I sogni muoiono nel pomeriggio
Elisabetta Teghil
Il 4 agosto 1914 il gruppo parlamentare socialdemocratico al Reichstag,il parlamento tedesco, votò i crediti di guerra. Il fatto suscitò una grande impressione perché l’Internazionale socialista si presentava e veniva percepita e letta come la principale forza politica antimilitarista. Un tratto che la caratterizzava perché la dichiarazione di guerra del 28 luglio 1914 non fu un fulmine a ciel sereno, ma era messa in preventivo da diverso tempo.
Ma le premesse si erano viste quando Rosa Luxemburg pubblicò “L’accumulazione del capitale”. Fu proprio questo lavoro che rivelò lo spessore dei disaccordi che segnavano con una linea di frattura l’Internazionale socialista.
Per Luxemburg le condizioni create dall’imperialismo: lotta per le colonie, competizione fra le grandi potenze, caratteristiche proprie, cannibalistiche e onnivore, del capitalismo, non potevano che sfociare nella guerra accompagnata dallo sviluppo dell’apparato industriale bellico che diventava il volano dell’economia dei singoli paesi. L’opera, pubblicata nel gennaio del 1913, subì forti e scomposti attacchi da tutti quelli che, guarda caso, poi votarono la causa della guerra nei loro rispettivi paesi. In particolare si distinsero Eckstein e Bauer. Fra gli altri che si schierarono, invece, dalla parte di Rosa Luxemburg si trovava Lukacs che disse che Bauer e gli amici avrebbero voluto un capitalismo senza imperialismo, uno sviluppo produttivo senza i disturbi della guerra, riecheggiando in questo modo quanto Marx aveva scritto sul Manifesto a proposito dei riformisti.
Ma la consapevolezza di quello che sarebbe accaduto il 4 agosto i rappresentanti dei partiti socialisti l’avevano con certezza già dal pomeriggio del 30 luglio. Infatti il giorno prima, nei locali della Casa del Popolo di Bruxelles, era cominciata quella che sarebbe poi risultata l’ultima riunione della Seconda Internazionale.
Assente il rappresentante dei Bolscevichi, Litvinov.
Il resoconto di quei due giorni verrà fatto,nelle sue memorie, da Angelica Balabanoff che ricorda che nel pomeriggio del 30 tutti i delegati si erano chiusi a riccio nella difesa degli interessi dei paesi che rappresentavano con la sola eccezione di Jaurès e Luxemburg.
Il BSI, Bureau Socialiste International,si aggiornò senza prendere una decisione.
Il primo agosto Huysmans, segretario del BSI, inviò ai partiti affiliati una breve circolare “..In seguito agli ultimi avvenimenti, il Congresso di Parigi è aggiornato a data da stabilirsi”.
Questa circolare sarà l’ultima.
Il 4 agosto sancisce formalmente quanto Kautsky aveva già dichiarato circa l’impotenza dell’Internazionale di fronte alla guerra per cui l’imperialismo è riconosciuto come una necessità e i lavoratori devono trovare la realizzazione dei propri interessi a cascata dalle guerre imperialistiche, dalle colonie, dalla grandezza e magari dalla vittoria della propria nazione.
Il contributo di Luxemburg nella teoria dell’epoca complessiva e, altresì, del moderno imperialismo in generale, si intreccia con l’analisi leninista che la pura teoria non contraddice l’analisi concreta della situazione del momento ma, anzi, essa si deve tradurre nella prassi. Per Luxemburg e per Lenin la concezione marxista del plusvalore aveva svelato la separazione di classe tra borghesia e proletariato e rispetto alla distinzione tradizionale tra capitale fisso e circolante entrambi avevano focalizzato la loro attenzione sulla distinzione tra capitale costante e capitale variabile.
Per tutti e due l’incremento del capitale costante, momento del processo di sviluppo dell’intera società, svela la lotta delle diverse frazioni del capitale per la spartizione del plusvalore.
Pertanto l’essenza dell’imperialismo si esprime nella guerra come inarrestabile tendenza ad una sempre maggiore concentrazione verso il monopolio assoluto.
E’ il capitalismo monopolistico che crea per la prima volta nella storia dell’economia mondiale la sua guerra, la prima guerra mondiale, la guerra imperialistica nel senso più attinente alla parola. Il capitalismo non si limita più a sfruttare i popoli coloniali, a sottometterli e a depredarli, ma mobilita tutte le riserve umane disponibili dei paesi imperialistici e le trascina direttamente nella guerra.
L’attualità di Luxemburg è in quello a cui assistiamo tutti i giorni, cioè nel bisogno che il capitalismo ha di distruggere le economie altre e far scomparire i tratti economici e mercantili non capitalistici in ogni paese. In definitiva il capitalismo che è auto espansivo consiste nella dissoluzione di tutto quello che è altro sia all’interno che all’esterno dei confini politici dei rispettivi Stati. Tutti quei casi che Luxemburg definì il mercato “esterno del capitalismo”.
Socialdemocratici e riformisti usano l’eclettismo, mentre Luxemburg, Lenin e i rivoluzionari adottano la dialettica. I primi con un metodo meccanicistico separano rivoluzione borghese e rivoluzione proletaria, lotta per l’indipendenza e nascita delle borghesie nazionali…. e già nella loro epoca Luxemburg e Lenin dovevano fare i conti con il radicalismo di sinistra che trascurava o respingeva tutti quei movimenti di disgregazione, di fermento, di lotta che pure si sviluppavano e ne negava la connessione con la rivoluzione proletaria. Lenin e Luxemburg ricordavano che quei movimenti erano oggettivamente rivoluzionari e insistevano sul fatto che, altrimenti, si sarebbe rinunciato ai principali e naturali alleati del proletariato e, posizionandosi in uno spazio rarefatto di una pura rivoluzione proletaria, nella dichiarazione di essere solo e soltanto dalla parte della classe operaia, non si sarebbe riconosciuto il contesto che poteva dare possibilità di successo alla rivoluzione stessa.
Oggi gli eredi di quel radicalismo di sinistra sono i teorici del né-né, né con-né con ma solo con la classe operaia, posizione che non si traduce soltanto in un effettivo immobilismo, ma, nella sostanza, diventa un appoggio alla componente più forte dell’imperialismo che in campo internazionale è rappresentata dagli Usa e, in Italia, dal blocco che appoggia gli interessi dell’iper-borghesia.
Il grande mutamento è rappresentato dal fatto che la socialdemocrazia è diventata destra moderna emarginando quella storica e tradizionale, rappresentando in toto gli interessi dell’imperialismo a cui ha portato in dote il lessico di sinistra.
Allo stesso tempo, la sinistra che si autodefinisce radicale ha fatto propri,fuori tempo massimo, i valori tradizionalmente socialdemocratici insistendo su categorie non più percorribili perché non coincidenti con gli interessi del grande capitale, cioè il gradualismo e il riformismo. E, nella sua miopia e insipienza politica, reclama una presenza dello Stato nell’economia dimenticando, volutamente o per ignoranza, che lo Stato nell’economia è presente come mai in passato, ma come artefice della crescita a dismisura dell’apparato industriale-militare.
Da qui l’attualità del pensiero di Luxemburg e di Lenin, quest’ultimo oggetto, da una parte, di un’opera di imbalsamazione teorica e politica, dall’altra, di un tentativo di svilimento perché presentato come superato e, magari, come cattivo maestro, nello stesso modo in cui viene trattata la lotta di classe.
Contemporaneamente si stravolge e si manipola il pensiero di Luxemburg per ottenere un duplice risultato : quello di presentarla come antagonista e/o alternativa a Lenin e quello di attaccare il pensiero leninista. Così facendo gli eredi di quelli che l’hanno uccisa, ne vogliono uccidere anche il pensiero.
E noi condividiamo quello che disse Lenin alla sua morte definendola “ un’aquila” e i suoi avversari di allora e i suoi manipolatori di oggi zampettano nell’aia del capitale.
In una stagione, quella odierna, dove le guerre coloniali vengono definite ipocritamente umanitarie, che il ruolo della socialdemocrazia sia venuto meno ce lo esplicita il fatto che non c’è nessuna ricaduta positiva sulla popolazione dei paesi occidentali in seguito a questi conflitti. Anzi. E questo vale anche per noi in Italia. Le più recenti conferme sono l’aggressione alla Libia e le vicende Ucraine.
Gli Stati Uniti,lo Stato del capitale, con il loro alleato inglese e con il codazzo dei vassalli, hanno messo in preventivo l’ipotesi di una terza guerra mondiale perché non conoscono altre soluzioni alla propria difficoltà economica ed è il modo proprio del capitale di avanzare nel processo auto espansivo.
Nella prima guerra mondiale le perdite maggiori sono state quelle dei militari, sorvolando sul fatto che erano soprattutto e nient’altro che contadini chiamati alle armi.
Nella seconda guerra mondiale, le perdite maggiori sono state tra i civili e sono state soprattutto le città ad essere distrutte.
La terza guerra mondiale, per lo sviluppo impetuoso delle armi di distruzione di massa presenterà caratteristiche di catastrofe per l’umanità.
Alla situazione oggettiva derivante dalle dinamiche di espansione proprie del capitale, si deve aggiungere una situazione soggettiva a proposito del rapporto tra struttura e sovrastruttura di marxista memoria e di come quest’ultima in alcune situazioni prenda il sopravvento. Gli Stati Uniti, da quando sono in mano alle multinazionali che hanno esautorato la politica e le hanno tolto ogni indipendenza, sono fuori controllo, guidati da persone prive di scrupoli e capaci di ogni crimine. Coloro che pensano di salvare i loro interessi e, magari, la loro vita, con la tradizionale divisione fra chi nella guerra è coinvolto/a e chi non lo è, hanno il respiro corto e mostrano tutta la loro miopia.
Il riconoscimento del fatto che, su un piano storico, la funzione rivoluzionaria della borghesia nell’età imperialistica è ormai esaurita non significa che con le rivoluzioni borghesi non siano stati appagati quegli strati sociali che erano interessati alla loro soluzione rivoluzionaria.
Ma, oggi, assistiamo, limitando il discorso all’Italia, però questo sta avvenendo in tutti i paesi occidentali, ad una rottura del blocco sociale che ha governato questo paese nel dopoguerra. Nel proprio processo di auto valorizzazione, l’iper borghesia ha pauperizzato, ma, soprattutto, ha cacciato dai momenti decisionali le restanti frazioni della borghesia… piccola, media, liberi professionisti, lavoratori cognitivi…… mettendole in una condizione di disperazione che non è solo economica, ma anche sociale e di ruolo.
Volenti o nolenti, ci stiamo plasmando sul modello statunitense. A conferma del ruolo egemonico che questi ultimi hanno nel nostro mondo . Le decisioni vengono prese dalle multinazionali, i politici sono loro impiegati, lo Stato sociale viene smantellato, tutto è ridotto a mercato e la merce è l’unità di misura di ogni rapporto compreso quello umano. Povertà diffusa, crollo dell’attesa di vita, aumento della mortalità infantile,impossibilità di accedere alle cure mediche, incremento della popolazione carceraria, aumento a dismisura delle persone soggette a libertà vigilata, controllo diffuso e capillare delle esistenze in ogni momento. Le condizioni di vita dei paesi occidentali da qui a poco possono essere, quindi, facilmente previste guardando quelle dei cittadini/e americani/e.
Tutto questo non è il frutto di una crisi. E’ inutile ricercarne le cause nella sovrapproduzione o nella finanziarizzazione, ed è inutile ricercare rimedi perché alla base c’è la scelta neoliberista che non si limita al campo economico, ma si irradia come metabolismo in tutti i momenti della società.
Il fatto storico incontestabile che la classe borghese è stata guida e beneficiaria delle sue rivoluzioni dei secoli passati non deve far dimenticare che gli obiettivi oggi si sono ridefiniti trasformando l’iper borghesia nella nuova aristocrazia e riducendo la restante borghesia ad un ruolo di servizio, così come nelle monarchie assolute.
La corretta valutazione di questo stato di cose apre prospettive nuove alla rivoluzione proletaria che significa oggi, nello stesso tempo, realizzazione e superamento della rivoluzione borghese.
Per individuare questo passaggio dialettico è necessaria una ricomposizione di classe di tutti gli strati sociali che si oppongono al progetto neoliberista.
La scommessa è su chi saprà coagulare intorno a sé tutte le frazioni che vogliono costruire altro.
Per questo è importante ricordare la prima e la seconda guerra mondiale, perché in questi due eventi, milioni e milioni di proletari e borghesi sono stati spinti ad assassinarsi per poter appagare la voracità imperialista.
Una risposta altra dipende solo dalla percezione della situazione storica e, per la classe operaia , dalla sua coscienza di classe.
In Italia è la seconda volta che viene operata una rottura del blocco sociale che governava il paese. E’ già avvenuto con l ’avvento del fascismo che ruppe il blocco sociale che aveva guidato il paese dopo l’unità d’Italia. E come, già allora, Gramsci, inascoltato, teorizzò l’alleanza di tutte le componenti sociali avverse al fascismo, così noi dobbiamo unificare tutte le frazioni sociali avverse al neoliberismo.
La guerra, pertanto, non va letta con categorie fataliste o rimosse perché ci sembra improbabile o impossibile, ma va considerata dal punto di vista economico e sociale e quindi una tappa dello sviluppo imperialistico del capitalismo.
Sviluppo che non va letto come realtà che non può modificarsi, proprio come ci vuol far credere il neoliberismo che ha rimosso volutamente ogni teoria che superi l’orizzonte della società borghese.
La macchina omicida è ancora attiva e passando attraverso la seconda guerra mondiale costituisce e costruisce una specie di passato-presente e dà un senso al ritmo della distanza temporale.
La prima guerra mondiale, che, dopo i terrificanti progressi compiuti durante il ventesimo secolo nella sofisticazione e nella forza d’urto dei mezzi di distruzione, può sembrare preistoria, conserva attraverso le inattese e sempre più ravvicinate scansioni, la sua sorda potenza di sconvolgimento.
La sostanza neoliberista è palpabile anche, proprio parlando di guerra, nella dimensione del lutto. Alla fine della grande guerra il lutto non fu negato, anzi fu messo in scena con la costruzione di monumenti ai caduti, con stele e lapidi con i nomi incisi che accompagnano ancora ogni paese d’Italia. Questa operazione si è manifestata anche nella seconda guerra mondiale, seppure in maniera ridotta.
Ora, nella stagione neoliberista, il lutto viene rimosso.
Nei paesi europei il rientro dei caduti viene ancora enfatizzato con la presenza delle autorità e la bandiera che avvolge la bara. Ma, tutto questo, non esiste più negli Stati Uniti, le foto e le immagini del rientro dei caduti non trovano ospitalità e il lutto è solo e soltanto personale e familiare.
Nella società statunitense chi è sopraffatto da una perdita di guerra la può vivere individualmente, ma non può e non deve condividerla e non trova compensazioni nel discorso di glorificazione della morte in combattimento o di idealizzazione del combattente perché questi fondamenti sono stati scossi dalle fondamenta dalla logica della propaganda che permea la società neoliberista e dalle dimensioni della guerra industriale.
In definitiva gli USA e il loro verbo neoliberista hanno sradicato la retorica che ha accompagnato la prima e la seconda guerra mondiale per cui si moriva per la patria e perché non ci fossero più guerre.
La morte degli individui in guerra, non più e non solo di quelli in divisa, è accompagnata dalla devastazione del paesaggio e del territorio, impregnato di veleni,alterato nelle acque e nell’aria, esposto a mutazioni neppure quantificabili.
La guerra, oggi, nel suo continuo riproporsi, non è solo vorace e divoratrice nella stagione delle armi di distruzione di massa, ma è capace di sommergere anche i corpi vivi.
Non è affatto vero che la storia è finita, che non ci siano alternative a questa società, che le ideologie siano morte, che la lotta di classe sia superata, è proprio la riappropriazione di queste categorie che ci può consentire di mettere in discussione la terza guerra mondiale verso cui i circoli atlantici, che sono a guida statunitense, ci vogliono far arrivare a tappe forzate.
In ogni situazione c’è un problema centrale dalla cui soluzione dipende la soluzione delle altre questioni, come pure lo sviluppo di tutte le tendenze sociali per il futuro.
Oggi il nodo è il riconoscimento che il neoliberismo è la scelta ideologica del capitale nella sua fase imperialistica e che le forze socialdemocratiche nei paesi occidentali stanno naturalizzando questa scelta nei rispettivi paesi.
Utilizzando il materialismo storico dobbiamo individuare, in questa fase data, il momento centrale che lo sintetizzi nel rapporto al tutto, nella totalità del presente, con riferimento allo sviluppo nel futuro, quindi anche al futuro nella sua totalità praticamente afferrabile.
Il fatto di concentrarsi nella chiusura della catena non significa affatto separare questo momento dall’insieme e trascurare per esso gli altri momenti. Al contrario. Significa che tutti gli altri momenti devono essere messi in rapporto con questo problema centrale, devono essere intesi e risolti nell’ambito di questo rapporto.
La connessione reciproca di tutti i problemi non viene indebolita da questa centralità, ma al contrario si rafforza e si concretizza.