Quando gli avvoltoi volano su Battistini
Non capita spesso di girare il chiavistello nella porta di casa e vedere gli avvoltoi. A pensarci bene accade poco, molto poco. Per vederli, però, non mi è servito alzare gli occhi al cielo. Erano tutti per strada a urlare. Diciamo che accade un po’ più spesso, se hanno la faccia di tutti i peggiori rigurgiti nazionalpopolari e dell’estrema destra. Tutti riuniti in una manifestazione, apolitica nella stessa maniera in cui possono esserlo gli enfatici strombazzamenti xenofobici di Salvini e seguaci.
Siamo di fronte a una narrazione tossica che più tossica non si può. Incentrata tutta sulla condanna di un orrore, etnicizzato due volte. La prima dalla frustrazione di chi sfoga la propria insoddisfazione circa la mancanza di prospettive in acritiche cacce al diverso, che diviene nei filtri distorcenti della percezione pubblica, vale a dire quella dell’opinione mediatica, un misterioso figuro ammantato di immeritate concessioni, le quali sarebbero ingratamente ripagate con delitti di ogni genere. La seconda volta dalla classe politica, che non esita a gettare fertilizzanti su quanto di terrificante è già stato seminato dalla televisione e dalle varie testate cartacee e digitali.
Si ha un ben parlare di tragedie annunciate, nessuno però sa indicare bene dove si trovava l’annuncio di questa tragedia in particolare, tanto orribile quanto casuale. A ragione, poiché bastasse la presenza di esseri umani ad avvalorare sospetti di reato, anche quando le condizioni di vita sono quelle considerate proprie del degrado, l’intera zona di Primavalle sarebbe un covo: i suoi abitanti, ottantamila criminali. Questo quartiere, a differenza di chi si fa vivo solo se c’è da cantare l’inno minacciando genocidi di periferia, c’è anche chi lo vive tutti i giorni e può parlare con cognizione di causa. Non esiste nessuna emergenza zingari, nessuna violenza rom. Esistono piuttosto l’emergenza reddito e l’emergenza abitativa, e molte altre, di natura economica, politica, culturale che è possibile continuare a citare per giorni e giorni. Esiste la violenza di vivere nella trappola di una stratificazione sociale sempre più stringente e asfittica, fatta passare in secondo piano con discorsi razzisti e fuffologici proclami antidegrado. Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda gli adesivi sui pali: stoltezza particolarmente infida, classista e razzista, se il degrado da eliminare cessa di essere l’ambiente e incomincia ad essere incarnato dalle persone – certi tipi di persone – e non dall’arredo urbano.
A ben vedere, i mostri singoli si sbattono in prima pagina solo quando sono bianchi e cittadini italiani. Se non lo sono, il giudizio individuale sparisce e lascia il posto al consolidamento di un mostro collettivo, rappresentato da tutte le persone appartenenti all’etnia di turno, presa di mira da un retroscena di anni di campagne antiziganiste e una versione distorta del principio di responsabilità collettiva. Questo è l’andazzo? Allora riformiamo l’intero diritto civile e penale. Quando un italiano fa qualcosa che non deve, fuoco sul suo condominio. Suona male, quando il mirino è puntato su di noi. Sembra una soluzione inconcepibilmente folle. Lo è. Come è folle che esista una marea emozionale che monta ininterrotta, totalmente avulsa dalla realtà dei fatti, esacerbata da livori accumulati in precedenza, legittimata da una gestione della cosa pubblica tutta ruspe e repressione ma che di politiche sociali proprio niente.
C’è chi proclama vendetta alla folla e alza fiaccole al vento mentre vende le case popolari, sgombera e sfratta. Poi c’è chi sta dalla parte di chi i diritti non ce li ha e li pretende insieme, e non da quella di chi per attività conservatrice verso le ultime molliche di pane si mette a calpestare esseri umani. Non sarà una limpida attività di sciacallaggio e ossessione legalitaria come si conviene ad ogni bravo cittadino, ma è meglio così.