Più Stato, meno Stato
Elisabetta Teghil
http://www.sinistrainrete.info/societa/1592-elisabetta-teghil-piu-stato-meno-stato.html
“E’ importante affermare che non tolleriamo più le infrazioni minori. Il
principio di base sta qui nel dire: sì, è giusto essere intolleranti verso i
senza tetto nelle strade.”
( Tony Blair- The Guardian 10 aprile 1997)
La canonizzazione del “bisogno di sicurezza” è in correlazione diretta con l’accantonamento del diritto al lavoro, scritto nella costituzione, ma vanificato dal perpetuarsi della disoccupazione di massa e dalla crescente diffusione del precariato, cioè dalla negazione di ogni sicurezza di vita ad un numero sempre crescente di persone.
La parola sicurezza ha, così, subito un profondo cambiamento semantico.
Così come la versione neoliberista della società è nata negli Stati Uniti, anche la teoria della “tolleranza zero” è nata lì. E l’una, la tolleranza zero, è figlia naturale dell’altro, il neoliberismo.
Questa nuova figura politico-discorsiva della “sicurezza” è di tutti i paesi dell ‘Europa occidentale e accomuna la destra più reazionaria con la “così detta sinistra” di opposizione e/o di governo. Il primo risultato è stato quello di instaurare un apparato penale tanto
multiforme quanto iperbolico.
I teorici del “meno Stato” per quanto riguarda le prerogative del capitale, l’impiego della manodopera, lo stato sociale, esigono contemporaneamente “più Stato” in una repressione a tutto campo e senza confini, pensando, così, di dissimulare e contenere le conseguenze deleterie delle peggiorate condizioni economiche e sociali della manodopera, dei ceti medi, dei lavoratori cognitivi.
I Think Tank neoliberisti e i loro megafoni mediatici e politici teorizzano e hanno fatto passare, nei confronti di tutta una miriade di comportamenti, alcuni ascrivibili come reati minimi, altri soltanto come scelte fuori dalla norma quali l’ubriachezza, i rumori molesti, depositare rifiuti fuori posto o magari rovistarci, la mendicità, l’offesa al pudore, il vaneggiare, l’urinare per strada, le scritte sui muri e per terra, la prostituzione, l’abbigliamento succinto, non avere casa e vivere all’aperto, hanno fatto passare, dicevamo, il concetto che tutti questi sono buoni motivi per essere fermate/i e/o arrestate/i.
Il fermo e l’arresto sono l’inizio di una via crucis fatta spesso di pestaggi e, qualche volta, di morte.
Recepire questo modo di affrontare i problemi della” microdelinquenza” e di scelte personali anomale alla lettura dei più, ha un precedente illustre nelle pratiche penali ultra repressive in materia di stupefacenti. Anche queste importate dagli Stati Uniti.
L’idea guida è sempre la stessa: oggi fumano un po’ di erba, domani diventeranno consumatori di droghe, oggi rubano al supermercato, domani diventeranno rapinatori…..
Ma, in questa società basata sulla scientificità, presunta neutrale, che è strumento per far passare e far dimenticare che le scelte sono sempre politiche, non possono mancare le ricerche: ricercatori e ricercatrici, esperti/e e specialisti/e che si prestino, si trovano. Si mette sù una finta ricerca, su un finto oggetto, interamente precostituito, in base alle tesi politico-economiche ed avallato da dati spigolati qua e là, dove fanno comodo, e da rapidi sopralluoghi sui posti della ricerca stessa. Attraverso scambi, interventi e pubblicazioni di carattere universitario, reale o simulato, i traghettatori intellettuali formano le nuove categorie, stravolgono i luoghi comuni semantici .Pertanto, queste pseudo ricerche si focalizzano soprattutto sui giovani, ovviamente di origine operaia e/o immigrata .
Si fa passare per nuova, scientifica e neutrale, la vecchia e sempre utilizzata politica di pulizia/polizia classista che stabilisce l’equivalenza fra l’agire fuori dalla norma e l’essere fuori legge e prende di mira quartieri, soggetti, strati sociali che considera ed etichetta per principio. La povertà e l’emarginazione hanno una gestione poliziesca. E’ una società che
rinuncia a costruire posti di lavoro, ma crea sempre nuovi commissariati, aumenta gli istituti penitenziari e fa crescere in maniera esponenziale i costi per le polizie e l’esercito.
Intere aree geografiche, ambienti e ceti diventeranno colonie interne.
E, per quadrare il cerchio, mette in preventivo la brutalità poliziesca, la costruzione di un dispositivo giudiziario e mediatico tendente a discolpare in anticipo gli agenti implicati e la repressione delle sommosse così provocate.
Una volta si diceva che una società andava giudicata dal suo sistema carcerario ,ora è la società che è proiezione del carcere.
Il Panopticon è la nostra società. Il controllo non si cala più dall’alto, ma la pervade da dentro e investe tutti i momenti della vita.
Il PANOPTICON, carcere “ideale” progettato nel 1791 dal giurista Jeremy Bentham, è la massima realizzazione concettuale della struttura edilizia penitenziaria: un edificio composto da una torre centrale, all’interno della quale c’è chi controlla e sorveglia, circondato da una costruzione circolare dove sono disposte le celle con due finestre per ognuna. L’una rivolta verso l’esterno, l’altra verso l’interno. Questo permette ai guardiani di osservare in ogni momento i prigionieri, i quali non sono in grado di stabilire se sono osservati o meno e, nel contempo, non possono vedere i compagni di detenzione per via della distribuzione delle celle a cerchio.
I detenuti, secondo la “filosofia” che impregnava la costruzione del Panopticon, sapendo di poter essere osservati tutti insieme , in ogni momento, avrebbero assunto comportamenti disciplinati e mantenuto l’ordine in modo automatico.
Questo principio oggi non vale solo per i detenuti/e ma per tutti i cittadini/e
Una miriade di forme di controllo, telecamere, cimici ambientali, telefonini, lampioni intelligenti, nanotecnologie…..rastrellano una quantità enorme di dati sulle cittadine/i e li inviano alle centrali dove sono posti i guardiani-controllori.
Come le detenute/i del Panopticon non erano in grado di relazionarsi fra loro, così le cittadine/i spinte/i alla desolidarizzazione, in una società atomizzata, non sono più in grado di creare legami sociali.
La funzione della finestra esterna che serviva a far entrare solo la luce nella cella per far sopravvivere i ristretti, nella società oggi è assolta dal consumismo.
La società neoliberista, forma compiuta ed attuale di quella capitalista, ha come obiettivo finale la completa mercificazione dei rapporti sociali. Per questo, le politiche penali non sono qualcosa di marginale con cui regolare i rapporti con chi viola le leggi, ma sono complementari alle politiche neoliberiste.
Il neoliberismo teorizza e pratica la disoccupazione cronica, la normalità della precarietà, l’esclusione dai diritti di cittadinanza di chi è fuori dal mercato del lavoro. L’aumento dei poveri/e, dei /delle senza casa, dei/delle marginali, degli immigrati/e non è il frutto sgradito, l’effetto collaterale della politica neoliberista, ma ne è un’articolazione.
Da qui la teoria della tolleranza zero , il conseguente aumento della popolazione carceraria e la scelta tendenziale di privatizzare le carceri che diventano altro ambito di profitto.
Per questo è diventata importante la disciplina della forza lavoro e la gestione coatta del mercato occupazionale. Chi si oppone è espulso/a ed entra a far parte dell’universo degli esclusi/e che ha come probabile orizzonte il carcere.
Da qui la criminalizzazione delle lotte politiche, tanto più se antagoniste, e la delega di queste alle associazioni di categoria, tentativo in atto anche nei confronti del movimento femminista.
Il grimaldello che si usa per rompere la solidarietà degli oppressi, dei lavoratori, delle donne è il mito dell’individualismo.
Ognuna/o per sé e dio per tutte/i.
Ognuna/o” pensi” alla sua promozione sociale e alla carriera e l’impegno politico dovrebbe tradursi in un appello alla convivenza civile, una petizione di principio senza conseguenze se non quella di demandare la soluzione dei problemi ad un’improbabile buona volontà personale. In una società completamente permeata dal controllo, la sorveglianza invade, come mai in passato, i comportamenti di consumo, le scelte individuali sulla sessualità, la vita in genere.
Una volta, la polizia monitorava i dissidenti, magari gli oppositori politici e, qualche volta, gli avversari di partito dei governanti. Oggi controlla tutto e tutti e nessuno ne è al riparo, né i governanti, né quelli che sono casa e chiesa.
La polizia ,in tutte le sue articolazioni, ha acquistato indipendenza dalla politica ed un’importanza che non ha mai avuto.
Se le figure tradizionali del controllo si sono modificate in questa direzione ,anche i metodi si sono “aggiornati”.
Uno dei metodi più usati è quello di creare problemi per poi offrire le soluzioni. Si enfatizza un problema, quando non lo si inventa completamente, con lo scopo di creare una reazione dei cittadini che sia di avvallo alla soluzione già precostituita.
Uno per tutti è il problema della così detta “sicurezza”. Altro metodo molto utilizzato è quello di deviare l’attenzione dai temi più importanti attraverso il diluvio di informazioni insignificanti o fuorvianti. Poi, c’è la tecnica della gradualità per cui, passo dopo passo, il neoliberismo si è imposto attraverso le leggi che introducevano la precarietà, la flessibilità, salari che non garantiscono più vita dignitosa, tutti cambiamenti che, presentandoli separati gli uni dagli altri, è stato possibile far accettare. Poi, c’è la tecnica del pretesto: prendere spunto da questo o quell’avvenimento che colpisce l’opinione pubblica per veicolare scelte reazionarie e limitative delle libertà personali.
Un altro tassello è quello dell’autocolpevolizzazione del cittadino/a. Il disastro ambientale? Deve rendersi conto che è colpa sua perché consuma troppo( però deve consumare!), perché usa la macchina (che però deve comprare!).
E la tendenza è quella di far diventare ognuna/o guardiana/o di se stessa/o e delatrice/tore nei confronti delle altre/i.
Da tutto questo si possono trarre alcune considerazioni: che non c’è un fenomeno tipicamente italiano, che non dipende da un governo di centro-destra o di centro-sinistra, che in prima fila ci sono i socialdemocratici/riformisti comunque si chiamino, che tutto comincia negli USA e poi si irradia nel resto del mondo occidentale, che quando si parla di convivenza civile è una petizione di principio rivolta solo agli oppressi ed agli emarginati, che le associazione che ,a vario titolo, si relazionano con le istituzioni e vivono con contributi pubblici diretti e indiretti, hanno una funzione di “valeriana sociale” e che non dobbiamo contribuire a tutto questo chiedendo ,per questo o quel presunto buon motivo ,l’estensione delle pene e l’inasprimento delle stesse.
L’unico tipo di rapporto agibile con questo sistema è sottrarsi a qualunque forma di controllo, a qualunque titolo, rifiutare qualunque forma di collaborazione, neanche per motivi che possono sembrare” nobili”, smascherare le strumentalizzazioni, ricordarsi sempre che le leggi sanciscono un rapporto di forza, sono fatte dai più forti e destinate ai più deboli, non chiedere mai nulla, ma prendere quello che ci spetta.
Riaffermare la nostra autonomia e autodeterminazione , sottraendoci a questi valori mortiferi tutti i giorni e in tutti i momenti della nostra quotidianità, dovrebbe diventare esercizio del nostro vivere, trasmissibile così anche ad altre /i : rompere l’assuefazione al controllo, ribaltare la colpevolizzazione in cui ci vogliono invischiare, recuperare la capacità di indignarci, rifiutare il feticcio della legalità, promuovere la criticità verso la meritocrazia, la gerarchia, l’autorità, smascherare l’uso improprio di parole come democrazia, riforme…..esercitare il coraggio di esprimere apertamente la propria opinione, spezzare l’ipocrisia in cui ci vogliono imbrigliare.