di Simona De Simoni
Nel 1940, poco prima di togliersi la vita sentendosi braccato dai nazisti dai quali era in fuga, Walter Benjamin prova ad attraversare i Pirenei con una valigia piena di carte. Portava con se il testo poi divenuto celebre con il titolo Tesi sul concetto di storia. In questo testo straordinario, egli stilava una sorta di testamento politico per le generazioni future mettendole in guardia rispetto al significato tutto politico che la memoria – fattasi storica e collettiva – avrebbe assunto. Egli intuiva che sulle macerie del passato se ne sarebbero accumulate di nuove, che il tempo non costituisce un continuum omogeneo e vuoto, ma un deposito di esplosivo. Le sue riflessioni tornano alla mente in questi giorni di violenze e massacri nella striscia di Gaza. Tornano alla mente perché sotto le bombe di Israele nella striscia di Gaza si fa scempio anche della memoria. Ne fa scempio lo Stato d’Israele con la sua politica memoriale trasformata in ideologia del terrore. Ne fa scempio, però, anche l’Europa che inebetita da una duplice amnesia asseconda con atteggiamento irresponsabile e criminale le violenze di Israele.
Solo qualche breve nota al riguardo, anche a costo di ribadire cose ovvie. Lo stesso Benjamin, proprio negli appunti preparatori alle sue Tesi, sottolinea l’importanza di tornare in continuazione sulla memoria, come l’esegeta con il testo sacro. Senza stancarsi mai, con la consapevolezza che tra il passato e il presente vi è un legame politico sul quale non bisogna smettere di lottare.
Nei diversi Stati europei, l’elaborazione della memoria dello sterminio degli ebrei d’Europa ha seguito percorsi differenti, ampiamente connessi al ruolo giocato dai singoli Paesi durante la seconda guerra mondiale. Ad oggi, tuttavia, i discorsi memoriali si sono ampiamente uniformati all’insegna del paradosso: all’istituzionalizzazione e ritualizzazione della memoria della Shoah si accompagna, infatti, la rimozione (quando non il camuffamento revisionistico) delle condizioni storiche nelle quali un radicato antisemitismo religioso ha potuto trasformarsi nello sterminio di massa di un popolo. Da questa situazione, deriva la disgiunzione dell’antisemitismo dai fascismi e, con essa, la separazione dell’ingiunzione al ricordo dal dovere e dalla necessità dell’antifascismo. Se, infatti, è pur vero che l’antisemitismo europeo precede le ideologie fasciste e non coincide con esse, è altrettanto vero che fu il fascismo (si include qui il nazismo tra i fascismi con la consapevolezza che la questione è complessa e dibattuta) a trasformare l’antisemitismo in una macchina politica di persecuzione e sterminio. Da questo punto di vista, lo scioglimento del nesso storico tra i due fenomeni – sterminio degli ebrei d’Europa e fascismi – svuota di significato l’ingiunzione al ricordo e apre la strada alla strumentalizzazione del passato oltreché a veri e propri fenomeni di isteria collettiva.
Proprio in questi giorni, ad esempio, in Francia si agita lo spettro dell’antisemitismo attribuendo sentimenti antisemiti alla popolazione francese di confessione musulmana o di provenienza araba (o, meno grossolanamente, proveniente da un paese la cui lingua scritta ufficiale sia l’arabo) per vietare manifestazioni pubbliche in sostegno alla Palestina. Fatto che assume un carattere ancor più disorientante se si considera che sono passati solo due mesi dal successo elettorale del Front National la cui provenienza ideologica, nonostante il teatrino messo in scena da Marine Le Pen, affonda le radici direttamente nella storia del fascismo e dell’antisemitismo europeo. È come se ossessione e oblio si affermassero contemporaneamente, l’una e l’altra come atti politici. Ma, mentre l’ossessione riproduce su scala Europea lo schema memoriale elaborato dallo Stato d’Israele, ovvero una vera e propria ideologia della memoria con finalità criminali; l’oblio è piuttosto un affare europeo, certamente legato al presunto sorpassamento post-ideologico del passato e all’affermazione del discorso neo-liberale come nuovo quadro di riferimento della politica istituzionale. Ma non è solo questo. Ossessione e oblio – almeno osservati dalla Francia dove, in questo momento, le acque sembrano particolarmente torbide a riguardo – intersecano un secondo piano politico-memoriale, quello relativo al passato coloniale. Il presunto antisemitismo arabo, infatti, assomiglia a una specie di esperimento di “invenzione della tradizione” che, mentre da un lato favorisce la rimozione dello sviluppo storico concreto delle relazioni tra le comunità ebraiche e quelle musulmane nei paesi arabi e l’impatto che il colonialismo ha avuto sulle stesse; per altro verso, fornisce uno strumento di delegittimazione preventiva della critica alla politica di Israele e di criminalizzazione aprioristica del sentimento di solidarietà con la Palestina. Ovviamente la tabuizzazione della critica verso Israele non è cosa nuova. Eppure, l’inasprimento del suo utilizzo con finalità politiche specifiche e situate come nel caso francese, richiede una mobilitazione cosciente non soltanto del presente, ma anche del passato. O, per meglio dire, del loro legame. Alla strumentalizzazione della memoria e alle memorie selettive non è utile opporre un atteggiamento presentista, ma, se mai, una contro-memoria che provi ad arrestare l’accumulo delle macerie. Quest’ultima, tuttavia, non coincide con la contrapposizione di “diritti alla memoria” separati e sclerotizzati all’interno di un “paradigma vittimario” quanto, piuttosto, nella contestualizzazione, nell’esplicitazione politica delle condizioni e delle responsabilità. La memoria dello sterminio degli ebrei d’Europa e quella del massacro dei Palestinesi non sono in conflitto tra loro. Lo sono, se mai, la strumentalizzazione dell’una in favore dell’oblio dell’altra.