Imparare a lottare: la mia storia tra operaismo e femminismo

“Imparare a lottare: la mia storia tra operaismo e femminismo”

Leopoldina Fortunati

https://viewpointmag.com/2013/09/15/learning-to-struggle-my-story-between-workerism-and-feminism/

Quando ho conosciuto l’operaismo, avevo 19 anni. Ero una militante del movimento studentesco dell’Università di Padova. Ero giovane e per questo silenziosa e disposta ad apprendere. Ricordo che in molti incontri avrei voluto dire qualcosa, ma ero troppo timida ed insicura e quindi alla fine preferivo rimanere zitta. I leader dei movimenti (studenteschi) avevano generalmente già imparato a fare politica, attraverso precedenti esperienze dentro a partiti o organizzazioni politiche. Al contrario, io non avevo altro che la convinzione di dover cambiare il mondo per il trionfo dell’eguaglianza, della libertà e della giustizia.

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Leopoldina Fortunati parla durante una manifestazione a Piazza Ferretto a Mestre, Marzo 1974

La mia unica precedente esperienza politica era stata, a 14 anni, la partecipazione ad uno sciopero contro i test nucleari francesi nel Pacifico. Frequentavo allora il ginnasio “Titio Livio” di Padova, dove gli studenti partecipanti allo sciopero erano davvero pochi. Ad un certo punto arrivò il direttore e quando mi vide cercò di prendermi per un orecchio intimandomi “rientra dentro!”. Mi sono bruscamente allontanata da lui e gli ho detto di non permettersi di rivolgersi a me in quel modo. Gli studenti che parteciparono allo sciopero furono rimandati o bocciati.

La seconda grande esperienza che mi preparò ad una vita di impegno politico fu quella di aver dichiarato il mio ateismo a 16 anni. Vivevo con i miei genitori a Dolo, una piccola cittadina tra Padova e Venezia, e la mia famiglia era molto cattolica. Io però vedevo intorno a me tantissima povertà o molte ingiustizie contro le quali la Chiesa faceva ben poco. La mia presa di posizione contro il ruolo della gerarchia cattolica fu uno shock per i miei genitori, che però la sopportarono.

Finalmente, a 18 anni, decisi di lasciare la casa dei miei genitori e sostenermi da sola nei miei studi all’università, nonostante i miei genitori potessero permettersi di sostenere loro i miei studi. Volevo avere il controllo della mia vita e vivere senza i privilegi con i quali ero cresciuta. Ho fatto tantissimi lavori diversi, dalla commessa in libreria fino alla rappresentante commerciale di opere d’arte, passando per la bibliotecaria all’università. Durante quel periodo i miei genitori piansero parecchio: dal loro punto di vista, la loro unica figlia ( avevo tre fratelli) era la più ribelle e vedeva la vita in un modo che secondo loro mi avrebbe condotto a vivere di stenti.

Quando sono entrata all’Università di Padova, nella facoltà di Lettera, il movimento studentesco stava cominciando. Fu un movimento intenso e vasto che voleva reinventare il nostro stile di vita e l’organizzazione della società, a partire dall’Università.  Non potevo contribuire molto ma partecipai con grande entusiasmo. Tuttavia eravamo isolati, in quanto studenti, dal resto delle persone, e soprattutto dai lavoratori che a quel tempo erano impegnati nelle loro proprie lotte.

Per questa ragione presi parti alle lotte dei pendolari, e dei lavoratori dei dipartimenti dell’Università. I pendolari volevano che il tempo dei loro spostamenti fosse calcolato dalle aziende come parte dell’orario lavorativo, e non come un loro personale problema. Inoltre, i treni usati dai pendolari erano i peggiori di tutta la rete ferroviaria: sporchi e perennemente in ritardo, senza alcun rispetto per gli utenti- ad esempio se un treno era in ritardo nessuno informava sul perché del ritardo o sull’orario effettivo di arrivo del treno. I lavoratori dei dipartimenti universitari volevano un aumento del salario e migliori condizioni di lavoro, inclusa la riduzione dell’orario. Fu la partecipazione a queste lotte che mi forzò a comprendere il ruolo dei lavoratori nella società capitalista, e ad analizzare meglio questo ruolo.

Decisi di frequentare un seminario che Ferruccio Gambino stava tenendo nella Facoltà di Scienze Politiche, nel quale si discuteva Il Capitale di Karl Marx. Cominciai a capire il significato di molti concetti e categorie utilizzati dal movimento, che avevano per me fino a quel momento solo un significato vago. Le cose più importanti che imparai nel corso di Ferruccio su Marx furono i concetti base di classe, capitale, classe lavoratrice, lavoro produttivo e improduttivo, plusvalore rimodellati in modo da poter effettivamente afferrare tutti i cambiamenti prodotti dal capitale nell’evoluzione della società successiva a Marx, e in special modo nella società in cui vivevamo. La lettura della società proposta da Ferruccio era molto differente da quella che il Partito Comunista elaborava e proponeva nella prospettiva del marxismo ortodosso.

Realizzai presto che vi era una grande intelligenza politica nell’impegno a  comprendere il presente, ma anche il passato, e che quel gruppo politico “Potere Operaio” e il suo discorso provvedevano a fornire una formidabile “cassetta degli attrezzi” per tutti i militanti politici nelle loro lotte. Soprattutto, questo gruppo era impegnato nella creazione di una piattaforma organizzativa dove studenti e lavoratori potessero trovare un luogo di unità. A quel tempo, il principale problema era di abbattere le barriere sociali che dividevano fermamente gli studenti dai lavoratori delle fabbriche e dai lavoratori in generale.

Tuttavia, il Marx rivisitato, anche se potente rispetto alla versione ortodossa, continuava a rimanere cieco rispetto alla realtà vissuta dalle donne. Infatti il discorso di Potere Operaio era molto avanzato nel considerare le nuove fabbriche, il nuovo ruolo dei lavoratori nel sistema capitalista moderno, ma era molto povero rispetto al lavoro domestico, alle relazioni affettive, alle emozioni, alla sessualità, all’educazione, alla famiglia, alle relazioni interpersonali in genere, alla socialità e via dicendo.

Non mi piace parlare dei limiti di Potere Operaio; come femministe li abbiamo criticati e contestati molte volte per la loro mancata consapevolezza delle condizioni sociali e del ruolo delle donne. Tuttavia, penso che i militanti di quel movimento fecero tutto quanto era possibile per aumentare le fila dei militanti e attrarre altri settori della classe, dai lavoratori delle fabbriche agli impiegati, dagli studenti agli insegnanti delle scuole medie superiori e così via. Fecero anche enormi progressi nell’estendere il discorso politico al di fuori dal Marxismo ortodosso. Fecero dell’eredità Marxiana qualcosa di dinamico e utile ad analizzare e comprendere la società della seconda metà del ‘900, ed insegnarono a tutta la base dei movimenti, inclusa me, l’abilità di usare Marx senza deferenza. La mia partecipazione a Potere Operaio fu però limitata perché cominciai a partecipare al gruppo emergente “Lotta Femminista”.

Mi unii a Lotta Femminista quando avevo 22 anni. Nel frattempo ero cresciuta molto, avevo imparato molto, avevo anche superato la timidezza di parlare in pubblico e avevo capito che era tempo di dare significato politico anche alle mie scelte personali. La lotte personali che molto donne avevano ingaggiato, per il loro proprio bene e per cambiare la società, avevano bisogno di una cassa di risonanza e di una forza unitaria per accrescere la loro potenza. Questa forza fu la scoperta della coscienza di classe da parte delle donne, che sarebbe servita da motore all’organizzazione politica delle loro lotte sociali. Lotta femminista portò l’esperienza operaista dentro al movimento femminista.

Sulla base di questa esperienza politica, decisi di dedicare i miei sforzi maggiori all’analisi della condizione della donna nella prospettiva dell’economia politica, considerata in termini Marxiani. Ovviamente dovevo rimodellare le categorie Marxiane alla luce dell’esperienza e della tradizione politica femminista. Fui spinta dalle necessità pratiche della lotta femminista a scrivere “The Arcane of Reproduction”. In questo lavoro ebbi pieno sostegno da Mariarosa Dalla Costa e Sandro Serafini (Potere Operaio), che revisionarono il libro capitolo per capitolo.

Questo libro, infatti, discute i principali problemi politici dibattuti al tempo all’interno dell’intero movimento politico. Dovevamo gestire un dibattito pubblico interno ai nostri gruppi e tra il movimento femminista e il movimento tutto, composto anche di studenti e di organizzazioni politiche come Potere Operaio e Lotta Continua. Dovevamo rendere chiaro e spiegare, innanzitutto a noi stesse, e poi all’intero movimento, il motivo per cui avevamo bisogno di andare oltre le categorie Marxiane e in che senso dovevamo farlo. Ad esempio, in che termini le donne possono essere considerate come classe? Quali donne?

Lotta Femminista è sempre stata una corrente minoritaria all’interno del movimento femminista, perché le donne del movimento erano giustamente diffidenti rispetto a qualunque teoria politica elaborata in seno alla tradizione politica maschile. L’ironia sta nel fatto che l’intero movimento femminista sarebbe divenuto molto più forte se avesse assunto la nostra proposta politica “salario per il lavoro domestico” (incluso il lavoro di cura), piuttosto che assumere, senza saperlo, la strategia Leninista della lotta per il lavoro all’esterno come mezzo per assicurare il salario alle donne. Ma fu molto difficile raccogliere consensi per i “comitati per il salario al lavoro domestico” , in quanto le femministe pensavano fosse meglio rifiutare il lavoro domestico in toto e lasciare le mura domestiche.

In questo periodo, noi femministe operaiste non siamo state in grado di convincere l’intero movimento femminista che il rifiuto del lavoro domestico doveva essere inserito in un processo di contrattazione del salario, altrimenti sarebbe ritornato in altro modo a fianco del lavoro fuori casa , lavoro che stavamo allo stesso tempo cercando di combattere. In altre parole, il movimento femminista non incluse, nel suo programma politico generale, il nostro obiettivo di ottenere riconoscimento a livello sociale del valore del lavoro domestico, rivendicando che fosse pagato. La strategia che le femministe adottarono fu semplicemente di invitare le donne a rifiutarlo. Ma qualche tempo divenne chiaro che tale strategia era inefficace, perché incapace di far scomparire il lavoro domestico su una scala di massa.

Il movimento femminista ha avuto il grande merito di dare alle donne un generale  potere contrattuale a livello sociale. Tuttavia, come abbiamo anticipato, il problema del lavoro domestico non è scomparso dall’agenda politica delle donne.

Ad oggi, sfortunatamente, una riflessione sul fallimento di questa strategia ancora non è stata fatta. Le nuove generazioni di donne hanno bisogno di trarre insegnamento da questo errore politico e di comprendere che il lavoro domestico, nei suoi aspetti materiali e immateriali, deve essere riconosciuto come lavoro produttivo.

Traduzione di Margherita Croce

 

 

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