L’ “Impero per sé”
di Elisabetta Teghil
Il capitalismo nel suo processo di espansione è approdato al neoliberismo con i relativi processi di globalizzazione che comportano la ricerca di una nuova strutturazione del modo di produrre e dell’organizzazione capitalistica del lavoro.
Gli Stati Uniti, in questo processo, si propongono come “Impero per sé” e pertanto entrano in rotta di collisione con gli imperialismi che pure esistono e sono il risultato più compiuto del principio dello Stato-Nazione.
Gli Usa si presentano e vogliono imporsi come proposta imperiale unilaterale e per questo tendono a superare e a distruggere le sovranità nazionali e a relegare gli imperialismi di vecchia scuola ad un ruolo regionale. Per fare questo possono contare sulle aristocrazie locali, cioè sull’iper-borghesia o borghesia imperialista che non si riconosce più nello stato-nido in cui era nata, ma negli interessi delle multinazionali che sono per lei l’unico valore di riferimento.
In pratica e in definitiva, la diffusione e l’imposizione del modello neoliberista si risolve nella naturalizzazione del modello statunitense.
Da qui le aggressioni militari sempre più ravvicinate e lo spostamento del ruolo della guerra che diventa l’occasione per una ridefinizione della storia. Per questo gli Usa possono contare su di un apparato che è diventato uno strumento che le multinazionali utilizzano per il raggiungimento dei loro obiettivi.
Gli Stati Uniti hanno il primato nel campo militare, culturale, tecnologico e tutto questo non è al servizio del loro paese, inteso come comunità e pertanto dei cittadini/e tutti/e, o, almeno, di gran parte di essi o, comunque, di una porzione di essi, ma solo e soltanto al servizio delle multinazionali anglo-americane.
Da qui il ruolo di alleato dell’Inghilterra e quello di vassalli dei restanti alleati occidentali.
A questi ultimi sono lasciate due opportunità, o il tentare una qualche forma di resistenza in questa o in quella occasione o un consenziente servilismo.
L’ultima prova provata l’abbiamo nelle vicende ucraine dove gli interessi europei e, per parlare delle vicende di casa nostra, quelli italiani, non coincidono con quelli statunitensi, eppure sono state adottate sanzioni che di fatto si riflettono pesantemente sull’economia dei paesi europei, Italia compresa.
E’ chiaro che in Ucraina c’è stato un colpo di Stato, al governo ci sono i nazisti che contano e tanto, ma l’obiettivo è la Russia. La guerra mondiale, per stare alla scansione storica sarebbe la terza, è messa in preventivo, è, addirittura, data per scontata perché il capitale, per sua natura, dalla guerra non può prescindere, tanto meglio se mondiale, perché è un volano dell’economia, perché permette di ridefinire gli assetti geopolitici, perché trasformerebbe la Russia in un fornitore di materie prime e la Cina in una grande fabbrica a basso costo e l’una e l’altra in un mercato per le tecnologie occidentali.
Gli USA annullerebbero, così, il loro enorme debito e i paesi occidentali dirotterebbero le istanze sociali, le lotte di classe nella fornace della guerra.
Per fare questo, lo strumento privilegiato è la Nato, sigla magica dietro alla quale si nasconde l’esercito statunitense, mentre gli eserciti nazionali sono chiamati ad un ruolo di supporto e a diventare polizia interna agli Stati. Questo è il senso della richiesta sempre più pressante degli Stati Uniti perché gli eserciti nazionali si modernizzino, naturalmente acquistando materiale bellico statunitense e perché, con una volontaria sottomissione, partecipino alle varie alleanze aggressive e alle avventure militariste promosse dagli stessi Stati Uniti, magari con i nomi più accattivanti.
Questo quadro, che non è un’ipotesi, ma è una lettura degli avvenimenti ravvicinati e incalzanti che si stanno susseguendo, mette al primo posto la necessità dell’uscita dell’Italia dalla Nato perché, prima ancora che una professione ideologica o un’opzione politica, è una necessità di sopravvivenza.
Scelta difficile da far passare dato che abbiamo a che fare con collaborazionisti miopi che non si rendono conto che un’eventuale guerra oggi non riguarderebbe più solo i militari o alcune aree geografiche, ma coinvolgerebbe tutto il paese compresi quelli che pensano di essere al sicuro. E sappiamo altresì che gli USA sono privi di scrupoli nel diffamare e magari provocare incidenti nei confronti di chi si oppone alle loro mire.
Ed, ancora, conosciamo bene il ruolo di Ong…. Fondazioni…. Centri Studi……. che, dietro una presunta neutralità e asetticità di temi indagati e ricerche nobilissime, non sono altro che, attraverso una filiera di sovvenzioni, riconducibili al Pentagono.
Nell’”Impero per sé” aree di mercato omogeneamente organizzate sono auspicabili ma devono essere gerarchizzate dentro lo sviluppo del comando imperiale statunitense. Questa è l’Europa che interessa loro, questo è il senso dei trattati internazionali.
Ogni affermazione di autonomia di un imperialismo regionale diviene un limite interno alla potenza americana e come tale va rimosso. Da qui la gestione unilaterale della guerra contro il “terrorismo” da parte degli USA e la guerra, a vario titolo, contro i contrafforti regionali che si organizzano al di fuori dell’”Impero per sé”, sia che si chiamino Cina, India, Russia, America latina o Europa, magari condotta attraverso la guerra del petrolio e dell’energia, l’attacco al rublo e all’euro, il tutto ammantato dalle vesti democratiche del pinkwashing, dei diritti umani violati, della tutela delle minoranze o delle donne, della superiore civiltà.
Le comunità, anche quando si manifestano come potenze regionali e/o imperialiste devono piegarsi al disegno della sub-organizzazione imperiale, ovvero presentarsi come realtà decentrate della piramide imperiale.
Da qui l’attuale caos politico-militare provocato dall’azione dell’unilateralismo americano e l’urgenza da parte dello stesso di una nuova configurazione di legittimità.
La fine della guerra fredda di per sé non ha risolto nulla, tanto meno il conflitto di classe che, sia pure in trasparenza, era implicito.
L’Inghilterra gioca il proprio ruolo di alleato privilegiato nella politica finanziaria e militare degli Usa, mentre i paesi europei guardano con sospetto la supremazia continentale della Germania unificata. Ma l’alleanza anglo-americana è sancita e benedetta dal nuovo modo di produzione capitalistica ed è un matrimonio d’amore che si consuma nei consigli di amministrazione delle multinazionali, luoghi dove la fabbrica fordista si è trasferita nei paesi del terzo mondo e si è dissolta nella società post-fordista dei paesi occidentali.
Il vangelo è l’ideologia neoliberista che ha sconvolto i parametri tradizionali della scienza politica, del diritto pubblico e internazionale e vuole fissare su condizioni immutabili il dominio dell’ “Impero per sé” come Stato del capitale.
Pertanto accentua le caratteristiche proprie degli Stati Uniti come stato capitalistico, conservatore, reazionario, offrendo al mondo soggiogato con le buone o con le cattive il pensiero unico del neoliberismo.
L’unilateralismo americano è cominciato nel ’71, con la fine degli accordi di Bretton Woods, fine che determinò una pesante situazione di sudditanza internazionale al dollaro e che si rafforzò nel 1989 con la scomparsa dell’anomalia sovietica nell’economia mondiale.
Quindi bisogna recuperare le determinazioni classiste mai venute meno (perché la lotta di classe è stata portata avanti in maniera coerente, continua e a tutto campo solo dall’iper-borghesia) e rompere definitivamente i legami atlantici. Bisogna dare un senso comune ad una lotta che contrasti il verbo neoliberista che non è altro che il disegno globale dell’impero americano e che sia capace di esprimere valori che si oppongano alla pretesa monocratica della gestione sociale militaristica del mondo.
Una rottura con tutto quello che veicola le decisioni capitalistiche statunitensi e a tutto campo, comprese le politiche monetarie e tale condizione non riguarda solo l’Europa ma anche altri sistemi regionali a partire dall’America latina ricomposta attorno al Brasile e all’Argentina.
A fronte di un progetto strategico, che non può che definirsi globale e cosmopolitico, serve alleanza e forme di resistenza di tutti quelli che si oppongono al neoliberismo. Resistenze ideologiche, lotta che in definitiva è contro i golpisti neoliberali perché anche di questo si tratta. Di fatto in un modo, nell’altro o nell’altro ancora, la naturalizzazione del neoliberismo comporta un paese impregnato di valori e pratiche fasciste, militariste, poliziesche.
La globalizzazione incide su tutta la realtà e tutte le realtà, costituisce una trama mondiale, l’impero come struttura. Ma il rapporto imperiale che non è altro che il rapporto sovrano del capitale non è mai concluso definitivamente, checché ne dicano i teorici della fine della storia, ma innesca nuove contraddizioni che si innestano sulla base della produzione di vita materiale.
Tutti gli spazi della produzione ora sono impiantati su sistemi che hanno perso ogni coloritura nazionale e camminano sulle gambe dell’iper-borghesia che interviene nei singoli paesi in maniera concreta per la ristrutturazione e la ridefinizione del comando, del potere politico dell’impero e nell’impero.
L’uccisione di J.F.Kennedy ha rimosso la dimensione della mediazione politica, la fine degli accordi di Bretton Woods ha tolto i lacci della conversione del dollaro in oro, il pretesto dell’11 settembre è il colpo di Stato che tenta di riportare direttamente il comando dell’impero alle strutture di governo americane.
La realizzazione della globalizzazione è la realizzazione della sovranità imperiale intesa come dominio delle multinazionali anglo-americane sotto la veste politica dello Stato del capitale, gli USA. I problemi che nascono dalla resistenza degli Stati-Nazione e dei coaguli contro-imperiali, magari paesi asimmetrici o imperialismi regionali, cioè in pratica, i problemi irrisolti, vengono affrontati con la guerra intesa come creatrice d’ordine, un nuovo ordine, rispetto ad ogni forma di antagonismo. La guerra è diventata l’elemento fondamentale della riorganizzazione, da parte del neoliberismo, del potere politico.
L’accelerazione neoliberista, cioè americana, alla guerra come giustificazione per l’ordine e la sicurezza non può che trovare una risposta nella lotta di classe contro il potere del capitale.
In questa situazione, l’Italia, finora attardata, con l’aggressione alla Libia e l’imposizione del governo Renzi ha avuto un’accelerazione nel suo processo di realizzazione e di ricomposizione dell’assetto capitalistico. Da qui l’adesione, non acritica, ma voluta alle sperimentazioni blairiane intorno alle quali si è definita una “sinistra” che vuole e deve realizzare il disegno padronale, non delle componenti sconfitte storicamente, ma di quelle vincenti delle multinazionali.
Per produrre il capitalismo globale e la sovranità imperiale, lo Stato ha bisogno di controllare la nostra intera esistenza. Su questo terreno si determinano i criteri, sempre più pesanti, della vita attraverso lo smantellamento dello stato sociale, la repressione, la gerarchizzazione e il blocco della mobilità sociale in una trama che allarga la platea dei poveri e rende i poveri sempre più poveri.
Dentro questo processo siamo tutti/e più poveri/e, non solo economicamente, non solo culturalmente e socialmente, ma siamo ridotti/e alla condizione di esseri soggetti ad uno sfruttamento totale. E’ proprio dentro questo comune sfruttamento divenuto globale che c’è in nuce la possibilità e la necessità di organizzarsi, di esprimersi e di realizzarsi.
L’ “Impero per sé” impone un rapporto di dominio e un dispositivo continuamente attivato per determinare divisioni, gerarchie, lotte interetniche e religiose e pertanto la guerra produce un costo che non può che generare nuove forme di tassazione fino ad arrivare ad un vero e proprio sequestro dei beni dei cittadini. Da qui il motivo, e non potrebbe essere altrimenti, dell’aumento delle tasse, dell’utilizzo vampiresco delle strutture esattoriali e dello smantellamento dello stato sociale.
In pratica il potere unilaterale dell’Impero non ha possibilità di realizzarsi se non attraverso la produzione di guerre, catastrofi umanitarie e ambientali.
Nell’agenda politica degli Stati Uniti, che è un’agenda globale, è previsto uno scontro non di breve periodo, non superficiale, nei confronti di tutte le soggettività altre o asimmetriche, scontro di natura militare, finanziaria e commerciale. Questo vale anche per gli alleati storici se non si mettono in riga con il mutato quadro generale e se non manifestano nelle parole e nei fatti fedeltà agli Usa, cosa che si traduce in sottomissione alle mire imperiali.
In definitiva il neoliberismo è il disegno globale dell’Impero americano.
La struttura a rete dell’Impero include non solo gli Stati-Nazione dominati, ma numerosi altri poteri sovranazionali come FMI, WTO….. e tutti sono al servizio delle ambizioni imperialistiche degli USA che vogliono governare unilateralmente il sistema globale.
La dottrina statunitense della sicurezza e dell’attacco preventivo si manifesta con la pretesa esenzione dalla legge e dagli accordi internazionali e con l’arroganza nel trattare non solo i paesi altri, ma anche quelli che, di questo progetto, sono partecipi fino a relegare tutto e tutti al rango di maggiordomi con la pretesa di affermarsi come monarchia assoluta per volontà divina.
L’ “Impero per sé” e il neoliberismo possono mantenersi solo e finché l’uno sostiene l’altro e l’uno non può prescindere dall’altro e questa non è più una scelta, ma una necessità.
Il fatto che, oggi, questa, sia una tendenza che non si è realizzata compiutamente non toglie niente alla validità dell’analisi. Marx quando analizzò la società capitalistica che pure si estendeva solamente ad una pare dell’economia britannica, riconobbe le caratteristiche proprie e tendenziali del capitale e quindi analizzò una società complessivamente capitalistica.
Per questo è necessario analizzare l’”Impero per sé” e il neoliberismo oggi per essere in grado di contrastarlo domani, anzi, magari, da subito.