“Neanche se la mucca tossisce” … La sfida elettorale di Dilma, voto a voto, in Brasile
Di Adriana Bernardotti (Buenos Aires)
Il mese di ottobre ci presenta tre importanti appuntamenti elettorali in America del Sud – Brasile, Bolivia e Uruguay -, dai cui risultati possono derivare spostamenti negli assetti regionali e internazionali non positivi per la sinistra. Il pericolo maggiore è quello del Brasile, dove la rielezione di Dilma appare minacciata dalla carismatica, ma indefinibile candidata del PSB, Marina Silva. Nel tratto finale della campagna elettorale Dilma va all’offensiva per difendere i bastioni conquistati per le classi lavoratrici e per i più umili del Brasile negli anni di governo del PT (2003-2014).
Il BRASILE apre il calendario il prossimo 5 ottobre. La grande sorpresa della politica brasiliana è l’astro nascente Marina Silva, che ha sconvolto lo scenario politico quando, lo scorso agosto, ha “ereditato” la candidatura presidenziale del Partito Socialista Brasiliano (PSB), per la morte in un incidente aereo del leader Eduardo Campos, portando questo partito da potenziale alleato del PT a suo principale avversario.
La storia della Silva ha tutti gli ingredienti del romanzo, come quella di diversi altri leader sudamericani che partono dalla miseria per raggiungere la guida del paese. Donna nera, cresciuta in una famiglia di seringueiros (gli sfruttati raccoglitori di caucciù) nelle selve amazzoniche – dove ancora abita il padre – e analfabeta fino i 16 anni, riesce comunque a diventare una pedagogista, una militante ecologista e una pastora evangelista. Anche la sua traiettoria politica è originale: inizia accanto a Chico Mendes, passa dal PCR (Partito Comunista Rivoluzionario) e approda nel PT, dove milita per 25 anni diventando ministra dell’Ambiente di Lula da Silva.
Nel 2010 rompe con il PT per concorrere nella campagna presidenziale per il Partito Verde, guadagnando a sorpresa il terzo posto e costringendo Dilma al secondo turno elettorale. Nel febbraio 2013 lancia “La Rete”: un nuovo movimento che si definisce “né di destra, né di sinistra”, che si propone come alternativo al monopolio della politica da parte dei partiti politici, e che ha come fondamento la partecipazione attraverso le reti sociali, nello stile del M5S.
“La Rete” riesce subito a capitalizzare lo scontento, soprattutto giovanile, che si è espresso nelle enormi manifestazioni di San Paolo e altre città brasiliane a luglio scorso; Marina, tuttavia,non riesce ad ottenere l’iscrizione del suo movimento per le elezioni 2014 ed è costretta ad associarsi allo PSB del quale, per un colpo del destino, oggi risulta candidata. In pochissimo tempo sale nei consensi fino a diventare l’unico rivale capace d’incalzare il PT e costringendo al terzo posto Aecio Neves, candidato del conservatore Partito Socialdemocratico (PSDB).
Di fronte a questo mutamento dello scenario politico, tutta l’opposizione (a Dilma) sta dando segnali d’appoggio per un eventuale secondo turno elettorale. Un’indagine dell’Istituto Datafolha , incrociando scelta elettorale e orientamento politico degli intervistati, ha rivelato che in un eventuale ballottaggio sceglierebbero Marina gli elettori della destra (49% contro il 35% a Dilma) e del centrodestra (50% contro il 38% all’attuale presidente). Dilma vince comodamente tra gli elettori di sinistra (50% a 43%), ma sorprendentemente è la sua rivale ad essere la preferita tra gli elettori di centrosinistra (47% a 45%) e centro (48% a 43%).
Marina è la favorita della classe media emergente che vive in grandi città come San Paolo o Rio; mentre Rousseff rimane saldamente davanti nel segmento più povero dell’elettorato e nella popolazione delle zone rurali. La sfidante ha anche il sostegno delle chiese evangeliche, di enorme potere in Brasile per quantità e dedizione dei suoi fedeli. E’ la preferita anche delle nuove generazioni, una massa di circa 45 milioni di cittadini formata da giovani tra i 16 ei 33 anni, più istruiti rispetto alla generazione precedente, che sono stati protagonisti delle proteste degli indignados. Per il sociologo Ruy Brava “lei è riuscita a identificarsi con il sentimento plebeo che alimenta il ciclo di lotte sociali aperto dalle giornate di luglio, sfruttando il desiderio di progresso professionale e ampliamento dei diritti civili. Una scia che proviene direttamente dall’esplosione delle strade dello scorso anno. Infine, non dobbiamo dimenticare che la stragrande maggioranza dei milioni di giovani che sono stati inseriti nel mercato del lavoro negli ultimi dieci anni e che ricevono poco più del salario minimo, è formata da donne non-bianche. L’identificazione con un candidato di sesso femminile, nero, povero e lavoratore, non è casuale”.
Fino a una decina di giorni fa i sondaggi pronosticavano una disfatta di Dilma. Il Governo ha dovuto fare fronte all’enorme caso di corruzione politica denunciato dalla stampa d’opposizione attorno all’impresa Petrobras, uno scandalo che coinvolge il PT ma anche altri partiti politici. L’impresa del petrolio a maggioranza statale è strategica per lo sviluppo industriale brasiliano e la politica energetica è un punto caldo del dibattito elettorale. Con i governi PT, Petrobras è cresciuta dodici volte e produce royalties che si investono in salute ed educazione. E’ obiettivo del Governo raggiungere presto l’autonomia energetica, grazie ad un’innovazione tecnologica brasiliana che consente l’estrazione di petrolio in acque profonde (fino a 2000 metri). Marina propone invece di modificare la matrice energetica del Brasile e ha trovato nel caso Petrobras tutti gli ingredienti e le bandiere per conquistare i giovani e le classi medie progressiste: difesa dell’ecologia e antipolitica.
Dilma però sta dimostrando di avere buoni riflessi. Ha reagito attaccando la rivale sulle inconsistenze del suo programma elettorale ed è riuscita a rimontare velocemente posizioni in una campagna contesa voto a voto, nella quale il PT deve combattere contro il monopolio dei media da parte degli avversari. Gli ultimi sondaggi danno tra il 36-38% a Roussef e tra 29-30% a Silva nel primo turno del 5 ottobre: una differenza importante ma non sufficiente per evitare il ballottaggio (26 ottobre), nel quale le due candidate pareggiano (41%) secondo l’inchiesta (Ibope). Per vincere al primo turno, un candidato deve ottenere più della metà dei voti validi o un voto in più di tutti i suoi avversari uniti: si tratta di un’ipotesi che finora prevede soltanto uno dei rilevamenti (Vox Populi), ma che diventa fattibile se continua la tendenza alla ripresa del PT (ha ricuperato 10 punti in un mese e mezzo!).
La campagna elettorale si gioca colpo su colpo nei media, scandita dai dibattiti TV settimanali dove si confrontano tutti i candidati presidenziali sulle proposte di governo. Con un Programma che vuole accontentare tutti, Marina entra inevitabilmente in contraddizioni. Ha dovuto fare marcia indietro sul matrimonio omosessuale ed evita esprimersi sulla questione dell’aborto perché – punta il dito Dilma – è una “fervente evangelista”. La Presidente ha promosso l’anno scorso la distribuzione, da parte del sistema sanitario, della pillola per l’interruzione di gravidanza farmacologica per le vittime di violazione, norma contestata dalle chiese.
Marina non ha saputo rispondere a Dilma alla domanda su come avrebbe fatto per conciliare la politica economica ortodossa che promette ai capitalisti – dare indipendenza alla Banca Centrale e rigida disciplina fiscale -, con l’espansione dei programmi sociali, con le politiche per promuovere alloggi a prezzi accessibili, con l’incremento dell’occupazione e l’aumento dei salari al di sopra del tasso d’inflazione, come avviene con i governi del PT.
La sfidante socialista ha come coordinatrice di programma di governo, Neca Setúbal, l’erede della Banca Itaù, e conta con il supporto di gran parte del settore finanziario. L’indipendenza della Banca Centrale è diventata quindi un punto nodale del programma economico. La riforma richiede un emendamento costituzionale che dia all’organismo la capacità di condurre la politica monetaria in autonoma dagli altri poteri e che conceda ai suoi amministratori mandati di lungo termine. Oggi l’organismo è, con uno status speciale, sotto il Ministero delle Finanze e il suo presidente ricopre la carica di ministro. Per il PT, l’indipendenza porrebbe problemi di legittimità democratica e di coordinamento economico: “La banca centrale, come qualsiasi altra istituzione, non può essere eletta da tecnocrati e banchieri. Deve avere direttive da chi è stato direttamente votato, dal Congresso”, dice Roussef. L’indipendenza è un attributo dei tre rami di governo: concedere autonomia alla Banca, sarebbe come creare un “quarto potere dei banchieri”, ha aggiunto senza ambagi.
Un’altra gaffe che ha reso evidente le influenze della destra, è stata quando la candidata socialista ha parlato della necessità di “aggiornare” la legislazione sul lavoro, seguendo i consigli del professor Giannetti da Fonseca, l’economista liberale portavoce della Federazione di Industriali di São Paulo (FIESP). “Io non cambio i diritti del lavoro nemmeno se la mucca tossisce” – è stata la ferma risposta di Dilma utilizzando una colorita espressione brasiliana (“nem que a vaca tussa” ): “parlo delle ferie, della tredicesima, degli straordinari, del fondo di garanzia per anzianità di servizio”.
In effetti, è soprattutto in un altro scenario, quelle delle strade, dove Dilma potrebbe riuscire a fare la differenza. Gli attivisti sono allenati, perché hanno appena raccolto 8 milioni di firme nella campagna a favore di una riforma costituzionale che elimini il finanziamento privato nelle competizioni elettorali. Il PT ha lanciato questo weekend la campagna “Nemmeno se la mucca tossisce”, un insieme di manifestazioni organizzate da militanti, aderenti, sindacalisti, e attivisti sociali, nelle principali città del paese, per le quali si attende la partecipazione di due milioni di persone.
E’ l’ora di difendere le conquiste. La Federazione degli imprenditori vuole una riforma che vincoli gli incrementi salariali alla produttività e sollecita da tempo una normativa sull’esternalizzazione, fortemente contrastata dalle organizzazioni sindacali. “In Brasile, quando si parla di cambiare le leggi sul lavoro non è mai a beneficio dei lavoratori”, ha sentenziato Vagner Freitas segretario generale della CUT. “Il miglior esempio è stato Fernando Henrique Cardoso con il suo progetto di ‘aggiornamento’, la stessa parola usata da Marina, che ha cercato in realtà la completa deregulation”.
Marina Silva ha parlato anche della sua intenzione di avere come consigliere lo stesso ex presidente F.H.Cardoso (PSDB, 1995-2002), che così rientrerebbe al Palazzo di Planalto che ha lasciato nel gennaio 2003 con il 70% di rifiuto popolare.
“La vittoria dell’opposizione potrebbe significare una svolta nell’attuale politica estera brasiliana“, ha annunciato Cardoso nel suo recente viaggio a Washington come ospite del suo amico, il democratico Bill Clinton . Appunto, il corso della politica internazionale è un altro tema cruciale in questa campagna, che tiene in sospeso i paesi della Regione, in primo luogo l’Argentina. Secondo l’ex-presidente, ascoltato con attenzione nella politica e nei media degli Stati Uniti, “c’è una paralisi della politica estera … (perché) il cuore di molti funzionari del Governo è, per dirla in una parola semplice, ‘bolivariano’“, dice così alla CNN. Ancora: Dilma Roussef è reduce di una “visione terzomondista, modello anni ’60 – ’70, antiquata” della politica internazionale, che si traduce in “una sorta di complicità con le follie del governo argentino” che inibisce la firma di un accordo tra Mercosur e l’Unione Europea, dichiara al Miami Herald in un momento di dura guerra del vicino paese contro i fondi avvoltoi che vorrebbero portarla al default.
Marina ha sollevato la necessità di un “allentamento delle norme del Mercosur per poter chiudere accordi di libero scambio, aldilà di quello attualmente in trattative tra il blocco sudamericano e l’UE” e la convenienza strategica di un riavvicinamento agli Stati Uniti. Le ha risposto il consigliere internazionale di Roussef Marco Aurelio Garcia, evidenziando l’importanza del commercio intra-Mercosur e il ruolo dell’Argentina come uno dei principali partner commerciali. Ci ha tenuto anche a ricordarle i motivi del raffreddamento dei rapporti bilaterali con gli Stati Uniti: le intercettazioni di comunicazioni tra Dilma e l’impresa statale Petrobras da parte di Washington, svelate con le accuse di spionaggio realizzate da Wikileaks nel 2013.
Su questo tema è tornata Dilma Roussef questo mercoledì, inaugurando l’Assemblea Generale dell’ONU davanti a Barak Obama: con i programmi di spionaggio “gli Stati Uniti hanno spaccato il diritto internazionale”, hanno violato i “diritti umani, la libertà civile e la sovranità”del Brasile, ha gridato. Ha espresso inoltre il suo stupore sul fatto che paesi amici possano spiarsi in modo intrusivo – come lo ha fatto l’agenzia di sicurezza americana associata ad altri servizi d’intelligenza alleati-, sollecitando le Nazioni Unite di proteggere gli utenti dallo spionaggio internazionale con finalità economiche e commerciali. Nessun altro leader occidentale ha avuto il coraggio di condannare pubblicamente in modo così netto l’amministrazione degli Stati Uniti e i suoi alleati, hanno riconosciuto i media britannici.