Riportare a sintesi
Il Brasile con Dilma Rousseff ha richiamato il proprio ambasciatore in Israele e ha dichiarato “Un massacro” l’offensiva Protective Edge.
Il Venezuela con Nicolàs Maduro ha deplorato “una guerra di sterminio da quasi un secolo” contro il popolo palestinese e il governo venezuelano attraverso il suo Ministero degli Esteri ha ribadito “la sua forte condanna per l’attacco criminale dello Stato di Israele, che ha avviato una fase più elevata della politica e del suo sterminio genocida con l’invasione di terra del territorio palestinese, che uccide uomini, donne e bambini innocenti”. Il Venezuela ripudia “le campagne ciniche che cercano di condannare le parti allo stesso modo, quando è chiaro che moralmente non è paragonabile la situazione della Palestina occupata e massacrata rispetto allo Stato occupante, Israele, che ha anche una superiorità militare e agisce al di fuori del diritto internazionale”.
Perù, Ecuador, Cile, e Salvador hanno richiamato i loro ambasciatori in Israele.
Costa Rica e Argentina hanno convocato presso i loro Ministeri degli Esteri i rispettivi ambasciatori israeliani.
Il presidente dell’Uruguay, José Mujica, ha chiesto il “ritiro immediato delle truppe israeliane” e un “cessate-il-fuoco senza condizioni” nella Striscia di Gaza.
Il Nicaragua, nel 2010, il Venezuela e la Bolivia nel 2009 – durante l’operazione “Cast Lead”, Cuba già nel 1973, dopo la guerra dello Yom Kippur hanno rotto le relazioni diplomatiche con Israele.
La Bolivia, con Evo Morales, ha incluso Israele in una lista di “Stati terroristi”, annullando anche un accordo di esenzione dei visti tra i due paesi.
L’unica voce dissonante è la Colombia, governata da un regime molto vicino all’amministrazione statunitense e storicamente alleato con Israele.
In tutta l’America latina si susseguono manifestazioni popolari in sostegno della Palestina.
Tutto questo ci fa venire in mente una lettura che serpeggia nella sinistra, anche in quella che si definisce alternativa, che parla del fatto “che sono tutti imperialisti” e che accomuna i paesi Brics agli Stati Uniti e che dice che l’unica scelta può essere quella di stare dalla parte della classe operaia.
Questa lettura che tutto è imperialismo che, in prima battuta, può sembrare radicale, è l’altra faccia del gradualismo. Attraverso questi meta-concetti non si può che avallare l’imperialismo americano, perché questo è quello vincente e dominante con cui dobbiamo fare i conti. La lettura che tutto è imperialismo dimentica che il disimpegno dello stato sociale, il rafforzamento delle componenti poliziesche e penali, la riduzione delle tutele del mercato del lavoro e delle tutele sociali, fino ad approdare alle guerre “umanitarie” non sono altro che la declinazione nazionale dei valori statunitensi che impongono al resto del mondo categorie analoghe alle loro strutture sociali rafforzandone così le pretese universalistiche.
Il gradualismo,poi, non è altro che un bilancio tutto sommato positivo del capitalismo. Si tratta di costruire attraverso successivi passaggi e piccoli passi un capitalismo dal volto umano.
Se diluiamo il ruolo degli Stati Uniti dicendo che l’imperialismo è patrimonio anche delle altre potenze, come del resto è vero, dimentichiamo soprattutto il fatto, questo sì centrale, che noi, in Italia, dobbiamo fare i conti con l’imperialismo americano.
Gli Stati Uniti hanno 300 basi militari fuori dai confini nazionali e più di 200 Agenzie e possono contare su una miriade di Ong, Onlus e società di Think Tank.
Hanno piegato le Organizzazioni internazionali ai loro interessi e trasformato la Nato in polizia internazionale.Evocano strumentalmente la forza dei Brics per far dimenticare la loro supremazia in tutti i campi e attraverso la sottomissione di tutti gli altri Stati l’imposizione del loro modello al resto del mondo.
Chi fa resistenza è accerchiato ideologicamente, economicamente e militarmente, e, se si sottrae, è soggetto ad attacchi militari in atto o in potenza.
Assimilare il ruolo degli USA ad altri paesi dietro il paravento che sono tutti imperialisti fa dimenticare la lezione marxista della differenza tra la contraddizione principale e la contraddizione secondaria.
E la posizione sulla Palestina è una cartina di tornasole che ci fa comprendere più di tante disquisizioni la collocazione e la scelta di campo dei singoli Paesi nello scenario internazionale.