei nostri paesi la corruzione e la ricchezza hanno viaggiato sempre a senso unico. La crisi economica è ricaduta sulle classi che esistono per produrre e riprodurre ricchezza, che siano o meno all’interno del mondo del lavoro. I salari sono stati bloccati, i diritti deregolati, e mentre i nostri redditi si facevano sempre più esiguui con la scusa del problema dell’inflazione, i profitti si facevano sempre più alti. Basta guardare le statistiche. Sottolineamo dunque che l’unico debito che esiste è quello che la nostra classe dirigente e la Troika hanno con noi. Ma c’è un’altra questione che secondo me è importante, a differenza di come dicono tanti, oggi la Grecia non ha dato prova di essere democratica. La Grecia ci ha dimostrato che la democrazia, come sistema di governo, è finita e con lei i principali strumenti di raccolta della domanda dal basso: i partiti e i sindacati. Questi hanno deteriorato la loro funzione e quelli che vediamo sono gli ultimi brandelli di un sistema che è morto e che ha bisogno di essere stravolto. Il fatto che si sia usato uno strumento democratico per eccellenza come il referendum, non vuol dire che la democrazia esiste. E’ stato usato, giustamente, perché non c’era altra scelta. I Greci, infatti, sono stati chiamati a fare una scelta riguardo la propria dignità, non sono stati chiamati a decidere come organizzare in maniera differente una società che per come è stata organizzata fino ad ora è andata al collasso. La questione è quindi il rifiuto, la capacità di opporsi ai diktat, all’austerity, alla miseria, ma la questione è anche riuscire ad immaginarsi un modo differente di fare comunità, di produrre, di vivere. E questo non può essere delegato ai partiti. Non può essere delegato ai governi e tantomeno ad un’Europa che è sorretta esclusivamente da un patto economico neoliberale. Io credo che siano proprio le persone che hanno subito in questi anni il peso della crisi, che vedono la disuguaglianza farsi sempre più importante e sempre più lontana la questione della distribuzione della ricchezza, che devono essere capaci di esprimere se stesse e la propria classe. Devono capire che forme organizzative darsi e quale espressione culturale, economica, sociale è meglio per se. Possiamo e dobbiamo immaginare un modo altro di stare al mondo. Non ci salverà l’uomo nuovo che va al governo, il partito illuminato ma solo la nostra capacità di riacquisire finalmente un po’ di autodeterminazione. Un secolo di stato e di welfare state ci ha fatto assimilare inevitabilmente la necessità di un altro al di sopra di noi. Lo stato come padre padrone che elargisce ai propri figli ciò di cui hanno bisogno. Lo Stato come entità collettiva capace di decidere per il bene dei propri membri. Ma nel momento in cui lo stato è finito, la democrazia superata e davanti a noi abbiamo un’entità sovranazionale come l’Europa ci scopriamo incapaci di pensare alle nostre comunità. Incapaci di immaginarci un modo differente di vivere. Solo guardando al passato riusciamo a vedere un’alternativa ma che non è plasmabile al nostro tempo finché non riusciremo ad autodeterminare e autorganizzare il nostro presente. Siamo abituati a percepirci come vittime. Quindi il problema sta nella capacità anche di rifiutarsi di ricevere ordini sul nostro destino ma anche di rifiutarsi di leggere se stessi e la propria classe con gli occhi del nemico. Un nemico che ci ha fatto autonarrare come percettori di decisioni altrui convinti di partecipare al processo decisionale e ci ha fatto anche perdere la capacità di decidere secondo i nostri bisogni. Dobbiamo liberare le capacità creative della nostra parte invece di subire esclusivamente le volontà distruttive dall’altra. Rifiutarsi, prendere coscienza delle nostre potenzialità e infine creare.
Tutto quello di cui abbiamo bisogno è dentro di noi.
Sottolineo e sottoscrivo:
“Tutto quello di cui abbiamo bisogno è dentro di noi”.