Dall’ “union nationale” all’unione politica….

Dall’“union nationale” all’unione politica: per l’emancipazione di tutti

di GIOIA SALZANO

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Union nationale. Dalla scorsa settimana, sono queste le due parole che inondano i giornali d’oltralpe e si affollano rumorose sulla bocca di politici, della destra come della sinistra mainstream.
Due parole che chiamano in causa un sentimento presentato come antico, profondo, primordiale, irresistibile: quello della francesità e dell’immancabile ancoraggio della Francia tutta alla République.
Tralasciando le ipocrite marce della politica mondiale e le conseguenti strumentalizzazioni partitiche, sarebbe bene interrogarsi a mente lucida su cosa si celi dietro il reiterato ed irresistibile richiamo alla nazione ed ai valori repubblicani. Se da un lato quest’accorato appello appare valicare le colorazioni politiche e raccogliere un’unanime accettazione politica e mediatica, dall’altro non riesce a nascondere la propria problematicità, incarnata da chi dalla République non si sente rappresentato ma oppresso.
La Francia è generalmente considerata un paese multietnico e multiculturale. Il suo punto di forza, si dice, è la riconduzione della diversità che storicamente la compone ad un unico corpo politico, sul quale troneggiano i sacri principi repubblicani dell’universalismo e della laicità. Paradigmi, questi, in base ai quali per essere cittadini francesi non contano le origini, non conta il credo religioso né hanno peso le differenze culturali: a contare è la partecipazione alla volonté générale che travalica appartenenze e convinzioni per convergere verso l’interesse comune.
E’ questo il mito del creuset français: l’égalité innerva i particolarismi, li pone sullo stesso piano e li dissolve nel sacro universale, componendo la trama dell’identità francese. In teoria.
In realtà, il modello repubblicano vive da anni una crisi profonda. Non ha generato l’integrazione prevista dalla retorica del creuset, né tantomeno ha contemplato fattivamente la dissoluzione dei particolarismi in un vero universale, concretamente indifferente al colore della pelle ed alle origini.
Al contrario, la République non ha fatto che produrre una demonizzazione delle differenze che, saldatasi alle dinamiche del capitale globalizzato promosse dalla controrivoluzione neoliberista, si è tradotta in una fitta rete di diseguaglianze che da identitarie divengono economiche, sociali, politiche, territoriali. La costante produzione e riproduzione di un sistema sociale gerarchizzato in base alle origini nega qualsiasi retorica sull’unità nazionale e sull’uguaglianza dei cittadini, conducendoci dritti al cuore delle ragioni delle contraddizioni ( e della crisi) della République e del modello di integrazione francese: le origini coloniali della Repubblica francese.
Il modello repubblicano ed i suoi principi sono infatti inscindibilmente legati al passato coloniale della Francia: è attraverso l’esperienza coloniale che se ne sono legittimati i principi, i quali a loro volta giustificavano la colonizzazione francese, in un intricato ed inscindibile rapporto di co-determinazione.
In quest’ottica, la Francia non è stata semplicemente uno stato coloniale: è la Repubblica stessa, intesa tanto sul piano materiale di sistema basilare e complessivo di organizzazione politica che su quello simbolico delle rappresentazioni della nazione, ad essere inevitabilmente intrisa delle dinamiche coloniali. Ma c’è di più: l’immaginario nazionale che si è andato producendo tramite il legame di co-determinazione tra République ed impresa coloniale, genera l’idea di un “destino di conquista”, legittimato da principi che si presentano come universali e, dunque, inevitabilmente superiori, dando così corpo alla grande narrazione del génie français e della missione civilizzatrice. Tale impianto è alimentato da una gerarchizzazione razziale che diviene il cuore dei dispositivi repubblicani coloniali ed il sostrato legittimante sia l’impresa coloniale che le rappresentazioni nazionali ad essa correlate.
L’Impero e la colonia, dunque, permettono la produzione dell’identità della metropoli sulla base di un rapporto di inferiorizzazione dell’Altro colonizzato; il naturale corollario è che la difesa della nazione verte inevitabilmente sulla riproduzione del meccanismo dicotomico che ne ha permesso la rappresentazione e specificamente sulla riproposizione di una disuguaglianza di fatto tra colonizzati e colonizzatori e, oggi, tra francesi de souche e immigrati o francesi issus de l’immigration.
Il tanto invocato modello repubblicano, intriso di retaggi coloniali, ha quindi riprodotto ed amplificato le contraddizioni che lo contraddistinsero durante il colonialismo nello spazio urbano della metropoli contemporanea, mutata dai flussi migratori e dalle nuove generazioni dei figli degli immigrati, generando le stesse dinamiche di esclusione ed inferiorizzazione: la ghettizzazione razzializzata e razzializzante degli immigrati nelle banlieues, la guerra tra memorie storiche opposte, la radicalizzazione dei movimenti nazionalisti, il razzismo istituzionale, la demonizzazione ingiustificata delle minoranze, l’islamofobia dilagante, sono solo alcuni degli esempi che rendono evidente come esista in Francia una “frattura” tra francesi, e come questa li divida in base alle origini.
Ed infatti l’osservazione empirica della realtà sociale dell’Esagono degli ultimi 30 anni ci restituisce l’immagine di un paese lacerato da crisi e fratture, le quali vedono scontrarsi da un lato il braccio armato dello Stato e la sua “nuda violenza” incarnata dalla polizia e dalle dinamiche securitarie e dall’altro le costanti rivendicazioni su base identitaria; la marcia dei beurs degli anni ’80, o i più recenti riot delle banlieues del 2005 che per settimane misero a ferro e fuoco le periferie francesi dimostrano bene l’ampiezza del problema.
La retorica dell’universalismo repubblicano ed il mito del creuset, dell’unione nazionale, tentano in maniera sempre più fallimentare di rimuovere o nascondere le aporie che caratterizzano lo spazio sociale francese; sono strumenti obsoleti di un modello d’integrazione in crisi, perché concepiti in epoca coloniale ed ancora ancorati alle concezioni razziali che ne giustificavano la violenza simbolica e materiale.
In questo contesto, il richiamo ai sentimenti repubblicani genera più tensioni di quante sono quelle che pretende risolvere; la République, che si dichiara neutra dinanzi le differenze, in realtà non fa che produrle, inscrivendole in logiche di discriminazione sociale e segregazione spaziale assicurate attraverso lo strumento dell’ordine securitario.
Ma torniamo ad oggi: si è letto come gli appelli all’unità nazionale abbiano fatto poca presa su alcune fasce della popolazione francese ed in particolare nei quartieri a rischio, mentre buona parte della stampa si sia affrettata a proporre una nuova edizione dello scontro di civiltà, rappresentando una divisione binaria tra un noi chiuso, entropico, impermeabile, ed un loro minaccioso e sempre proteso ad attentare l’union nationale. Leggiamo di come i musulmani di Francia siano stati costretti a “dissociarsi” dagli attentati, come se la barbarie fosse un carattere immanente all’Islam e di come in pochi giorni gli attentati contro le moschee e le aggressioni su base islamofobica si stiano moltiplicando. Siamo qui nuovamente alle prese con gli effetti della stantia logica dicotomica intrisa di colonialismo rappresentata dall’opposizione tra civiltà e barbarie, oggi incarnata nel preteso scontro tra Charlie e Muhammed. Ed è questo il segno inequivocabile di come l’unione nazionale tanto professata non sia che uno strumento retorico, non solo incapace di includere ed accogliere le diversità, ma foriero di separazioni, divari, fratture.
Infatti, nonostante i discorsi della stampa e dei partiti di estrema destra continuino nelle proprie crociate xenofobe nel classico tentativo di usare la paura per indurre un permanente stato di tensione e per giustificare le conseguenti misure repressive, non ha alcun senso parlare di guerra tra culture.
Ciò che deve essere assunto a prisma di riflessione della crisi francese è l’esistenza di una sproporzione, di un profondo divario, nella valutazione delle differenze che compongono la Repubblica francese, che produce “cittadinanze diseguali” sul piano dei diritti e dell’integrazione socio-economica non di rado confinate nel perimetro reale e simbolico dei quartieri a rischio.
Quello che dovrebbe essere al centro del dibattito pubblico (non solo francese) di questi giorni, è invece una seria e franca interrogazione sugli evidenti limiti della democrazia liberale, sulle sue dinamiche strutturali di marginalizzazione ed inferiorizzazione dell’alterità, sulla pratica di inclusione differenziale e gerarchizzata nel tessuto economico di alcune categorie ad opera delle leggi del neoliberismo e del capitale globalizzato, sulla nuova esplosione dei razzismi che incendia l’Europa, sui ghetti razzializzati alle porte delle nostre metropoli.
Perché gli attentatori di Parigi sono cresciuti contemporaneamente nel cuore dell’Europa e al di fuori di essa, in un nonluogo, quello della banlieue, che crea spazi di non diritto e di esclusione sociale, economica, etnica. E che hanno trovato in un Medio Oriente sconvolto da anni di politica scellerata una buona base d’addestramento.
Riflettere su questi fattori non significa riproporre uno sterile mea culpa della civiltà occidentale, ma entrare nei suoi meccanismi economici e sociali, trovare le falle, comprenderle, elaborare soluzioni politiche alternative. A queste crisi si deve rispondere non con il mito falso e retorico di una pretesa (ed inesistente) unione nazionale, ma con più diritti, più uguaglianza, più integrazione, maggiore distribuzione della ricchezza.
La riflessione di questi giorni dovrebbe concentrarsi su come sostituire alla finta unione nazionale una reale unione politica di donne e uomini, come si accenna nell’appello degli Indigènes de la République, che parta dalle condizioni di marginalità ed esclusione per promuovere un percorso di creazione del comune proteso all’emancipazione della società concepita nella sua composizione plurale e meticcia.

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